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  • Suriname, il paese delle kottomissie
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Svegliatevi! 1975
g75 22/9 pp. 25-26

Suriname, il paese delle kottomissie

Dal corrispondente di “Svegliatevi!” nel Suriname

LA VARIA popolazione del Suriname comprende Creoli, Indù, Indonesiani, Boscimani, Amerindi, Cinesi, Olandesi e altri. Nella sua città capitale di Paramaribo si possono vedere signore in abiti moderni, ma anche donne indù in sari, donne indonesiane in sarong, Boscimane in toghe dai vivaci colori e altre che indossano il “kottojakki”. Desidero parlarvi di questo vestito.

Trovate strano il suo nome? Ha origine dalla lingua del Suriname, “kotto” significa mantello e “jakki” significa giacca. Naturalmente, “missie” significa signorina o signora. Questa è dunque la ragione per cui la signora che indossa questo tipico abito è chiamata “kottomissie”.

La storia di questo abito risale ai tempi della schiavitù, a più di cento anni or sono. La maggioranza degli schiavi portati dall’Africa andavano in giro quasi nudi, e molte giovani fanciulle erano bellissime. Frequentemente accadeva che i proprietari di schiavi erano attratti dal loro fascino fisico e facevano loro proposte indebite. Si decise dunque di cercar di scoraggiare questo.

Le mogli dei proprietari di schiavi, secondo quanto si narra, si riunirono per discutere la questione. Esse decisero di disegnare un abito che coprisse interamente il corpo delle fanciulle, facendole apparire informi. Si concepì così il “kottojakki”!

Le donne cominciarono col disegnare una grande sottoveste. La legarono con un “kooi”, cioè con un pezzo di panno pieno di paglia, posto sopra i fianchi. Quindi la sottoveste era sollevata così che pendeva dal “kooi” rigonfio, nascondendo in tal modo i fianchi. Il bel “kotto” a colori, o sopravveste, si indossava sopra la sottoveste. E per coprirlo fu disegnato un doppio “jakki” o giacca. Questa era abbastanza lunga da giungere al “kooi” e aveva maniche lunghe per tre quarti. La stoffa era molto inamidata. Con questo abito una fanciulla snella sembrava dunque come una del peso di cento chili!

Un “anjisa”, o copricapo, fu disegnato per metterlo col vestito. Col passar del tempo, le donne cominciarono a legarsi questi fazzoletti da copricapo a colori in modo tale da indicare le loro varie disposizioni, sia d’amore, che di gelosia, ira, ecc.

La moda dell’“anjisa” ebbe altri significati, oltre a indicare la disposizione di chi lo portava. Per mezzo d’essi le fanciulle davano appuntamento ai loro fidanzati e mostravano se li amavano ancora.

L’“anjisa” che si portava indicava anche la posizione o l’occupazione. Per esempio, ce n’era un tipo che indicava le prostitute. Una schiava che aveva cura dei figli del proprietario di schiavi portava uno speciale tipo di “kottojakki” e un “anjisa” con un ampio orlo intorno. In cima a esso ella portava un cappello. Così tutti potevano vedere dal suo vestito che era una speciale fanciulla schiava.

Un copricapo “mek sani édé”, o “fa le cose”, è interessantissimo. Si fa legando insieme tre “anjisa”, con tutti i dodici angoli sporgenti. E per corrispondere a ciò, tre “kottojakki” erano indossati l’uno sull’altro, ciascuno più corto dell’altro così che si vedevano tutt’e tre. Un “anjisa” sciolto era tenuto in ciascuna mano. Questo vestito era per occasioni speciali, come quando una persona influente dall’estero visitava il Suriname.

Le “kottomissie” davano a tale persona il benvenuto, inchinandosi e dicendo alcune parole di benvenuto. Quindi, mentre erano ancora di fronte alla persona, rifacevano i loro passi facendo ondeggiare gli “anjisa” nelle loro mani. Stendevano inoltre a terra gli “anjisa” sciolti così che la persona influente vi camminasse sopra. Questo significava: “Io la onoro tanto che la faccio camminare perfino su ciò che porto sulla mia testa”.

Una più recente moda di legare l’“anjisa” si chiama “oto baka”, che significa respingente di automobile. Questa moda si fa piegando le estremità dell’“anjisa” insieme dietro la testa a forma di un respingente.

Ora solo le donne più anziane si vedono indossare a volte il “kottojakki”, ma senza l’imbottitura di paglia. Più frequentemente portano un semplice “anjisa” legato. Per avvenimenti speciali, comunque, come per il Giorno dell’Emancipazione, che celebra l’abolizione della schiavitù del 1863, molte donne, giovani e vecchie, sfilano per le vie con questo interessante vestito dei tempi passati.

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