I primi cristiani usavano il nome di Dio?
IL NOME di Dio ricorre migliaia di volte nelle Scritture Ebraiche, dove è rappresentato dalle quattro consonanti יהוה (YHWH, il Tetragramma). Scoperte archeologiche fanno pensare che nell’Israele preesilico, prima del 607 a.E.V., il nome fosse d’uso comune, e nei libri postesilici di Esdra, Neemia, Daniele e Malachia esso ricorre di frequente. Gradualmente, però, mentre si avvicinava il tempo dell’arrivo del Messia, gli ebrei divennero per superstizione riluttanti a usare il nome.
I discepoli di Gesù usavano il nome di Dio (di solito reso in italiano con “Geova” o “Yahweh”)? Ci sono validi motivi per ritenere che lo usassero. Gesù insegnò ai suoi seguaci a pregare Dio dicendo: “Sia santificato il tuo nome”. (Matteo 6:9) E alla fine del suo ministero terreno egli stesso disse in preghiera al suo Padre celeste: “Ho reso manifesto il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo”. (Giovanni 17:6) Inoltre le prime copie della Settanta, la traduzione greca delle Scritture Ebraiche usata dai discepoli di Gesù, contenevano il nome di Dio sotto forma del Tetragramma ebraico.
Che dire dei Vangeli e del resto delle Scritture Greche Cristiane (il “Nuovo Testamento”)? Si è ragionato che, dal momento che il nome di Dio compariva nella Settanta, doveva necessariamente comparire nelle prime copie delle Scritture Greche Cristiane, almeno nei passi in cui era citata la Settanta. Per questo il nome Geova ricorre più di 200 volte nella Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche Cristiane. Alcuni hanno criticato questa scelta, ritenendola arbitraria. Sembra però che in questo la Traduzione del Nuovo Mondo abbia il sostegno di una fonte insospettabile: il Talmud babilonese.
La prima parte di quest’opera giudaica è intitolata Shabbath (Sabato) e contiene un immenso codice di regole che stabiliscono cosa si poteva fare di sabato. In un punto si discute se di sabato è lecito salvare i manoscritti biblici dal fuoco, dopo di che si legge: “Nel testo si affermava: Gli spazi bianchi [gilyohnìm] e i Libri dei Minim, non possiamo salvarli dal fuoco. R. [Rabbi] Jose disse: Nei giorni lavorativi bisogna ritagliare i Nomi Divini che vi sono contenuti, nasconderli e bruciare il resto. R. [Rabbi] Tarfon disse: Possa io seppellire mio figlio se non li bruciassi insieme ai Nomi Divini che contengono qualora mi capitassero fra le mani”. — Dalla traduzione inglese del dott. H. Freedman.
Chi erano i minìm (minei)? La parola significa “settari” e potrebbe riferirsi ai sadducei o ai samaritani. Ma secondo il dott. Freedman, è molto probabile che in questo passo indichi i giudeo-cristiani. Cos’erano dunque i gilyohnìm, tradotto “spazi bianchi” dal Freedman? Due sono i possibili significati. Potevano essere i margini bianchi dei rotoli o anche i rotoli in bianco. Oppure, applicando ironicamente il termine, potevano essere gli scritti dei minìm, come a dire che valevano quanto un rotolo bianco, cioè nulla. In alcuni dizionari questo secondo significato è dato come “Vangeli”. In armonia con ciò, la frase che compare nel Talmud prima del brano summenzionato dice: “I Libri dei Minim sono come spazi bianchi [gilyohnìm]”.
Così nel libro Who Was a Jew?, di Lawrence H. Schiffman, il suindicato brano del Talmud è tradotto: “Non salviamo dal fuoco (di sabato) i Vangeli e i libri dei minim (‘eretici’). Vengono bruciati dove si trovano, essi e i loro Tetragrammi. Rabbi Yose Ha-Gelili dice: Durante la settimana si dovrebbero togliere da essi i Tetragrammi, nasconderli e bruciare il resto. Disse Rabbi Tarfon: Possa io seppellire i miei figli! Se (questi libri) mi capitassero fra le mani, li brucerei con tutti i loro Tetragrammi”. Il dott. Schiffman prosegue argomentando che qui per minìm si intendono i cristiani ebrei.
Questo brano del Talmud si riferisce davvero ai primi cristiani ebrei? Se sì, allora è una chiara indicazione che i cristiani inclusero effettivamente il nome di Dio, il Tetragramma, nei loro Vangeli e scritti. Ed è molto probabile che qui il Talmud si riferisca ai cristiani ebrei. È un’ipotesi che trova consensi fra gli studiosi, e nel Talmud sembra ben suffragata dal contesto. In Shabbath il brano che segue la suddetta citazione narra una storia riguardante Gamaliele e un giudice cristiano nella quale si allude a parti del Sermone del Monte.
Fu solo in un secondo tempo, quando il cristianesimo apostata deviò dai semplici insegnamenti di Gesù, che i sedicenti cristiani smisero di usare il nome di Dio e lo tolsero addirittura dalle copie della Settanta, dai Vangeli e da altri libri biblici.
[Immagine a pagina 31]
Ai giorni di Gesù il nome di Dio compariva nella “Settanta”
[Fonte]
Israel Antiquities Authority