1 CORINTI
Approfondimenti al capitolo 16
la colletta Il termine greco logìa, reso “colletta”, compare solo due volte nella Bibbia, in 1Co 16:1, 2. Il contesto e le parole usate da Paolo indicano che probabilmente si trattava di una colletta di denaro, e non di viveri o vestiario. E dato che Paolo dice “la colletta”, si capisce che si sta riferendo a una particolare colletta di cui i corinti erano già a conoscenza. Sembra che fosse fatta in particolare per i cristiani della Giudea, che all’epoca si trovavano in difficoltà (1Co 16:3; Gal 2:10).
Il primo giorno della settimana Probabilmente qui Paolo si riferisce al giorno dopo il Sabato ebraico. Nell’esortare a mettere da parte qualcosa sin dall’inizio della settimana, sta raccomandando a ogni cristiano di Corinto di dare la priorità a questa cosa. Ogni cristiano avrebbe fatto la propria offerta privatamente e in base alle proprie risorse (1Co 16:1). Qui Paolo non stabilisce, come suggeriscono alcuni, che la domenica diventi per i cristiani quello che il Sabato era per gli ebrei (Col 2:16, 17).
manderò gli uomini [...] a portare il vostro generoso dono a Gerusalemme Intorno al 55 i cristiani della Giudea versavano in povertà; per aiutarli, Paolo si occupò di una colletta tra le congregazioni della Galazia, della Macedonia e dell’Acaia (1Co 16:1, 2; 2Co 8:1, 4; 9:1, 2). Poi nel 56, accompagnato da vari uomini, sarebbe partito per il lungo viaggio verso Gerusalemme, dove avrebbe consegnato i fondi raccolti. Le congregazioni che donarono il denaro furono parecchie, e forse ognuna provvide uomini che accompagnassero Paolo (At 20:3, 4; Ro 15:25, 26). Probabilmente era necessario un gruppo numeroso per motivi di sicurezza, perché i briganti costituivano un serio pericolo quando si viaggiava (2Co 11:26). Dato che a viaggiare con Paolo sarebbero stati solo uomini in precedenza approvati, non ci sarebbe stato motivo di sospettare che impiegassero male quei fondi. Chi aveva contribuito poteva essere sicuro che il denaro sarebbe stato usato bene (2Co 8:20).
Macedonia Vedi Glossario e App. B13.
se Geova lo permette Questa espressione e altre simili usate nelle Scritture Greche Cristiane sottolineano la necessità di tenere in considerazione la volontà di Dio quando si fa o si pensa di fare qualcosa (Eb 6:3; Gc 4:15; vedi approfondimento a 1Co 4:19; per maggiori informazioni sull’uso del nome divino in questa espressione, vedi App. C3 introduzione; 1Co 16:7).
rimarrò a Efeso Queste parole di Paolo sono una chiara prova del fatto che scrisse la lettera di 1 Corinti mentre era a Efeso. Una prova indiretta a sostegno della stessa conclusione si trova in 1Co 16:19, dove Paolo aggiunge ai propri saluti quelli di Aquila e Prisca (Priscilla), i quali, secondo At 18:18, 19, si erano trasferiti da Corinto a Efeso.
Pentecoste Vedi Glossario e App. B15.
una grande porta che dà accesso a un’intensa attività Questo è uno dei tre casi in cui Paolo usa il termine “porta” in senso figurato (2Co 2:12; Col 4:3; vedi approfondimento ad At 14:27). L’attività di Paolo a Efeso ebbe un impatto sulla predicazione in tutta la regione. Paolo trascorse a Efeso circa tre anni (52-55 ca.), e uno dei risultati ottenuti fu che la buona notizia del Regno si diffuse nell’intera provincia romana dell’Asia (At 19:10, 26; vedi Glossario, “Asia”). La buona notizia raggiunse Colosse, Laodicea e Ierapoli (città che si trovavano più all’interno rispetto a Efeso), anche se Paolo evidentemente non ci andò mai di persona. Forse mandò Epafra a iniziare l’opera di predicazione là (Col 4:12, 13). Sembra plausibile che durante questo periodo di intensa attività la buona notizia abbia raggiunto anche le città di Filadelfia, Tiatira e Sardi.
l’opera di Geova Qui Paolo fa riferimento all’opera, o ministero, che Dio aveva affidato a lui e a Timoteo. Come Paolo dice in 1Co 3:9, i cristiani hanno l’onore di essere “collaboratori di Dio”. (Per maggiori informazioni sull’uso del nome divino in questa espressione, vedi App. C3 introduzione; 1Co 16:10.)
Quanto a nostro fratello Apollo Probabilmente Apollo si trovava a Efeso (da dove Paolo stava scrivendo 1 Corinti) o nelle vicinanze. In precedenza aveva predicato a Corinto (At 18:24–19:1a), e i corinti lo stimavano molto. Ora Paolo riferisce di averlo pregato di visitare la congregazione di Corinto, ma aggiunge che Apollo in quel momento non aveva intenzione di andarci. Può darsi che temesse di suscitare ulteriori divisioni nella congregazione (1Co 1:10-12) o che fosse ancora impegnato nel luogo in cui si trovava. Ad ogni modo questo accenno di Paolo al “fratello Apollo” indica che questi due attivi missionari non avevano permesso che le divisioni all’interno della congregazione di Corinto minassero la loro unità, come sostengono alcuni biblisti (1Co 3:4-9, 21-23; 4:6, 7).
con i fratelli Secondo alcuni, i “fratelli” a cui si fa riferimento qui potrebbero essere Stefana, Fortunato e Acaico, che fecero visita a Paolo a Efeso (1Co 16:17, 18) e che poi forse portarono questa lettera a Corinto.
siate coraggiosi Qui compare il verbo greco andrìzomai, che deriva dal sostantivo anèr, ossia “uomo”, “maschio”. Questo verbo alla lettera significa “comportarsi da uomo”, “comportarsi virilmente”, ma l’idea principale che trasmette è quella di mostrare coraggio. Paolo rivolge queste parole a tutti i componenti della congregazione, quindi anche le donne devono mostrare questo tipo di coraggio. Anche se Paolo qui incoraggia a comportarsi da uomini coraggiosi, in un’altra circostanza si sofferma sull’essere premurosi; infatti, parlando di sé e dei suoi compagni d’opera, dice: “Siamo stati premurosi come una madre che nutre i suoi piccoli” (1Ts 2:7). Il verbo andrìzomai ricorre solo qui nelle Scritture Greche Cristiane, ma è usato più di 20 volte nella Settanta a fronte di espressioni ebraiche che significano “essere coraggioso”, “essere forte”. Ad esempio è usato tre volte in De 31:6, 7, 23, dove Mosè comandò al popolo e a Giosuè di essere coraggiosi. È usato tre volte anche in Gsè 1:6, 7, 9, dove Geova disse a Giosuè di essere forte.
do questa esortazione O “supplico”. (Per una trattazione del verbo greco parakalèo che compare qui, vedi approfondimento a Ro 12:8.)
Acaia Vedi approfondimento ad At 18:12.
presenza Qui Paolo usa il termine greco parousìa in riferimento a tre suoi compagni d’opera che erano fisicamente con lui. Il termine ricorre con un significato simile altre cinque volte nelle Scritture Greche Cristiane (2Co 7:6, 7; 10:10; Flp 1:26; 2:12). In altre circostanze è usato in relazione alla presenza invisibile di Gesù Cristo (Mt 24:3; 1Co 15:23). Che una parousìa, o “presenza”, possa essere invisibile è indicato dallo storico ebreo Giuseppe Flavio. Scrivendo in greco, Giuseppe Flavio parla della parousìa di Dio al monte Sinai; quella fu una presenza invisibile resa evidente dai tuoni e dai lampi (Antichità giudaiche, III, 80 [v, 2]). Paolo usa un verbo affine (pàreimi) che significa “essere presente”, “esserci”, quando dice di essere “presente in spirito” ma “assente con il corpo” (1Co 5:3). Anche se molte traduzioni rendono parousìa con “arrivo” o “venuta”, la resa “presenza” è confermata dall’uso che ne fa Paolo in Flp 2:12. Lì utilizza parousìa in riferimento al periodo in cui era “presente”, in contrapposizione al periodo in cui era “lontano”, o assente. (Vedi approfondimento a 1Co 15:23.)
le congregazioni dell’Asia Cioè le congregazioni nella provincia romana dell’Asia. (Vedi Glossario, “Asia”.) In At 19:10 viene detto che durante la permanenza di Paolo a Efeso “tutti quelli che abitavano nella provincia dell’Asia [...] poterono ascoltare la parola del Signore”. Paolo scrisse 1 Corinti intorno al 55 proprio mentre si trovava a Efeso, e probabilmente qui in 1Co 16:19 aveva in mente le congregazioni di Colosse, Laodicea e Ierapoli (Col 4:12-16). Inoltre è possibile che altre congregazioni menzionate nel libro di Rivelazione, incluse quelle di Smirne, Pergamo, Sardi, Tiatira e Filadelfia, fossero già state fondate e fossero quindi tra le congregazioni che mandarono i loro saluti (Ri 1:4, 11).
Aquila e Prisca Vedi approfondimento ad At 18:2.
insieme alla congregazione che si riunisce a casa loro Spesso i cristiani del I secolo si riunivano in case private (Ro 16:3, 5; Col 4:15; Flm 2). Il termine greco reso “congregazione” (ekklesìa) si riferisce a un gruppo di persone radunate con uno scopo comune (1Co 12:28; 2Co 1:1). In questo e in altri versetti alcune Bibbie traducono ekklesìa con il termine “chiesa”. Comunque, dato che a molti il termine “chiesa” fa pensare a un edificio religioso anziché a un gruppo di persone radunate per adorare Dio, la resa “congregazione” è più accurata.
con un santo bacio Vedi approfondimento a Ro 16:16.
di mio pugno, da me Vedi approfondimento a 1Co 1:1.
Vieni, nostro Signore! Qui nel testo originale Paolo usa un’espressione aramaica traslitterata in greco Maràna tha. Proprio come nel caso di altre espressioni semitiche quali “amen” e “alleluia”, a quanto pare questa era un’espressione conosciuta dalla congregazione cristiana, quindi Paolo la poté usare senza doverla spiegare. Maràna tha esprime un’invocazione simile alle parole conclusive di Ri 22:20, dove l’apostolo Giovanni esclama: “Amen! Vieni, Signore Gesù!” Secondo alcuni biblisti l’espressione aramaica va traslitterata Maràn athà, che avrebbe il senso di “il nostro Signore viene” o “il nostro Signore è venuto”.
immeritata bontà Vedi Glossario.