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  • La mia vita di chirurgo

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  • La mia vita di chirurgo
  • Svegliatevi! 1974
  • Sottotitoli
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  • Divento chirurgo
  • La controversia della trasfusione di sangue
  • Intolleranza medica
  • Il Testimone come paziente
  • Si continua a imparare
  • Successi della chirurgia moderna
  • Attività come ministro cristiano
  • Tecniche di avanguardia per operare senza sangue i testimoni di Geova
    Svegliatevi! 1991
  • Né maghi né dèi
    Svegliatevi! 1994
  • Siete pronti ad affrontare un problema medico che mette alla prova la fede?
    Il ministero del Regno 1990
  • Quando i medici cercano di imporre le trasfusioni di sangue
    Svegliatevi! 1974
Altro
Svegliatevi! 1974
g74 8/9 pp. 17-24

La mia vita di chirurgo

LA CARRIERA di chirurgo che scelsi è una delle più antiche professioni dell’uomo. Antichi documenti egiziani e babilonesi parlano di interventi chirurgici eseguiti ben quattromila anni fa. E alcuni reperti archeologici indicano che la chirurgia è ancora più antica.

Infatti, mi piace pensare che la chirurgia è antica quanto l’uomo stesso, poiché in Genesi 2:21, 22 la Bibbia ci dice: “Dio fece cadere sull’uomo un profondo sonno e, mentre dormiva, prese una delle sue costole e chiuse quindi la carne sul posto d’essa. E Geova Dio edificava la costola che aveva presa dall’uomo in una donna e la conduceva all’uomo”. Appare degno di nota che Dio anestetizzò Adamo prima di operarlo, e dopo ‘cucì’ l’incisione. E un’operazione chirurgica di minore entità eseguita dall’uomo risale come minimo al tempo di Abraamo. Dietro comando di Dio egli stesso e tutti i maschi della sua casa si fecero circoncidere. — Gen. 17:10-14, 22-27.

Un illustre professore americano di chirurgia dichiarò una volta: “L’addestramento del chirurgo è il più rigoroso ed esigente fra tutte le professioni od occupazioni e le sue responsabilità sono le più gravose”. Che cosa mi fece dunque scegliere questa professione? La mia educazione e il fatto che il lavoro offriva soddisfazioni oltre ad essere interessante.

Mio padre era un medico di campagna. Abitava in una cittadina dell’Oklahoma e prestava i suoi servizi di medico ai coloni e ad altri per molti chilometri all’intorno. C’erano cinque maschi in famiglia, e io ero il maggiore.

Nei primi tempi mio padre usava il calesse e il cavallo per visitare i malati in campagna. All’epoca che cominciò a usare una Ford Modello T per visitare i pazienti, io lo accompagnavo. Infatti, ancor prima che avessi dodici anni ero il suo autista a mezza giornata, oltre che, per così dire, il suo assistente medico.

Col passar degli anni potei aiutarlo sempre più in quei giorni in cui le operazioni si eseguivano sul tavolo da cucina. Un caso memorabile fu quello di un contadino che aveva preso un calcio in testa dal suo mulo ed era rimasto quasi scotennato. L’operazione fu eseguita da mio padre sotto un albero, mentre io lo assistevo affascinato.

A volte quando un paziente aveva bisogno dell’anestetico ero io che dovevo fargli respirare un poco di cloroformio mentre papà eseguiva l’operazione. Oggi, naturalmente, si usano alcuni anestetici migliori e di rado si eseguono operazioni sotto gli alberi.

Divento chirurgo

Terminata la scuola superiore andai all’università. Scelsi quella che mi parve la strada naturale da seguire, quella di fare il medico. Mio padre non mi aveva mai incoraggiato a intraprendere la sua professione, ma non ce n’era stato bisogno. Il suo esempio, la sua benignità e la sua compassionevole bontà e sollecitudine, nonché il grande rispetto in cui era tenuto, suscitarono in me il desiderio di fare a mia volta il medico.

Cominciai frequentando un corso scientifico di due anni all’Università dell’Oklahoma per prepararmi allo studio della medicina e poi continuai con il regolare corso quadriennale alla scuola di medicina di quell’università. Lo studio delle varie materie mediche come anatomia, fisiologia, biochimica e istologia era difficile, ma mi piaceva. A metà di questo corso ricevetti la laurea di scienze e da allora in poi il corso incluse anche il tirocinio presso i malati d’ospedale e l’assistenza a domicilio di donne che erano troppo povere per permettersi di partorire all’ospedale.

A volte la leggerezza giovanile aveva il sopravvento sulla serietà dell’istruzione medica. Dopo aver partorito la sua bambina a domicilio, una madre udì un altro studente e me usare la parola “placenta”. Questa parola aveva un bel suono per lei così suggerì di dare questo nome alla sua bambina. Senza darle spiegazioni, compilammo conformemente l’ufficiale certificato di nascita. Ben presto, comunque, i nostri professori e le autorità ci diedero una lavata di capo e dovemmo chiedere scusa alla madre e aiutarla a pensare a un altro nome più accettevole di “Placenta”.

Dopo la laurea feci un anno di internato all’ospedale della città di Baltimora, nel Maryland. Quell’anno passai da una specializzazione all’altra, come medicina generale, pediatria, chirurgia, ostetricia e ginecologia e psichiatria. Questa esperienza pratica mi aiutò a vedere che cosa avveniva in questi vari campi. Alla fine dell’anno scelsi la chirurgia; mi sembrò la più interessante e quella che presentava una maggiore sfida. Di lì andai a un ospedale di una cittadina del Tennessee per continuare il mio addestramento di chirurgo ma poco dopo mi ammalai di tubercolosi, che probabilmente avevo contratta da malati di tubercolosi assistiti a Baltimora. Andai così in sanatorio per alcuni mesi e poi tornai a casa nell’Oklahoma, fin quando non fui guarito circa un anno dopo.

Fui allora assunto come chirurgo interno all’Ospedale della Contea di Santa Barbara, in California. Dopo circa un anno entrai a far parte come chirurgo di un gruppo di ventiquattro medici che esercitavano in privato. Successivamente presi un permesso di due anni per poter fare ulteriore tirocinio con il prof. Owen H. Wangensteen uno dei più illustri chirurghi d’America, negli Ospedali dell’Università del Minnesota. Infine, dopo circa quattordici anni di studio e di tirocinio in scuole preparatorie e di medicina, e dopo aver fatto tirocinio specializzato in ospedale, oltre ad essermi fatto un’esperienza pratica, realizzai la mia ambizione d’essere un chirurgo generico in piena regola.

Ma poi accadde qualcosa che doveva cambiare sia la mia veduta della vita che il mio avvenire di chirurgo. In stretta relazione con questo fu il soggetto della trasfusione di sangue e la controversia suscitata al riguardo dai cristiani testimoni di Geova.

La controversia della trasfusione di sangue

In tenera età fui influenzato da mio padre non solo come medico; entrambi i miei genitori erano anche testimoni di Geova, i soli in un raggio di molti chilometri. Crebbi nutrendo grande rispetto per la Bibbia, ma con poca vera conoscenza d’essa. Questo fu senz’altro dovuto in parte al fatto che mio padre era tanto occupato nel suo lavoro di medico. Inoltre, allora non si dava tanta importanza al programma familiare di studio della Bibbia come fanno ora i testimoni di Geova. Così lasciai la casa per l’università, un ragazzo di campagna deciso a fare il medico, fortemente condizionato dai princìpi scritturali che in realtà avrei imparato ad apprezzare solo parecchi anni dopo.

Negli anni che frequentai la scuola di medicina, assistetti alle mie prime trasfusioni di sangue, che avvenivano in modo semplice fra donatore e paziente, alquanto eroiche e solitamente prive di successo. Ma la seconda guerra mondiale, con la sua spaventosa perdita di sangue, diede impeto alle trasfusioni. La guerra spinse anche la maggioranza dei medici della mia età a prestare servizio nelle forze armate. Mi offrii volontario come chirurgo nell’Esercito ma fui respinto perché avevo avuto la tubercolosi. Provai in seguito a entrare in Marina non rivelando che in passato ero stato malato, ma in qualche modo lo scoprirono ugualmente e così anche la Marina mi respinse. Continuai dunque la mia carriera civile di chirurgo.

Fino alla morte di mio padre avvenuta al principio del 1950, la cosa più importante della mia vita fu la mia carriera di chirurgo. Ma la sua morte e il discorso funebre che udii in quell’occasione mi scossero, inducendomi a pensare seriamente alla religione.

Con mio notevole imbarazzo, i miei genitori erano sempre stati scherniti per la loro religione. Li avevo sempre ammirati perché difendevano le loro credenze, ma una volta andato via di casa ci avevo pensato poco. Ora udendo le verità bibliche sulla vita e sulla morte e sul regno di Dio come speranza per il futuro, si risvegliarono i vecchi ricordi dell’infanzia. Per le sue credenze in tali cose mio padre era stato giudicato un fanatico religioso da molti suoi vecchi amici, e persino pazzo da alcuni. Sapevo che era un uomo intelligente e istruito, con il senso dell’arte e sensibile ai bisogni altrui. Non era il tipo da accettare idee senza studiarle e investigarle. I suoi giudizi sulle cose erano ben meditati. Era scrupolosamente onesto. Mi era impossibile pensare che avesse messo in gioco la sua vita per qualche cosa che non lo meritava. Non era un ipocrita religioso. Sentii il vivo bisogno di esaminare in modo critico le sue idee su Dio e sui Suoi propositi per l’uomo.

Per la prima volta nella mia vita cominciai a studiare seriamente la Bibbia, soprattutto perché mio padre vi aveva riposto tanta fiducia. In un mese la lessi da cima a fondo insieme a tutte le pubblicazioni della Società Torre di Guardia su cui potei mettere le mani. Mi convinsi che la Bibbia è la verità di Dio e che mio padre, come testimone di Geova, l’aveva capita correttamente. Sapevo di dover fare qualche cosa in merito. All’assemblea dei testimoni di Geova tenuta nel 1950 allo Yankee Stadium (di New York) simboleggiai con il battesimo in acqua la mia dedicazione a fare la volontà di Dio. Due miei fratelli, spinti dallo stesso discorso funebre a esaminare seriamente la Bibbia, furono battezzati insieme a me.

Convinto com’ero che la Bibbia era verità, accettai subito ciò che essa diceva della santità del sangue, anche se avevo attivamente partecipato a centinaia di trasfusioni di sangue e avevo visto apportare molti perfezionamenti alla tecnica. Il fatto di “astenersi . . . dal sangue” era ora un vero problema per me. (Atti 15:20, 29) Ero in ottimi rapporti con il gruppo di medici di Santa Barbara, e avevo la prospettiva di divenire un giorno primario del reparto di chirurgia. Comunque, in quei giorni la “buona” medicina e chirurgia dettava l’impiego del sangue come una terapia necessaria; la Bibbia lo condannava perché riprensibile agli occhi di Dio. Per mantenere la mia dedicazione a fare la volontà di Dio in ogni cosa non ebbi altra alternativa che dare le dimissioni.

Ma che avrei fatto ora? Dovevo mantenere mia moglie e due bambini. Per giunta, dovevo ancora finir di pagare i debiti che avevo fatti durante il mio tirocinio come chirurgo. Cominciai dunque a cercare una comunità che avesse disperatamente bisogno di un medico. Per giunta, pensai: Non potrei usare la mia abilità di chirurgo per assistere i Testimoni ai quali altrove erano negati gli interventi chirurgici perché non volevano accettare le trasfusioni?

Sentii subito parlare della piccola comunità di Loyalton nella California settentrionale, un centro del legname. C’era un nuovo ospedale costruito dallo stato con una quindicina di posti-letto, ben attrezzato a parte il fatto che mancava il medico. Ne avevano un disperato bisogno; non c’era un medico in tutta la contea. A quel tempo ero abituato a essere considerato come una stranezza medico-religiosa, ma ragionai che una comunità che ne aveva tanto bisogno mi avrebbe accettato. E mi accettarono.

Per circa quattro anni vi esercitai come medico generico e chirurgo, facendomi contemporaneamente molta esperienza pratica come ministro nell’opera di casa in casa. I miei vicini della comunità potevano dire quale lavoro svolgevo dal tipo di borsa che portavo. Alla mia famiglia e a me piaceva vivere lì e trovammo alcuni che si interessarono di studiare regolarmente la Bibbia con noi. In un’occasione sette furono battezzati.

Il messaggio predicato dai testimoni di Geova era nuovo per i piccoli villaggi di quella zona isolata e avemmo molte interessanti esperienze nel nostro ministero. Una donna ben nota nella città, svegliatasi dall’anestesia dopo che l’avevo operata, proclamò ad alta voce che sapeva di non essere morta perché i morti “non sanno nulla”, e anche se fosse morta non sarebbe finita in un inferno di fuoco ardente, poiché l’inferno era solo la tomba. Nel suo stato semicosciente diceva a chiunque aveva domande di venire da me per avere ulteriori risposte. Qualche tempo dopo la sua guarigione anch’ella fu battezzata.

Intolleranza medica

Che cosa mi fece lasciare Loyalton, dove mi trovavo così bene? Un rappresentante viaggiante della Società Torre di Guardia mi chiese se ero disposto ad andare dove i miei servizi — cioè per presiedere come sorvegliante una congregazione di testimoni di Geova — erano più necessari che a Loyalton. Gli dissi che ne sarei stato lieto, e fu così che ci trasferimmo a Lodi, in California.

Comunque, non ero lì neppure da sei mesi quando ebbi uno scontro con i medici della città sulla controversia della trasfusione di sangue. Un anziano Testimone di un’altra città venne da me per farsi assistere. Era in gravi condizioni a causa di un tumore addominale che avrebbe richiesto un’operazione in due tempi. Comunque, prima di poter eseguire il primo semplice stadio dell’operazione, incontrai l’opposizione del reparto di anestesisti e dei rappresentanti del personale ospedaliero. Mi informarono che se il paziente non accettava sangue non poteva essere sottoposto all’operazione di cui aveva un così disperato bisogno. Il mio argomento che il paziente aveva specificamente chiesto per motivi religiosi di non ricevere sangue incontrò orecchi sordi. Il fatto che si poteva eseguire l’operazione con rapidità e senza sensibile rischio non fu preso in considerazione Né si tenne conto del fatto che egli era pronto ad assumersi la piena responsabilità delle conseguenze del suo atteggiamento. Gli ingiunsero di lasciare l’ospedale.

Seguirono quindi incontri e udienze in cui l’ira del personale medico, del consiglio dei direttori e degli amministratori dell’ospedale si abbatté su di me. Non accettarono nessuna spiegazione. Fui sommariamente estromesso dal corpo dei chirurghi dell’ospedale. Fui radiato da tutte le associazioni mediche della contea, dello stato e della nazione. Non ero ora idoneo per fare domanda ed entrare a far parte del corpo sanitario di nessun ospedale accreditato negli Stati Uniti.a

Questa fu un’esperienza sconvolgente per uno che aveva considerato l’esercizio della medicina come una sorta di compassionevole umanitarismo. Le mie precedenti esperienze e relazioni erano state troppo idealistiche, forse. Ora ero maledetto come uno stupido e un assassino. Per colmo dell’ironia, molti dei miei più strepitanti castigatori avevano avuto esperienza come cosiddetti medici missionari. Il mio speciale rispetto per i medici come uomini era praticamente sparito.

Il messaggio di congedo che mi diedero fu per informarmi della decisione del consiglio dei direttori secondo cui né i testimoni di Geova né alcun altro che non accettasse la trasfusione di sangue dietro ordine del suo medico poteva farsi ricoverare all’ospedale. Con quanta inflessibilità applicassero questa regola l’avrei appreso nel giro di poche settimane. Mia madre venne a trovarci e, mentre era a casa nostra, ebbe un attacco cardiaco. L’ospedale rifiutò di ricoverarla anche se non aveva bisogno né di interventi, né di trasfusioni di sangue. Dovetti così portarla in un’altra città dove c’era un ospedale disposto ad accettarla. Il giorno successivo morì.

Il Testimone come paziente

Di nuovo mi si presentò la domanda: Dove rivolgermi? Poco dopo sentii che a Stockton, una ventina di chilometri da Lodi, c’era un piccolo ospedale privato il cui personale era formato di osteopati. Li consultai, presentai i miei requisiti e dissi loro come la pensavo sulla trasfusione di sangue. Sì, dissero, potevo servirmi del loro ospedale, poiché essendo osteopati il boicottaggio delle società mediche non li riguardava. Tra parentesi, questo ospedale fu notevolmente perfezionato e ampliato nel corso degli anni. E fu così che per i successivi quattordici anni esercitai come chirurgo in quell’ospedale. Da allora in poi i miei pazienti furono sempre più spesso Testimoni ai quali medici e ospedali avevano negato assistenza a motivo del loro atteggiamento cristiano riguardo al sangue.

In tutti quegli anni e da allora in poi, non ho somministrato una sola trasfusione di sangue. Per quello che ne so nessun paziente ha perso la vita a causa di ciò, anche se molti si sottoposero a gravi operazioni chirurgiche. Ho provato speciale soddisfazione vedendo direttamente la veracità delle istruzioni bibliche sul sangue. I medici stessi si sono gradualmente resi conto che il sangue non è un innocuo salvatore di vite. La trasfusione di sangue è ora riconosciuta come una tecnica pericolosa, rischiosa come qualsiasi altro trapianto d’organo. Oggi i periodici medici parlano più dei pericoli della tecnica che dei vantaggi proclamati in precedenza. Se negli scorsi ventitré anni in cui ho esercitato la professione avessi meccanicamente somministrato trasfusioni di sangue, con tutta probabilità alcuni sarebbero stati danneggiati da uno dei pericoli ora riconosciuti della somministrazione di sangue.

In generale, i Testimoni che vennero da me a farsi operare a Stockton suscitarono in me massimi rispetto e ammirazione. Per i loro scrupoli cristiani erano disposti a rischiare la loro stessa vita o la vita dei loro cari. E il personale dell’ospedale aveva un’alta stima di loro. Erano riconosciuti come persone rispettose e disposte a cooperare, sempre riguardose verso le infermiere e gli altri inservienti. Infatti, si fecero una reputazione tale che l’amministrazione dell’ospedale non espletava la formalità di determinare in anticipo se erano in grado di pagare prima di ricoverarli.

E non solo quelli che venivano per farsi operare rendevano testimonianza con la loro esemplare condotta. C’era una Testimone locale, una casalinga, che andava ogni giorno all’ospedale e faceva visita a quelli che erano registrati come testimoni di Geova. Le sue visite erano particolarmente apprezzate, poiché spesso i pazienti venivano da lontano e non avevano visitatori. La sua cordialità e la sua premura nell’esaudire i desideri e nel soddisfare i bisogni di questi pazienti fecero grande impressione sul personale ospedaliero, perché sapevano che ella non ne conosceva nessuno personalmente.

Una volta un Testimone venne da me da oltre milleseicento chilometri per sottoporsi a una grave operazione. L’infermiera era curiosa di sapere perché veniva da così lontano. Conosceva personalmente il chirurgo? No, non lo conosceva. Aveva udito della sua fama. Sì, l’aveva udita. Ma la vera ragione per cui era venuto era che questo chirurgo adorava e serviva lo stesso Dio, Geova, che egli adorava e serviva. Riferendomelo l’infermiera ammise che la stretta relazione dei testimoni di Geova era dovuta a questa comune adorazione e servizio di Geova.

Si continua a imparare

Il Collegio dei Chirurghi Americani ama mettere in evidenza una descrizione del quattordicesimo secolo su ciò che dovrebbe essere un chirurgo. Essa dice:

“Le condizioni necessarie per un chirurgo sono quattro: Primo, dev’essere dotto; secondo, dev’essere esperto; terzo, dev’essere ingegnoso, e quarto, deve sapersi adattare.

“Il chirurgo sia audace in tutto ciò che è sicuro, e pavido in ciò che è pericoloso; eviti tutte le cure e le tecniche difettose. Dev’essere benigno coi malati, riguardoso coi colleghi, cauto nelle prognosi. Sia modesto, dignitoso, gentile, pietoso e misericordioso; né avido né uno che estorca denaro; ma piuttosto la sua ricompensa sia conforme alla sua opera, alle possibilità del paziente, alla qualità della controversia e alla sua propria dignità”.

Innegabilmente, con una così alta norma da conseguire si può sempre migliorare; bisogna continuare a imparare. C’è una valanga di letteratura medica da esaminare — parte da studiare con attenzione — per mantenersi aggiornati sui progressi compiuti. Anche le riunioni e i seminari medici sono una parte importante della necessaria ininterrotta istruzione. La propria abilità tecnica migliora con l’esperienza e la pratica: un chirurgo impegnato può eseguire parecchie operazioni al giorno.

Il successo è soddisfacente in qualsiasi impresa e questo può dirsi specialmente per un medico. Si prova piacere aiutando un paziente a guarire da una grave malattia. Si impara da questo, ma è anche vero che si impara dai propri fallimenti ed errori. L’errore di un chirurgo può essere molto costoso, naturalmente, per cui un buon chirurgo deve stare attento. Ma deve anche essere onesto con se stesso e comprendere che gli errori non possono evitarsi del tutto. Egli, come pure i suoi pazienti, può trarre profitto da queste gravi esperienze. Fortunatamente, nei tempi moderni non è in vigore il Codice di Hammurabi, poiché sotto di esso nessun chirurgo poteva imparare dai suoi errori: per punizione gli venivano tagliate le mani!

Il buon giudizio è una qualità essenziale del buon chirurgo. Secondo l’autobiografia di un chirurgo, un libro di grande successo, la parte più importante del lavoro di un chirurgo è quella di prendere decisioni o di decidere fra più alternative. Con tutta la sua applicazione allo studio, la sua esperienza e la sua abilità tecnica, il chirurgo spera di migliorare in questo campo. Molti medici danno risalto al fatto di curare “tutto l’uomo”, anziché limitare il proprio interesse a una certa parte malata. Probabilmente il chirurgo che ha successo sarà necessariamente quello che ha imparato a considerare il suo paziente come un tutto. Sarà quello che considera non solo le parti malate del suo paziente, ma i suoi sentimenti, i suoi timori, le sue speranze e la sua coscienza. Si può con successo curare una malattia — chirurgicamente o in altro modo — ma nello stesso momento distruggere sconsideratamente l’individuo ignorandone la coscienza. Il chirurgo che impone al suo paziente un trattamento indesiderato può sentirsi giustificato a farlo. La maggiore conoscenza che egli ha della malattia può dettarglielo. Ma la sua incapacità di tener conto della coscienza del paziente è un difetto della sua formazione che influisce sul suo giudizio. Non ha curato “tutto l’uomo”.

Successi della chirurgia moderna

I progressi fatti dalla moderna chirurgia sono davvero sorprendenti! Anziché essere semplicemente una professione in cui si asportano le parti malate del corpo, sono stati fatti molti progressi nel campo della ricostruzione e della correzione. Le estremità amputate si possono riattaccare, si possono costruire nuove articolazioni, correggere difetti cardiaci congeniti nonché piedi zoppi. Nuovi e perfezionati metodi tecnici rendono più facile controllare le perdite di sangue. Ci sono varie tecniche chirurgiche elaborate e perfezionate che impiegano il raggio laser. I chirurghi, inoltre, sono pronti a riconoscere i meriti dei loro colleghi, gli anestesisti e i componenti delle équipe che lavorano in sala operatoria. Abili ingegneri hanno contribuito alla messa a punto di nuovi strumenti e attrezzature.

Oggi si fa un gran parlare del trapianto di vari organi: reni, cuore, polmoni e fegato. Ma, riguardo a queste tecniche, mi viene in mente il commento che fece mio padre una volta. Ero tornato a casa dalla scuola di medicina e avevo eseguito una vasectomia su uno dei suoi pazienti che aveva chiesto d’essere sterilizzato. Ero fiero della tecnica appena imparata e chiesi a mio padre che cosa ne pensava. Egli rispose: “Il paziente è senz’altro contento, ma mi chiedo che cosa ne pensi il Creatore”. A motivo di ciò che ho ragione di credere sulla veduta del Creatore verso i trapianti d’organi, ho serie riserve circa il fatto che siano corretti dal punto di vista scritturale.

Sì, non possiamo escludere il Creatore dalla chirurgia. Come osserva appropriatamente il dott. Alexis Carrel nel suo libro Man the Unknown, mentre “per l’estrema ingegnosità e audacia dei suoi metodi, [la moderna chirurgia] ha superato le più ambiziose speranze della medicina dei tempi passati”, tuttavia resta il fatto che anche “nei migliori ospedali, . . . la guarigione delle ferite dipende, soprattutto, dall’efficienza delle funzioni di adattabilità” del corpo. In altre parole, tutto dipende dalle facoltà di guarigione che il Creatore ha poste nel corpo umano.

Attività come ministro cristiano

Per quanto i successi della moderna chirurgia siano rimarchevoli, come ministro cristiano e come chirurgo, sono d’accordo con Gesù Cristo che i valori spirituali vengono prima di quelli materiali o fisici. (Matt. 16:26) E che cosa significa questo? Che il ministro cristiano il quale può additare alle persone la speranza della vita eterna può fare per loro più bene che qualsiasi moderno chirurgo il quale, tutt’al più, può aiutarle a vivere solo per pochi brevi anni. Questa è la ragione per cui anni fa fui disposto ad abbandonare la mia soddisfacente professione a Santa Barbara. Per di più, so bene che è vicino il giorno in cui la professione di chirurgo sarà superflua. Se ora dovessi cominciare da capo, non intraprenderei il lungo periodo di studio e di tirocinio necessario per divenire chirurgo, ma sceglierei di dedicare più esclusivamente il mio tempo al ministero cristiano.

Oggi ho una vita ricca e piena. I miei due figli, entrambi adulti e sposati, servono anch’essi come ministri cristiani, uno come anziano in una congregazione e uno come missionario in un paese lontano. Mia moglie e io prestiamo ora servizio a pieno tempo nel ministero cristiano, membri del personale della sede centrale della Società Torre di Guardia, e assistiamo altri ministri in servizio continuo e altri secondo i loro bisogni. Tutti questi privilegi, devo aggiungere, mi hanno anche recato grande beneficio, così che posso veramente ripetere le parole del saggio scrittore di Proverbi 10:22: “La benedizione di Geova, questo è ciò che rende ricco, ed egli non vi aggiunge nessuna pena”. — Da un collaboratore.

[Nota in calce]

a Dodici anni più tardi, dopo che nel frattempo le mie richieste erano state ripetutamente respinte, fui invitato a presentare un’altra domanda e pienamente riabilitato quale membro delle associazioni mediche.

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