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  • g70 22/6 pp. 20-22
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  • Le chiese negli affari
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Svegliatevi! 1970
g70 22/6 pp. 20-22

Le chiese negli affari

IN ANNI recenti s’è accumulata l’evidenza che le chiese sono profondamente immischiate nei grossi affari, con grande costernazione di numerosissime persone. Hanno investito enormi somme di denaro in una gran varietà di imprese commerciali. Poiché i profitti derivanti da queste imprese commerciali sono molto spesso esenti da tasse, minori sono le tasse riscosse dai governi ad ogni livello. Questo aggrava il peso per il contribuente medio.

Un articolo apparso in Reader’s Digest del marzo 1969 considerava questa perdita di tasse dicendo: “Per il governo federale e statale, le imprese commerciali possedute e gestite dalle chiese rappresentano una grande perdita di reddito, le tasse che si riscuoterebbero se le imprese fossero gestite dalla competitiva industria privata. È impossibile calcolare esattamente la perdita, ma stime fidate calcolano sia di 6,5 miliardi di dollari all’anno”.

Pensate quanto si potrebbero ridurre le tasse dei singoli individui se queste fossero pagate. Questo è ciò che ci perdono gli Stati Uniti soltanto. Anche altri Paesi ci perdono a causa dei redditi esenti da tasse che le chiese traggono da imprese commerciali.

La situazione in Canada fu francamente esposta nei commenti editoriali fatti alla radiostazione CFRA di Ottawa, nell’Ontario, Canada, il 15 novembre 1968. In quella trasmissione fu detto fra l’altro:

“Le chiese han gridato dai pulpiti e dai corridoi degli edifici governativi quanto dovrebbero ridurre le loro opere buone se fossero tassate. . . . Ma ciò che non dicono dai pulpiti, né in nessun altro luogo è il fatto che la chiesa organizzata è divenuta oggi una delle più grandi organizzazioni commerciali del paese, e non un centesimo dei profitti di alcuna di queste organizzazioni è tassato. Quando dunque io dico organizzazioni commerciali voglio dire proprio questo. Le chiese del Canada possiedono partite di macchine usate, possiedono corsie per il bowling, sale da biliardo, palazzi con appartamenti. . . . Il cronista parlamentare Paul Akehurst asserisce che la chiesa di Ottawa è fra i maggiori proprietari di bassifondi della città, traendo profitto dalla miseria altrui, senza che si possa tassare un centesimo di quei profitti.

“Le Chiese Unita e Anglicana del Canada hanno investito più di 100 milioni di dollari, 100 milioni di dollari in ogni specie di impresa immaginabile, sì, anche in alcune industrie che fabbricano armi e napalm da usare contro esseri umani”.

Il Vaticano è a capo della Chiesa Cattolica Romana, e anch’esso è profondamente immischiato nei grossi affari. Dalla sua posizione sul Tevere a Roma governa un vasto impero commerciale che si estende in tutto il mondo.

Recentemente è stato pubblicato un libro che fa un po’ luce sulla misura delle sue operazioni commerciali. Il libro (inglese) s’intitola “L’impero del Vaticano”; è stato scritto da Nino Lo Bello, giornalista cattolico romano. Con attente ricerche l’autore ha potuto raccogliere sufficiente evidenza comprovante che il Vaticano ha un patrimonio commerciale di dimensioni veramente sbalorditive. Egli dice: “Come uno dei massimi azionisti del mondo, il Vaticano possiede titoli frequentemente quotati per un valore di 5,6 miliardi di dollari. La somma è probabilmente un’attenuazione della realtà, poiché il Vaticano ha investimenti negli scambi di tutto il mondo, e anche una moderata stima del suo portafoglio tende a indicare che la cifra superi i 5,6 miliardi di dollari”.

Il numero di società che possiede o nelle quali ha forti interessi solo in Italia è strabiliante. Servendosi di una società che possiede per ottenere una partecipazione determinante in un gran numero di altre ditte riesce a nascondere, fino a un certo punto, che ne è proprietario. Per esempio, il Vaticano è il principale azionista dell’Italgas, l’unica società che fornisca gas nelle case in trentasei città italiane. Questa società, a sua volta, controlla undici altre ditte interessate alla produzione di catrame, anidridi, minerali di ferro, fosforo, coke, distillate, acqua potabile, impianti di riscaldamento, stufe a gas, apparecchi a gas e forni industriali.

Il Vaticano ha azioni anche nella massima impresa italiana di costruzioni, la Società Generale Immobiliare, riferisce il sig. Lo Bello. Recentemente, comunque, il Vaticano ha venduto la maggior parte del suo interesse del 15 per cento in questa grande società immobiliare. Perché? La rivista Time del 28 novembre 1969 riferiva: “In Italia l’agitazione sociale è in aumento. Ansioso d’allineare la chiesa con la classe lavoratrice, il Vaticano vuole sottrarsi a qualsiasi responsabilità per la chiusura di stabilimenti inefficienti, licenziamento di operai o per l’essere dall’altra parte nelle trattative quando i sindacati chiedono un aumento dei salari. . . . Gli uomini della finanza si aspettano che la chiesa investa fuori d’Italia più fondi di quanti non ne abbia investiti in passato”.

La Società Montecatini-Edison ha nel suo consiglio dei direttori parecchi laici che rappresentano gli interessi del Vaticano. Questo indica che gran parte delle azioni di quella società son possedute dal Vaticano. Essa è una delle maggiori società in Italia. Essa controlla o possiede nel paese diciannove altre ditte. Fuori d’Italia ha un certo numero di aziende straniere associate.

Banche e assicurazioni

Le tre principali banche italiane hanno stretti legami col Vaticano. Sono la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano e il Banco di Roma. Una quarta banca, il Banco di Santo Spirito, è interamente di proprietà del Vaticano. Queste quattro banche “hanno più del 20 per cento di tutti i depositi bancari in Italia”, asserisce il sig. Lo Bello.

Ma queste non sono le uniche banche ad avere legami col Vaticano. Nell’Italia settentrionale il Vaticano possiede sette grandi banche. Ci sono poi tredici altre banche in cui esso ha forti investimenti. In altre sessantadue banche ha partecipazioni minime. Oltre a queste banche, secondo il sig. Lo Bello, vi sono “migliaia e migliaia di piccole banche rurali sparse in tutta Italia” che “sono al 100 per cento di proprietà del Vaticano o della locale parrocchia. . . . Molte di queste piccole banche si trovano nel sud e nelle due principali isole italiane del Mediterraneo, Sicilia e Sardegna”.

Nel 1967 un istituto finanziario, di proprietà di una società di cementi nella quale il Vaticano ha una partecipazione determinante, comprò otto banche e le fuse in unica società, l’Istituto Bancario Italiano. Le ulteriori fusioni progettate faranno di questa società una delle più grandi istituzioni bancarie d’Europa.

Come ci si poteva aspettare, il campo delle assicurazioni non è stato trascurato dal Vaticano. Esso possiede due importanti compagnie d’assicurazioni, le Assicurazioni Generali di Trieste e Venezia e la Riunione Adriatica di Sicurtà. Oltre a queste due almeno altre nove compagnie assicuratrici hanno legami col Vaticano.

Altre società ancora che sono possedute o controllate dal Vaticano, o su cui esso esercita la sua influenza, si interessano di tessuti, munizioni, dinamite, miniere, prodotti farmaceutici, pellicce, zucchero, prodotti di carta, attività editoriale, spedizioni, automobili, comunicazioni telefoniche, impianti per bagni, forniture idrauliche, vernici, prodotti di plastica, prodotti chimici, paste alimentari, bottoni, cellulosa, cotone, lana, confezioni, turismo, grandi magazzini, alberghi, ecc. Pare sia difficile trovare un settore del mondo commerciale in cui il Vaticano non abbia investito il suo denaro.

Patti lateranensi

Secondo Lo Bello, uno stabilimento di munizioni di proprietà del Vaticano “fornì armi all’esercito italiano’’ quando invase l’Etiopia nel 1935. Solo alcuni anni prima di ciò, nel 1929, il Vaticano aveva firmato un concordato con l’allora governante d’Italia, il dittatore fascista Mussolini. Questo concordato è chiamato nella storia Patti Lateranensi.

Fra l’altro, questo concordato concedeva al Vaticano il pagamento per gli stati pontifici che il regno d’Italia aveva occupato nel diciannovesimo secolo. Il territorio consisteva di circa 41.400 chilometri quadrati entro i confini d’Italia. In compenso Mussolini diede al Vaticano 55.800.000.000 di lire. Egli accettò pure di pagare il salario dei parroci di tutta Italia. Fino a questo giorno il governo italiano, riferisce Lo Bello, paga il salario di oltre 30.000 sacerdoti nonostante il fatto che il Vaticano potrebbe benissimo permettersi di pagare questi salari.

Il concordato pure concesse al Vaticano l’esenzione dalle tasse, e Mussolini l’estese al reddito derivante dalle società commerciali del Vaticano. In anni recenti il governo italiano ha fatto alcuni sforzi per tassare i dividendi che il Vaticano percepisce sui suoi enormi investimenti. Ma questi sforzi non avevano avuto molto successo fino al 1968, quando fu riferito che il Vaticano si era piegato alle richieste del governo italiano di pagare le tasse sui dividendi delle azioni.

Dopo aver elencato alcune delle numerose società in cui il Vaticano ha notevoli partecipazioni il sig. Lo Bello osserva: “I summenzionati particolari costituiscono una spiacevole evidente prova che il Vaticano e i suoi uomini si son trovati un posto sicuro nel mondo dei grossi affari”.

Il vasto patrimonio commerciale del Vaticano e di altre organizzazioni religiose le lega inseparabilmente al mondo commerciale. Che differenza dai veri cristiani dei quali Gesù Cristo disse: “Essi non sono parte del mondo”! — Giov. 17:16.

L’organizzazione religiosa che veramente serve Dio, in armonia con l’esempio dato da Gesù Cristo, si concentra nella predicazione e nell’insegnamento delle affrancatrici verità della sua Parola e non s’immischia negli affari commerciali. Seguendo le istruzioni della Bibbia, non s’immischia “negli affari commerciali della vita”. — 2 Tim. 2:4.

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