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  • Dilemma per i medici
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Svegliatevi! 1971
g71 8/9 pp. 25-27

Dilemma per i medici

GLI ospedali e i medici dell’Illinois, negli U.S.A., rimasero di sasso per la decisione emanata da una corte superiore alla fine del 1970. Il loro sbigottimento si estese ad altri medici in ogni parte degli Stati Uniti.

Quale decisione aveva prodotto simile sorpresa? La Corte Suprema dell’Illinois aveva decretato che gli ospedali possono essere responsabili dei danni quando un paziente contrae l’epatite a causa di trasfusione di sangue.

La decisione fu un colpo per molti medici. Ma in realtà, non doveva essere così inaspettata. Perché no? Perché da anni si è andato accumulando un monte di evidenza comprovante che le trasfusioni di sangue possono danneggiare e perfino uccidere.

I medici che si sono tenuti al corrente dei più recenti sviluppi nel campo della medicina lo sanno. Come disse Winfield Miller, coeditore di Medical Economics: “Nessun prodotto biologico è in grado di causare errori mortali nella pratica medica più del sangue. Più di un medico ha appreso con suo rincrescimento che ogni flacone di sangue delle banche del sangue è in potenza un flacone di nitroglicerina”.

Le autorità sanitarie ammettono che ogni anno solo negli Stati Uniti hanno luogo circa 3.000 decessi per epatite contratta in seguito a trasfusioni di sangue. Inoltre, si valuta che ne derivino 30.000 casi gravi di epatite, e un numero di casi non altrettanto gravi parecchie volte superiore. Ulteriori decessi e malattie derivano da altre complicazioni causate dalle trasfusioni di sangue.

A causa di tali decessi e malattie, in anni recenti sono stati intentati molti processi contro medici e ospedali. Il dott. Lester Unger, ematologo conosciuto in tutti gli Stati Uniti, disse: “I processi dovuti a trasfusioni di sangue sono più prevalenti ora che in qualsiasi altro tempo per quanto ricordo”.

Un processo molto significativo fu quello tenuto dinanzi alla Corte Suprema dell’Illinois. La causa riguardava la Sig.ra Frances Cunningham. Ella era stata ricoverata nel MacNeal Memorial Hospital di Berwyn, nell’Illinois, nel 1960 e fu curata per anemia. Durante la cura ricevette vari litri di sangue. Ma il sangue era infetto, ed ella contrasse una grave forma di epatite sierosa. Citò l’ospedale chiedendo L. 31.000.000 di risarcimento danni.

Una corte inferiore aveva respinto la sua richiesta. Ma la Sig.ra Cunningham ricorse in appello presso una corte superiore. I suoi avvocati citarono le decisioni prese in altre cause in cui venditori erano stati ritenuti responsabili dell’innocuità dei loro prodotti. Essi sostennero che il sangue è un prodotto e che gli ospedali devono essere ritenuti responsabili quando esso è guasto.

La Corte Suprema dell’Illinois fu d’accordo. Essa decretò che il venditore di un prodotto “deve subire legalmente le conseguenze del danno da esso causato, anziché lasciare che tale perdita ricada sul singolo consumatore il quale è interamente senza colpa”. L’Associazione degli Avvocati Difensori Americani fu pure d’accordo con il tribunale. Essi osservarono che chiese, scuole, associazioni cristiane giovanili e orfanotrofi non sono immuni, per cui non lo dovrebbero essere nemmeno gli ospedali.

Il giudice del tribunale John Culbertson respinse le asserzioni della difesa secondo cui il sangue fosse un ‘servizio’ e non un ‘prodotto’ e secondo cui gli ospedali dovessero essere immuni dall’essere perseguiti per legge. Egli decretò che il sangue è un prodotto come altri articoli “inalterati dal loro stato naturale, i quali sono distribuiti per il consumo umano”. Osservò che la legge dell’Illinois ritiene responsabile dei danni chi distribuisce funghi velenosi, benché i funghi non siano “né cotti, né in scatola, né in pacchetti, né altrimenti lavorati”.

In seguito a questa decisione, i medici ritengono che possa abbattersi su di loro una fiumana di processi. Ma devono incolpare solo se stessi. Per anni hanno imposto trasfusioni di sangue, insistendo che fossero assolutamente necessarie, quando l’evidenza dimostrava che non lo erano. Molte sostanze diverse dal sangue hanno reso un ottimo servizio.

L’équipe degli specialisti del cuore dell’Istituto di Cardiologia di Houston, nel Texas, che include il dott. Denton Cooley, scrisse nel Journal of the American Medical Association del 10 agosto 1970: “Seguiamo la norma di evitare l’uso di trasfusioni di sangue ogni volta che è possibile in tutte le operazioni . . . Abbiamo riscontrato che la trasfusione di sangue non deve necessariamente accompagnare gli interventi chirurgici vascolari, ma in realtà ha certi svantaggi come il rischio dell’epatite. . . . i pazienti che si rifiutano di accettare sangue possono di solito sottoporsi a maggiori operazioni senza rischio proibitivo e avere favorevoli risultati postoperatori”.

In considerazione di tali scoperte, i medici dovrebbero ricordare che, sebbene essi raccomandino l’impiego di sangue, si dovrebbe rispettare il diritto del paziente di rifiutarlo. E in genere, le corti degli Stati Uniti sono state d’accordo, decretando che il paziente ha il diritto di rifiutare qualsiasi trattamento non voglia.

I medici rendono in effetti un servizio molto utile. Il loro duro lavoro e la loro assistenza ai malati sono lodevoli. Ma quando un medico non tiene conto dei desideri del suo paziente, egli non si rende più utile. Tale medico farebbe bene a chiedersi di che cosa in realtà si preoccupa: del suo paziente o del suo lavoro e della sua reputazione?

Alcuni medici hanno perfino rifiutato di prestare qualsiasi cura ai pazienti che per motivi di coscienza respingevano le trasfusioni di sangue potenzialmente pericolose. Trovandosi senza nessuna assistenza, in alcuni casi i pazienti hanno dovuto sprecare tempo prezioso per trasferirsi in un altro ospedale dove i medici li hanno curati secondo i loro desideri. Inoltre, altri medici hanno cercato di ottenere o hanno ottenuto ordinanze di tribunali che costringevano adulti e bambini a sottoporsi a trasfusioni di sangue per ‘salvare una vita’. Ma poi questi stessi medici hanno fatto dietro-front e hanno eseguito o approvato aborti che uccidono delle vite. Tali azioni sono incoerenti, per dire il meno.

Che cosa non va in questo tipo di medico? Il dott. Ervin Nichols di Palo Alto, U.S.A., ammise: “Mi pare che la nostra reazione abbia in parte a che fare con il nostro proprio io in quanto . . . il paziente non ubbidisce al nostro ordine”. E il dott. John Morton di Los Angeles convenne: “Forse troppo spesso il nostro io ci fa pensare che se le nostre raccomandazioni non sono accettevoli allora il paziente vada altrove”.

Ma ora, i medici che non ammettono i pericoli della trasfusione di sangue si pongono in un serio dilemma. Possono andare incontro a una costosa azione legale.

I medici onesti che hanno realmente a cuore il benessere dei loro pazienti si rendono conto di non essere padroni dei pazienti, ma in effetti i loro dipendenti. Comprendono che sono liberi di fare raccomandazioni, ma che pure il paziente è libero di accettarle o respingerle. E quando una raccomandazione è respinta, questi medici offrono le migliori alternative che conoscono. Aiutano il paziente nel miglior modo che possono. I malati possono essere grati del servizio di tali uomini premurosi.

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