Ebrei (Lezione 66)
Chi scrisse l’epistola agli Ebrei? Questa è una domanda che ha suscitato non poche controversie. Però non esiste alcuna prova sostanziale che additi chiunque altro all’infuori di Paolo come l’autore. I Cristiani della Grecia e dell’Asia fin dai tempi più antichi sono unanimi nell’attribuirla all’apostolo Paolo. Le espressioni, il linguaggio figurativo e le allusioni usate nell’epistola sono simili a quelle delle altre epistole di Paolo. Le circostanze esistenti all’epoca in cui fu scritta indicano Paolo. Egli era, per esempio, in Italia (Ebr. 13:24); vi era carcerato (Ebr. 10:34), era in intima associazione con Timoteo ed aveva la facoltà di dire che avrebbe viaggiato con lui se gli avvenimenti lo avessero permesso (Ebr. 13:23). Recentemente, nel 1931, venne scoperta un’altra prova per stabilire che Paolo scrisse l’epistola agli Ebrei. In quell’anno fu resa pubblica la scoperta di manoscritti papiracei. Uno di questi, noto oggi come il Papiro N. 2 di Chester Beatty (P46), scritto poco dopo il 200 d.C., contiene 86 fogli di un codice delle epistole di Paolo. In questa antica collezione delle epistole paoline si trova per prima quella ai Romani e seconda viene quella agli Ebrei; seguono altre otto epistole di Paolo. Questo significa che i primi Cristiani riconoscevano che l’epistola agli Ebrei era opera di Paolo; nel compilare il loro codice o libro delle epistole di Paolo essi vi includono fra le altre la lettera agli Ebrei.
In quanto alla dottrina, l’epistola è tipicamente di Paolo, e qualsiasi digressione dal suo stile usuale è dovuta al fatto che egli si rivolgeva ai lettori giudei. In altre lettere Paolo ripetutamente mette in risalto che la salvezza viene mediante la fede e la grazia, e non mediante le opere della legge. Tuttavia mostra rispetto per la legge. Egli capisce perché fu provveduta, che fu un tutore per condurre Israele a Cristo. Quando Cristo viene, la legge ha termine perché ha adempiuto il suo proposito ed è essa stessa adempiuta da Cristo. Tutta questa dottrina pervade le epistole riconosciute di Paolo. Lo scrittore di Ebrei palesa lo stesso chiaro intendimento del soggetto. In questa lettera indirizzata ai Giudei cristiani egli saggiamente ragiona da un punto di vista strettamente giudaico. Indica come la legge, le ordinanze e i sacrifici prefigurassero Cristo e la Sua opera, come tutte queste cose fossero adempiute da Cristo e terminate nel loro senso tipico, come fossero ora sostituite da antitipi molto più gloriosi che recavano maggior misericordia e beneficio agli stessi credenti giudei. Le conclusioni a cui giunge Paolo sono le stesse di quelle delle sue lettere ai Gentili e alle congregazioni miste, ma il modo di portare l’argomentazione a tali conclusioni è particolarmente destinato ai seguaci giudei. Egli li conduce su un terreno familiare ai Giudei, e i Giudei onesti non potevano aver difficoltà alcuna nel seguire il suo ragionamento e potevano con coscienza pura passare dall’osservanza della legge alla fede in Cristo.
Perché Paolo, l’“apostolo dei Gentili”, scrisse un’epistola alla congregazione dei Giudei cristiani della Palestina? Egli si era sempre vivamente interessato dei suoi connazionali, come è provato dalle sue collette per i Cristiani poveri della Giudea. (Atti 11:29, 30; Rom. 15:26-28; 1 Cor. 16:1-4; 2 Cor. 8:1-4; 9:1-15) Ma evidentemente allorché scrisse questa lettera ebbe motivi più forti e più precisi. I Giudei cristiani in tutta la Palestina, e specialmente quelli di Gerusalemme dove era il tempio, o dei dintorni, erano esposti all’ardente persecuzione dei Giudei che si attenevano alla legge e all’osservanza dei suoi precetti, divenuti ormai dei riti senza senso. La dura pressione e persecuzione tentava di riportare i Giudei cristiani al giudaismo; la vigorosa epistola di Paolo mirava ad impedire tale apostasia. (Ebr. 2:1; 4:1, 11; 6:6; 10:23-26) Le verità presentate avrebbero rafforzato la fede dei Giudei divenuti cristiani. Ma avrebbero fatto ancora di più: avrebbero messo nella loro bocca inconfutabili argomenti con cui controbattere gli attacchi dei loro persecutori, e convincere e convertire i Giudei onesti che ricercavano la verità di Dio. Questi argomenti avrebbero permesso loro di condurre i Giudei interessati su terreno noto e recar loro pieno intendimento dei propositi del patto della legge e del suo adempimento, e introdurli nelle benedizioni del nuovo patto. L’epistola di Paolo era “il cibo a suo tempo” per i Giudei cristiani di quel tempo e in quel territorio. Li preparava per le buone opere al servizio del Regno.
Quando fu scritta l’epistola agli Ebrei? Certamente prima della distruzione del tempio, nel 70 d.C., poiché è indicato che il servizio del tempio era compiuto continuamente. (8:4; 9:25; 10:11; 13:10) Il tempo in cui fu scritta si definisce anche meglio se ricordiamo che fu composta da Paolo. Egli fu in carcere a Roma, dal 59 al 61 d.C. La lettera fu scritta dall’Italia da uno che era in carcere o vi era stato poco prima. (10:34; 13:24) Timoteo era stato appena “liberato”, o, secondo un’altra plausibile traduzione dell’originale greco, “mandato via”. (13:23, Diaglott) Verso la fine della prima prigionia di Paolo a Roma egli scrisse a Filemone, ai Colossesi, agli Efesini e ai Filippesi. Timoteo era allora con lui, ma in quel tempo Paolo desiderava mandarlo dai Filippesi. (Filip. 2:19) Forse Timoteo era stato allora “mandato via” a Filippi. Tutto questo lascia credere che Paolo abbia scritto agli Ebrei verso la fine della sua prigionia o poco dopo la sua liberazione. Dato che non fa menzione della speranza di esser presto liberato come fa nelle altre epistole scritte dal carcere, molti concludono che egli era già stato assolto, ma era ancora in Italia. Il tempo in cui fu composta la lettera può con probabilità essere fissato all’anno 61. Come le altre epistole di Paolo, quella agli Ebrei fu molto probabilmente scritta in greco koiné, che era ben compreso dai Giudei in generale. Segue un brevissimo riassunto del contenuto dell’epistola.
In varie occasioni e in vari modi Dio aveva nel passato parlato ai padri d’Israele per mezzo dei profeti, ma in questi giorni Dio ha parlato ad Israele mediante il suo Figlio Cristo Gesù. Quel figlio è stato fatto erede di tutte le cose, è l’esatta rappresentazione di Dio, ha purificato i peccati dei suoi seguaci, ed ora siede alla destra di Geova, innalzato molto al disopra degli angeli. (1:1-14) Perciò le cose pronunciate da Dio per mezzo di questo diletto Figlio dovevano essere ascoltate e ricordate con maggior attenzione. Questo Figlio fu fatto inferiore agli angeli e subì la morte per poter gustare la morte per ogni uomo ubbidiente. Con la sua morte Cristo Gesù acquistò il diritto di distruggere infine colui che ha il potere della morte, cioè, il Diavolo. Oggi egli è un misericordioso sommo sacerdote ed è in grado di fare la riconciliazione per i peccati del popolo. (2:1-18) Cristo e il Suo ministero sono di gran lunga più gloriosi di Mosè e del suo servizio. La voce di questo Sommo Sacerdote dovrebbe essere ascoltata. Quelli che rifiutarono di dare ascolto alle istruzioni date per mezzo di Mosè morirono nel deserto; a causa della loro incredulità non poterono entrare nel riposo di Geova. Quelli che sono divenuti partecipi di Cristo devono essere edificati essendo messi a dura prova; i Cristiani dovrebbero restar saldi nella fede e nell’ubbidienza, per poter entrare nel riposo promesso. Tutti devono camminare con circospezione, perché la Parola di Dio è tale da discernere i pensieri e le intenzioni del cuore e della mente; tutto è manifesto agli occhi di Dio. Ma Cristo Gesù è un sommo sacerdote misericordioso e concede la grazia al servitore in tempo di bisogno. — 3:1–4:16.
Cristo Gesù è un sommo sacerdote compassionevole perché egli stesso fu fatto carne e fu sottoposto ad una severa prova d’integrità ad opera di Satana e dei suoi agenti. Egli imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì; le più dolorose prove lo trovarono perfetto nell’integrità. Quindi egli divenne autore di salvezza per tutti gli uomini ubbidienti e fu egli stesso da Dio nominato sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec. (5:1-14) Perfezione e salvezza, quindi, non vengono mediante le opere morte ma mediante l’intercessione di questo misericordioso Sommo Sacerdote. Se qualcuno si ritrae dopo essere stato illuminato e generato dallo spirito, è impossibile che ottenga di nuovo il dono celeste mediante ravvedimento. Perciò Paolo esorta gli Ebrei a rimaner saldi nella fede, rendendosi conto che la speranza posta davanti a loro è sicura, poiché è vincolata dal giuramento di Dio. Questa certezza doveva essere come un’àncora e impedire che fossero trascinati via. — 6:1-20.
Paolo mostra quindi la superiorità del sacerdozio di Melchisedec su quello levitico. Levi, che riceveva le decime, effettivamente pagò le decime a Melchisedec poiché era nei lombi di Abrahamo quando quel patriarca pagò le decime a Melchisedec, re e sacerdote. La perfezione non poteva venire mediante il sacerdozio levitico, e perciò era necessario un mutamento nel sacerdozio, che richiedeva pure un mutamento della legge. I sacerdoti levitici offrivano continuamente sacrifici per i peccati, e alla fine morivano essi stessi; il Sommo Sacerdote Cristo Gesù offre un solo sacrificio che purifica per sempre, ed egli stesso vive per sempre. (7:1-28) Cristo fu mediatore di un nuovo patto, un patto migliore, mediante il quale le leggi di Dio furono inculcate nelle menti e scritte nei cuori. (8:1-13) I sacrifici sotto il patto della legge erano tipici. I sommi sacerdoti levitici entravano una volta all’anno nel santissimo del tabernacolo o del tempio e offrivano in espiazione il sangue di vitelli e di becchi; Cristo Gesù entrò una volta sola alla santissima presenza di Geova Dio e offrì il suo stesso sangue per l’espiazione dei peccati di tutto il genere umano ubbidiente. — 9:1-28.
Nel decimo capitolo è mostrato che i sacrifici sotto l’ordinamento della legge non toglievano effettivamente il peccato, ma erano semplicemente ombre di un migliore sacrificio avvenire. Essi preannunciavano Cristo. Egli venne con un corpo perfetto, lo offrì a Dio, adempì la legge e vi mise termine, e stabilì un nuovo patto. Sotto l’ordinamento della legge egli offrì un solo sacrificio; questo sacrificio non aveva bisogno di essere ripetuto come quelli dell’antico patto della legge; esso fu sufficiente per togliere i peccati per sempre. Paolo ammonisce ancora una volta gli Ebrei di radunarsi insieme ed esortarsi l’un l’altro e di rimaner saldi. Perché? Perché se peccano volontariamente dopo esser stati partecipi del beneficio di quest’unico sacrificio, nessun altro sacrificio rimane per i loro peccati, né ora né nel futuro. Una spaventevole punizione colpirà quelli che si traggono indietro. È ricordato agli Ebrei cristiani che nel passato si erano strettamente attenuti alla loro fede sotto dure afflizioni, e possono farlo ancora.
Nel capitolo seguente Paolo li rafforza con una definizione della fede e una descrizione dei passati esempi di fede mantenuta malgrado le più crudeli afflizioni. (11:1-40) Con un nuvolo tanto grande di testimoni attestanti che l’integrità può essere serbata nell’afflizione, i Cristiani dovrebbero farsi coraggio e correre fedelmente la corsa nonostante la persecuzione. Cristo Gesù, loro Signore e Condottiero, corse con pazienza e con successo, sopportando tutto. La disciplina non dovrebbe essere disprezzata; essa opererà per il bene se viene sopportata. Fate dei sentieri diritti per i vostri passi; guardate che non germogli alcuna radice di amarezza. Ricordate come fu spaventosa l’inaugurazione del patto della legge sul Sinai, quando il monte era in fiamme e fumava e tremava, e rimbombavano i tuoni e sfolgoravano i lampi? Il timore di dispiacere a Dio relativamente al nuovo patto dovrebbe essere ancora maggiore: la congregazione cristiana si è avvicinata al Monte Sion, la Gerusalemme celeste, e all’assemblea di angeli, alla chiesa dei primogeniti, a Cristo Gesù, e a Geova Dio, il Giudice di tutti. — 12:1-29.
Il tredicesimo e ultimo capitolo di Ebrei è dedicato ad esortazioni diverse, fra le quali ha la preminenza: “Offriamo sempre a Dio un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che fanno pubblica dichiarazione del suo nome”.
[Domande per lo studio]
1. Chi scrisse l’epistola agli Ebrei? e perché date questa risposta?
2. Perché Paolo scrisse agli Ebrei?
3. Quando scrisse loro? e su quale evidenza fondate la vostra risposta?
4. Come riassumete (a) capitoli 1-4? (b) Capitoli 5, 6? (c) Capitoli 7-9? (d) Capitolo 10? (e) Capitoli 11, 12? (f) Capitolo 13?