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  • Vita fra la “gente” artica del Canada

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  • Vita fra la “gente” artica del Canada
  • Svegliatevi! 1970
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  • Case di neve
  • Mezzi di sussistenza
  • Moderni cambiamenti
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    Svegliatevi! 1973
Altro
Svegliatevi! 1970
g70 8/8 pp. 25-28

Vita fra la “gente” artica del Canada

Dal corrispondente di “Svegliatevi!” nel Canada

LE FREDDE terre artiche del Canada sono ancora abitate principalmente dagli Eschimesi. In genere si suppone che in qualche tempo del remoto passato i loro antenati attraversassero l’angusto Stretto di Bering per stabilirsi come unici abitanti nativi lungo tutta la parte settentrionale del Nordamerica fino alla Groenlandia.

Gli Eschimesi si chiamano “Inuit”, parola che significa semplicemente “uomini” o “gente”. Sono ora circa 50.000 o più di numero, e gran parte di essi abitano il Canada settentrionale. Sono persone amichevoli e ospitali, note per il loro buon umore. Parlano tutti la stessa lingua, sebbene essa varii da zona a zona.

Gli Inuit sono in genere più bassi dei loro vicini bianchi del sud, e hanno la pelle leggermente più scura. D’altra parte, sono più chiari degli Indiani d’America, con cui sono imparentati. Appartengono entrambi al ceppo mongoloide. Gli Eschimesi hanno capelli neri e diritti, occhi obliqui, zigomi alti e faccia larga. Hanno un aspetto molto orientale.

Gli Eschimesi sono fisicamente adatti al loro clima freddo. Per esempio, essendo di costituzione bassa e tarchiata trattengono meglio il calore che non la persona alta e sottile. Inoltre, hanno uno spesso strato di carne sulla faccia.

Fino a circa settant’anni fa gli Eschimesi furono lasciati ad arrangiarsi in gran parte da sé. È vero che le baleniere stabilivano fra loro campi estivi durante il diciannovesimo secolo, e anche precedenti esploratori e mercanti di pellicce avevano avuto contatti con loro. Ma solo in questo secolo gli Eschimesi hanno mantenuto stretti contatti col mondo esterno. Pertanto, particolarmente dalla fine della seconda guerra mondiale, essi hanno notevolmente cambiato il loro modo di vivere. Molti vivono in modo assai diverso dai loro genitori e nonni di relativamente poco tempo fa.

Case di neve

Oggi la casa di neve è una vista rara. Comunque, gli Eschimesi le costruiscono ancora, specialmente il piccolo iglù per una notte che l’Eschimese costruisce quando si sposta lungo la pista dove ha messo le trappole. In un’ora può avere un riparo che lo proteggerà dai pungenti venti artici. Per costruire una dimora più permanente ci vuole un po’ più tempo, ma si può terminare prima del calar della notte.

Il solo strumento necessario per la costruzione è un coltello dalla lama lunga per tagliare i blocchi di neve gelata. Quando la casa è terminata ha l’aspetto di un globo tagliato a metà. Di solito ha un diametro di due metri e mezzo o tre metri, secondo la grandezza della famiglia. Dal pavimento alla cima è alta in media poco meno o poco più di due metri. In alcuni iglù si entra per una galleria che gira parzialmente attorno all’esterno così che l’effettivo ingresso è completamente al riparo dal vento.

La famiglia dorme su una bassa piattaforma di neve su cui si mette un giaciglio di ramoscelli di salice, coperto poi con pelli di caribù. A volte le pelli arrivano fino a metà delle pareti e le estremità sono fissate tra due strati di blocchi di neve. Il sistema di riscaldamento è semplice, il “kudlik”, un oggetto a forma di bassa ciotola ricavato dalla pietra. Vi si brucia grasso di foca o di balena. Non genera molto calore, ma se ne sente senz’altro la mancanza quando la provvista di grasso finisce. In passato un robusto Inuit poteva costruire parecchi iglù durante l’inverno, specialmente se la caccia rendeva necessari frequenti spostamenti.

Mezzi di sussistenza

Cacciare e tender trappole sono stati per lungo tempo i mezzi di sussistenza dell’Eschimese. Se in una località la cacciagione era scarsa, spostava l’intera famiglia in una zona dove animali e pesci erano più abbondanti. I figli maschi accompagnavano i padri a caccia, ricevendo addestramento su come provvedere per la famiglia. Balene, trichechi, foche, caribù e il famoso orso polare erano i principali elementi della dieta, ma questi venivano integrati con selvaggina più piccola come uccelli e pesci. In genere la carne si mangiava essiccata, congelata o cruda.

La responsabilità delle donne eschimesi è sempre stata quella di badare alle faccende domestiche e pulire e preparare le pelli per fare articoli di vestiario. L’arte di ammorbidire le pelli per cucirle con facilità e ricavarne parka (giubboni con cappuccio), guanti e mukluk (stivali di foca) è stata tramandata di madre in figlia per generazioni.

Durante la breve stagione in cui le acque sono navigabili gli Eschimesi costruiscono il caiaco di pelli di foca per pescare e viaggiare. È abbastanza leggero da poterlo trasportare con una mano, essendo fatto di resistenti pelli impermeabili tese su un leggero telaio di legno a forma di punta a ciascuna estremità. Con una pagaia a due pale si può far muovere questa piccola barca sull’acqua a sorprendente velocità. Una barca più grande fabbricata dagli Eschimesi è l’umiak. Può trasportare più di una persona e si costruisce pure tendendo le pelli su un telaio di legno.

Spesso l’Eschimese fa forte assegnamento sui suoi cani “eschimesi”, razza fornita di folto pelame esterno e di un altro manto di pelo fine vicino alla pelle che impedisce loro di “bagnarsi fino alle ossa”. Questi cani sono stati impiegati per tirare slitte di tre specie. Il komatik è la più grande, lunga a volte fino a sei metri e mezzo. Questa slitta e tirata di solito da una muta di nove cani, disposti talvolta a ventaglio o a coppie, con il cane guida davanti da solo. Sono stati impiegati anche toboga con bordi di tela e due sedili di legno dietro per chi guida. Sono tirati da tre o cinque cani. E un altro tipo ancora di veicolo è la slitta a cesto. È tenuta sollevata dal suolo per mezzo di pattini. Ha sponde laterali per proteggere il carico e per fornire al guidatore qualcosa cui aggrapparsi.

Moderni cambiamenti

Benché le slitte tirate da cani siano ancora in uso, esse vengono sostituite da toboga a motore. Essi sono molto richiesti dagli Eschimesi. Infatti, possederlo è divenuta per molti un’ambizione personale. Ma questo è solo uno dei maggiori cambiamenti del moderno modo di vivere degli Eschimesi.

Invece della vita nomade dei loro antenati, gli Inuit si radunano in colonie accanto ai lavoratori bianchi, e si dedicano a occupazioni come estrazione di minerali, estrazione del petrolio, pilotaggio di aerei, ecc. Pertanto, anziché abitare nelle case di neve o iglù, molti abitano case prefabbricate a basso costo fornite dal governo canadese. Molte di queste case sono dotate di elettricità e hanno moderni impianti idraulici e caloriferi ad aria compressa.

Ciò nondimeno, la maggior parte degli Eschimesi fanno ancora assegnamento sul tendere trappole e cacciare come mezzi di sussistenza. Ma giacché i prezzi delle pellicce sono molto instabili, questi Eschimesi sono incoraggiati dal governo canadese ad arrotondare le loro entrate per mezzo di lavori come sculture di steatite, stampa su pelli di foca e la fabbricazione dell’“ookpik” eschimese, bambolina dall’aspetto buffo. Molti Inuit mostrano vero talento per tali arti.

Non molto tempo fa l’istruzione dei giovani eschimesi si limitava principalmente a ciò che veniva loro insegnato dai genitori per prepararli agli obblighi della vita adulta. Solo venticinque anni fa c’erano pochissime scuole regolari nelle regioni artiche del Canada. Ma ora ce n’è a sufficienza per dare a ogni ragazzo e ragazza d’età scolastica la regolare istruzione secolare.

L’alimentazione eschimese consiste ancora principalmente di carne e pesce, ma include ora un’ampia varietà di altri cibi. Fino a poco tempo fa il cibo si doveva ordinare nel sud con un anno di anticipo, e durante la breve stagione in cui le acque erano navigabili la nave che portava le provviste una volta all’anno consegnava derrate alimentari in scatola e disidratate. Anche se il grosso delle provviste è ancora trasportato per nave, i servizi aerei consentono di comunicare col mondo a sud praticamente per tutto l’anno. Portano la posta e cibi freschi, talvolta due o tre volte la settimana, e permettono anche alla gente del nord di concedersi altre moderne comodità.

L’introduzione di questi prodotti alimentari e migliori condizioni sanitarie hanno contribuito negli scorsi pochi anni ad accrescere molto rapidamente la popolazione degli Inuit. Anni fa la mortalità infantile era molto alta fra gli Eschimesi non solo a causa di malattie, ma anche per la pratica dell’infanticidio.

L’infanticidio era comune perché in questo paese dove non c’erano né cibi vegetali né strade, la madre doveva allattare il bambino e trasportarlo ovunque sul dorso finché non avesse circa tre anni. Aver cura di un altro bambino in questo periodo sarebbe stato superiore alle sue forze. Pertanto, anche se è noto che gli Eschimesi amano i bambini, essi non esitavano a uccidere un neonato, specialmente se era una bambina.

Tuttavia un altro cambiamento nella vita della gente artica del Canada è avvenuto nella loro religione. In passato adoravano quasi ogni fenomeno della natura. Un dio-cielo chiamato Sila riceveva gli attributi di essere supremo. E una divinità femminile chiamata Sedna era adorata come colei che controllava la provvista delle foche. Ma a metà del ventesimo secolo quasi tutti gli Eschimesi erano divenuti almeno cristiani nominali in seguito alla predicazione di missionari protestanti e cattolici.

Negli scorsi pochi anni, comunque, molti si sono resi conto che queste religioni della cristianità sono cristiane solo di nome. Pertanto molti Eschimesi, che hanno imparato ad amare e a rispettare la Bibbia, accettano la buona notizia inerente al regno di Dio predicata dai testimoni di Geova. Alcuni di essi sono ora attivamente impegnati nell’aiutare i loro simili Inuit a conoscere le promesse di Geova Dio per la vita nel suo giusto nuovo ordine. È davvero appropriato che gli Eschimesi preferiscano chiamarsi “Inuit” (“gente”), poiché nel nuovo ordine di Dio gli uomini non saranno divisi in gruppi nazionali, ma saranno semplicemente il ‘popolo’ di Dio. — Riv. 21:3, 4.

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