Marco (Lezione 55)
MARCO non fu uno dei dodici apostoli. Non fu un costante compagno di Cristo Gesù. Non c’è nessuna indicazione che egli fosse neanche un discepolo di Cristo quando Egli fu sulla terra. Come dunque poté egli essere in grado di scrivere un racconto della vita di Gesù? Inoltre, come fu egli in grado di scrivere quello che è unanimemente riconosciuto come il più vivido e descrittivo dei quattro Vangeli? Marco era nativo di Gerusalemme, e qui aveva senza dubbio visto Gesù in qualche occasione. (Atti 12:12, 25) Si crede ch’egli fosse colui che seguì Gesù dopo il Suo tradimento, solo per fuggire quando fu avvicinato dalle turbe. (Mar. 14:51, 52) Ma questi pochi e brevi contatti con Gesù non avrebbero mai fornito lo sfondo necessario alla composizione di questo Vangelo, che concerne principalmente il ministero di Gesù in Galilea e che generalmente supera gli altri nella scrupolosa descrizione dei dettagli. Esso ha l’impronta di una testimonianza oculare.
Un rapido sguardo alle attività di Marco nella chiesa primitiva rivelano queste fonti. “Giovanni soprannominato Marco” era figlio di una donna chiamata Maria. L’apostolo Pietro frequentava la loro casa, e infatti vi andò dopo esser stato liberato dalla prigione per mezzo dell’angelo. (Atti 12:5-17) Pietro si riferisce a Marco come “Marco, il mio figliuolo”, che fa intendere che Marco fu con tutta probabilità convertito a Cristo dalla predicazione di Pietro. In ogni caso, i rapporti fra i due erano molto intimi. Essi furono insieme a Babilonia (1 Piet. 5:13) Questo e lo stesso Marco che fece viaggi di predicazione con suo cugino Barnaba e l’apostolo Paolo, e fu più tardi con Paolo al tempo del primo imprigionamento di quest’apostolo a Roma. (Atti 12:25; 13:13; 15:36-40; Col. 4:10; Filem. 24) Ma la nostra attenzione si concentra sulla sua intima associazione con Pietro. Pietro fu un testimone oculare del ministero terreno di Gesù. Fu uno dei primi discepoli di Cristo. (Giov. 1:35-42) Papia, scrittore cristiano dell’inizio del secondo secolo dopo Cristo, ci riferisce che Marco fu l’interprete (e probabilmente l’amanuense, o il segretario) dell’apostolo Pietro. Quindi Pietro fu indubbiamente il testimone oculare da cui derivano le informazioni del Vangelo di Marco. Evidentemente esso riporta con precisione quello che Pietro disse a Marco in varie occasioni, benché un’effettiva dettatura del Vangelo sia poco probabile.
Quando e dove mise Marco per iscritto il suo racconto evangelico? Come per ciascuno dei Vangeli, il tempo della composizione di questo non può essere precisato con certezza. Probabilmente fu scritto non molto tempo prima del Vangelo di Luca, il quale precedette di poco la composizione di Atti da parte di Luca, nel 61 d.C. circa. Quanto al luogo in cui il Vangelo di Marco fu scritto, una preponderante testimonianza indica Roma. Con ogni probabilità Marco scrisse il suo Vangelo in Roma al tempo del primo imprigionamento di Paolo.
Ebbe Marco in vista qualche speciale classe di persone quando scrisse il suo Vangelo? Matteo scrisse il suo avendo in vista i Giudei, riferendosi a numerose profezie delle Scritture Ebraiche e mostrando come esse erano adempiute da o in Cristo Gesù, tutto ciò per provare ai Giudei che Egli fu il Messia che la nazione ebraica doveva aspettare. Ma questa caratteristica non prevale nel Vangelo di Marco. Egli omette nel suo racconto personale tutti i riferimenti alle Scritture Ebraiche, salvo per i versetti introduttivi del capitolo uno (15:28 è un’aggiunta). Ogni riferimento alla legge di Mosè è omesso. Le uniche citazioni dalle Scritture Ebraiche che Marco include nel suo libro sono quelle fatte dalle persone menzionate nel racconto degli avvenimenti, cioè, quelle fatte da Gesù stesso o da coloro che si rivolgevano a Lui. Questo non soltanto indica che egli non aveva specialmente in mente i Giudei mentre scriveva, ma lascia supporre che il loro punto di vista fosse deliberatamente messo da parte onde destare un più vivo interesse nei non Giudei, cioè i Gentili.
Questa veduta è sostenuta da quanto segue: Il modo di scrivere brusco e conciso si addice ai gusti di un pubblico romano. Inoltre per dare un tocco di familiarità a tali lettori furono inseriti numerosi latinismi. Le parole o frasi che non sarebbero state comprese da lettori Gentili vengono interpretate per essi. (Vedere 3:17; 5:41; 7:11, 34; 14:36; 15:34) È pure notevole il fatto che Marco non include nel suo racconto la genealogia di Gesù. Questa era di vitale importanza per i Giudei che attendevano il Messia dalla linea di Giuda e del re Davide, ma non costituiva un punto d’interesse o d’importanza essenziale per i Gentili cristiani.
Il secondo dei quattro Vangeli ha altre caratteristiche che lo distinguono dagli altri. È il Vangelo più breve, eppure dipinge quadri più vividi di scene e avvenimenti che non gli altri. La sua brevità si attribuisce non a minore descrizione né a materiale storico inferiore, ma all’omissione o al conciso riassunto dei discorsi di Cristo Gesù. L’inserimento di questi discorsi avrebbe diminuito la rapidità dell’azione interrompendo maggiormente la narrazione degli avvenimenti; la loro assenza avvicina di più l’attività narrata ed imprime al racconto un’animata vitalità non riscontrata negli altri Vangeli. Nel Vangelo di Marco noi scorgiamo Cristo Gesù come servitore zelante, uomo d’azione, la cui missione è sviluppata più dalla narrazione dei fatti che dalla ripetizione delle parole.
Dal quattordicesimo versetto del suo Vangelo Marco trasporta il lettore direttamente al tempo del ministero di Gesù in Galilea. Il servizio di Giovanni Battista come precursore è stato raccontato; il battesimo di Gesù è stato narrato; la tentazione nel deserto è stata concisamente esposta. Poi il quattordicesimo versetto mostra Giovanni imprigionato e successivamente Gesù in Galilea. Dal versetto 14 del primo capitolo fino all’inizio del capitolo 10 i miracoli di Gesù e la sua predicazione nelle circoscrizioni della Galilea sfilano davanti agli occhi del lettore come una rapida proiezione cinematografica. Azione! Per impadronirsi della crescente marea di attività questo scrittore del Vangelo sacrifica molto in quanto ad insegnare con discorsi e parabole, ma questa lacuna è colmata dagli altri due Vangeli sinottici di Matteo e Luca. Infatti Marco è così intento a narrare gli avvenimenti con ritmo veloce che non si sofferma abbastanza neppure per menzionare il sublime sermone sul monte pronunciato da Gesù, e meno ancora per indicare alcuni dei suoi punti essenziali! Tali omissioni d’istruzione vitale, a proposito, indicano vigorosamente che l’insegnamento era stato già dato e non era quindi necessario ripeterlo. Questo, oltre al fatto che il Vangelo di Marco fu composto specialmente per i Gentili e non per i Giudei, conferma la giusta opinione che il Vangelo di Matteo l’aveva preceduto.
Avendo concluso la sua narrazione della campagna di Galilea col versetto 50 del capitolo 9, Marco, come Matteo, tralascia interamente l’ulteriore ministero di Gesù nella Giudea a partire dalla festa dei tabernacoli dell’anno 32 d.C. fino alla festa della dedicazione del medesimo anno. Egli omette anche gran parte del successivo ministero in Perea, riprendendolo soltanto nella sua parte finale, dalla Galilea verso Gerusalemme. Termina la sua narrazione con gli ultimi avvenimenti che ebbero luogo in Gerusalemme, ma finisce il racconto assai bruscamente, col capitolo 16 versetto 8. Evidentemente per addolcire la subitaneità di questa fine, un’altra mano aggiunse più tardi i versetti da 9 a 20.
[Domande per lo studio]
1. Che cosa dimostra nel racconto di Marco che è una narrazione proveniente da un testimone oculare?
2. Perché Marco da solo non avrebbe potuto dare questa diretta freschezza e vividezza?
3. Quali dunque furono le fonti della testimonianza oculare alle quali Marco poté attingere per scrivere il suo racconto evangelico?
4. Quando e dove mise Marco per iscritto il suo racconto?
5. Come è indicato dall’interna evidenza del libro, quale particolare classe non ebbe in mente Marco e quale particolare classe considerò egli principalmente?
6. Quali altre caratteristiche distinguono questo Vangelo dagli altri?
7. In che modo considera Marco la campagna nella Galilea? e che cosa dimostra ciò circa il tempo della sua composizione?
8. Quale attività di predicazione omette Marco?
9. Come termina egli la sua narrazione?
10. Come un’altra mano tenta più tardi di modificare questa fine?