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  • g74 8/11 pp. 9-12
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  • Dirottati!
  • Svegliatevi! 1974
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  • Donne e bambini fatti scendere dall’aereo
  • Momenti di tensione all’aeroporto di Barranquilla
  • In viaggio verso Cuba
  • Arrivo a Cuba
  • Parlai di Dio a un funzionario comunista
  • Riunione
  • Sopravvissuto al dirottamento su Malta
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  • Atterraggio di emergenza!
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    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1951
Altro
Svegliatevi! 1974
g74 8/11 pp. 9-12

Dirottati!

“QUELL’UOMO ha un fucile!” Queste parole ci fecero rabbrividire. Giratomi verso il mio amico seduto vicino, notai l’espressione grave del suo viso mentre assicurava alla moglie che non stava scherzando: “Quell’uomo ha un fucile!”

Guardai verso il davanti dell’aereo e vidi un giovane con una giacca di pelle scura che impugnava un fucile. “Non è possibile”, pensai. “Ci hanno perquisiti prima che salissimo a bordo dell’aereo a Pasto, in Colombia. Com’è riuscito a procurarsi un fucile senza che lo scoprissero?”

Comunque, ora questo non aveva importanza, poiché era proprio lì in carne e ossa. A questo punto lo avevamo visto tutti, e pur non credendo ai nostri occhi, sentivamo il cuore battere veloce e il respiro farsi affannoso.

Dei quarantasei passeggeri, dodici erano testimoni di Geova in viaggio per Bogotá, in Colombia, per assistere all’Assemblea Internazionale dei Testimoni di Geova “Vittoria Divina” che vi si doveva tenere dal 23 al 27 gennaio. Che cosa sarebbe accaduto ora? Mia moglie e io pregammo insieme, invocando Geova di rafforzarci per quello che ci attendeva.

Dapprima sembrò che l’uomo armato di fucile volesse derubarci, poiché stava prendendo qualcosa dai passeggeri nelle prime file. Aveva sul volto un’espressione molto intensa e spaventata. Ordinò di raccogliere i nostri documenti di identità. In una mano teneva il fucile. Con l’altra mano tremante cercava in mezzo ai documenti. Il suo nervosismo destò in tutti noi un sentimento molto inquietante. Chi cercava? C’era qualcuno che voleva uccidere?

Mentre stavamo a guardare, quasi timorosi di respirare, il dirottatore si soffermò, guardò un mucchio di documenti, e gridò un nome, il mio nome! Fortemente scosso, come in sogno, attesi alcuni secondi. Infine alzai la mano e come a scuola risposi: “Presente”.

Il mio timore giunse al culmine. Ma alle sue successive parole diedi un respiro di sollievo, poiché cominciò a chiamare altri nomi, senza nessuna ragione apparente. Almeno non sceglieva qualcuno.

Donne e bambini fatti scendere dall’aereo

Eravamo partiti da Pasto, nella Colombia sudoccidentale, alle dieci del mattino. Solo pochi minuti dopo il decollo era apparso nella cabina l’uomo armato di un piccolo fucile semiautomatico, e aveva ordinato all’equipaggio di evitare lo scalo previsto di Popayan e dirottare per Cali.

Mentre ci avvicinavamo a Cali l’uomo armato ordinò perentoriamente di tirare le tendine delle finestre e comandò a tutti di sedere con le mani dietro la testa e di non guardare fuori dei finestrini all’atterraggio. Alcune donne e bambini nelle prime file piangevano. La conversazione era cessata. Coloro che confidavano in Dio rivolgevano silenziose suppliche.

L’atmosfera era tesa mentre attendevamo la successiva mossa del dirottatore. Giunse con l’ordine di far scendere le donne e i bambini dall’aereo. Nel nostro gruppo di dodici c’erano cinque coppie di sposi. Ansiosi di togliere le nostre mogli dal pericolo, le esortammo a ubbidire all’ordine dell’uomo. Comunque, una moglie fece solo alcuni passi verso lo sportello ma quindi si girò e corse verso il marito che si trovava in fondo all’aereo. Voleva che egli salutasse con un bacio il loro bambino di due mesi. Costernato, egli la sollecitò di nuovo: “Via! Giù dall’aereo!” Gli occhi le si riempirono di lagrime mentre se ne andava.

Ma essendo le nostre mogli al sicuro, ci sentimmo sollevati. Ora anche il dirottatore appariva meno nervoso. Ma in quanto a noi, eravamo certi che saremmo stati portati a Cuba, sebbene l’uomo non avesse detto nulla in proposito.

Momenti di tensione all’aeroporto di Barranquilla

Rifornito ora di carburante, il turbogetto quadrimotore decollò da Cali diretto a Barranquilla. Ci fu concesso di abbassare le mani. Spaventato e nervoso da oltre un’ora, chiesi di andare alla toeletta situata davanti. L’uomo mi disse di venire avanti. Mentre mi avvicinavo a lui mi fece segno col fucile di appoggiare le mani sulla reticella portabagagli in alto, girandogli la schiena. Poi mi perquisì e mi disse di andare.

Entrato nella toeletta notai sul pavimento due pacchi che erano stati aperti. Evidentemente il dirottatore aveva portato a bordo il fucile smontato e lo aveva montato nella toeletta nei primi minuti di volo.

Arrivammo a Barranquilla, sulla costa settentrionale della Colombia, alle 14,15. Avevamo trascorso il tempo del volo parlando piano, cercando di edificarci a vicenda. Avevamo pregato in privato non tanto per essere liberati dalla pericolosa situazione, ma per avere saggezza e forza onde seguire la condotta giudiziosa. Subito dopo il nostro atterraggio a Barranquilla, nuovi sviluppi ci diedero ulteriore motivo di ansietà.

Rullando sulla pista per il decollo, l’aereo cominciò improvvisamente a oscillare: aveva un pneumatico a terra. Il dirottatore cominciò a guardare nervosamente fuori dei finestrini, camminando su e giù per il corridoio. Ridusse il numero degli uomini che potevano occuparsi del pneumatico e concesse loro un’ora per sistemarlo. Per mezzo della radio di bordo, ordinò agli uomini di togliersi la camicia prima di avvicinarsi all’aereo, evidentemente per impedire che portassero armi nascoste.

Potevamo vedere una grande autocisterna parcheggiata sull’altra pista vicino all’aereo. A un certo punto, vedemmo salirne del fumo. Pareva stesse bruciando. Il mio amico seduto accanto a me cominciò a paragonare il pericolo rappresentato dall’esplosione dell’autocisterna al pericolo d’essere colpiti nel tentativo di lasciare l’aereo. Eravamo “tra due fuochi”. Ci furono alcuni terribili momenti finché l’incendio dell’autocisterna fu infine domato.

L’uomo aprì lo sportello dell’aereo e parecchie volte prese di mira alcuni uomini che erano dall’altra parte del campo. Sparò contro uno di essi assicurandoci così che avrebbe realmente usato il fucile se necessario e che la cosa migliore era di non fare resistenza. Mentre veniva riparato il pneumatico, mise in libertà due uomini anziani.

Quando il pneumatico fu riparato, il cocente sole tropicale si faceva sentire all’interno dell’aereo. I motori si misero in moto e cominciammo di nuovo a rullare. Ancora una volta l’aereo ondeggiò: un’altra gomma a terra! Supponemmo che qualcuno sparava o sgonfiava i pneumatici, due gomme a terra apparivano una coincidenza improbabile. Forse la polizia stava cercando di prendere tempo in attesa che si facesse buio. Durante la seconda riparazione furono rilasciati altri due uomini anziani. Uno era un testimone di Geova che faceva il suo primo viaggio aereo.

Sembrava che il tempo si trascinasse sotto gli occhi vigili dell’uomo armato. Tutti temevano che perdesse la pazienza e che ne derivasse un’esplosione di violenza. Leggemmo la Bibbia e le riviste che avevamo portate con noi. Questo ci aiutò alquanto ad alleviare la tensione. Scese le tenebre, il dirottatore ordinò di non accendere nessuna luce. Attendemmo al caldo e al buio che accadesse qualcosa.

In viaggio verso Cuba

Dopo le sette, i motori si rimisero in moto. Sperammo che non ci fossero altre gomme a terra. Dopo aver passato circa cinque ore sulla pista, quasi ogni genere d’azione sembrava meglio dell’incertezza. Eravamo ansiosi di arrivare a Cuba così che il viaggio avesse fine.

Durante il lungo viaggio per Cuba cercammo di dormire e di leggere, ma per la maggior parte guardammo il dirottatore. Il mio sedile dalla parte del corridoio era situato proprio nella posizione giusta per essere nella diretta linea del fuoco mentre l’uomo armato era seduto su un bracciolo nella parte anteriore dell’aereo, girato verso i passeggeri. Stava all’erta tenendo il fucile sull’avambraccio, il dito sempre sul grilletto. Provai a leggere, ma a intervalli di pochi minuti sbirciavo al di sopra della rivista solo per incontrare proprio la canna di quel fucile. Fu davvero uno scomodissimo viaggio di quattro ore e mezzo.

Arrivo a Cuba

Poco dopo mezzanotte atterrammo a L’Avana. Potemmo vedere almeno venti soldati, alcuni con il mitra, radunati attorno all’aereo. Il primo a scendere fu il dirottatore. Un fotografo in mezzo al gruppo dei soldati gli fece un paio di fotografie mentre scendeva dalla scaletta. Fu portato via con una jeep militare e non lo vedemmo più.

La polizia salì sull’aereo e ci condusse a una sala d’aspetto nell’aerostazione. Ci offrirono panini e ci fecero la vaccinazione contro il vaiolo. Ci interrogarono tutti, uno per volta, in un’altra stanza. Quando scendemmo dall’aereo la hostess ci aveva restituito i nostri documenti di identità. Di questo si preoccupavano principalmente i funzionari. Mostrarono pure interesse per il fatto che quattro di noi erano testimoni di Geova.

All’una e quaranta del mattino fummo accompagnati a un grande albergo ad almeno mezz’ora dall’aeroporto. Ci assegnarono stanze pulite e confortevoli al quattordicesimo piano. Mentre attendevamo le chiavi delle stanze, fui avvicinato da un poliziotto che mi chiese quanto tempo ero stato in Colombia. Forse il mio spagnolo da “principiante” lo aveva colpito. Gli dissi che di noi quattro io ero l’ultimo arrivato. Quindi ci mandò su alle nostre stanze e alle tre eravamo a letto. Posso assicurarvi che dopo diciassette ore estenuanti quei letti erano molto accoglienti.

Parlai di Dio a un funzionario comunista

La mattina seguente dopo colazione noi dodici passeggeri eravamo tutti nell’atrio dell’albergo, in attesa dell’autobus che ci avrebbe riportati all’aeroporto. Mentre aspettavo, fui avvicinato da un uomo alto in abiti borghesi, che mi chiese se volevo rispondere ad alcune domande. Mi condusse quindi in una stanza, dove ci sedemmo l’uno di fronte all’altro ai lati opposti di un tavolo. L’uomo disse che era un funzionario addetto all’immigrazione. Le sue domande andarono dalle mie impressioni sul comunismo all’organizzazione dei testimoni di Geova. Mi interrogò riguardo alle future elezioni in Colombia.

“Sa chi sono i candidati?”

“No”, risposi, “non mi interesso degli affari politici delle nazioni. I testimoni di Geova sono neutrali verso la politica in ogni parte della terra. Ci interessiamo primariamente di predicare la buona notizia del regno di Dio”.

Assunse un’espressione scettica allorché continuai: “Il regno di Dio recherà pace e sicurezza su tutta la terra”.

“Abbiamo pace e sicurezza qui a Cuba e non abbiamo avuto bisogno di parlare di Dio per ottenerla”, replicò.

“Non parlo del dio trinitario delle cosiddette chiese cristiane, ma del Dio il cui nome è Geova, il vero Dio della Bibbia, che ha promesso di recare condizioni perfette a questa intera terra, inclusa Cuba. Nessun governo umano può far questo, né può darle la vita eterna nella felicità”.

L’uomo rispose che non c’è nessun Dio, che l’uomo venne dall’oceano. Lo invitai a guardare quella meraviglia della creazione che è il corpo umano, e gli chiesi se poteva credere che non c’è un Creatore. Potei spiegargli ulteriormente che presto Dio stesso farà sparire dalla faccia della terra tutti i governi stabiliti dagli uomini. Perciò la vita delle persone è in pericolo se non esaminano la Bibbia e non ascoltano l’avvertimento dato da Dio.

Il colloquio ebbe termine. Raggiunsi frettolosamente i miei amici nell’atrio, lieto di vedere che l’autobus non era partito senza di me. Era una bella giornata a L’Avana, e durante il tragitto fino all’aeroporto avemmo l’opportunità di vedere qualcosa di questa grande città.

Riunione

Verso le due di quel pomeriggio decollammo per tornare a casa. Alle sei atterrammo a Barranquilla, questa volta con un “passeggero” in meno e molto più felici. La folla che attendeva l’aereo accolse tutti calorosamente. Passammo la notte in un albergo di Barranquilla, a spese dell’aviolinea.

La mattina dopo, pensieri di altro genere — la prospettiva di riunirci felicemente con la famiglia — occupavano la mente di tutti i passeggeri durante il viaggio a Bogotá. Al nostro arrivo ci facemmo strada come potemmo in mezzo alla folla di giornalisti e poliziotti, riabbracciando infine felicemente le nostre mogli.

Erano passate oltre quarantotto ore dall’inizio del viaggio. Ora eravamo grati a Geova Dio di essere arrivati sani e salvi e in tempo per assistere alla sessione del primo giorno di assemblea. Apprendemmo che i giornali avevano pubblicato ogni giorno molti servizi sul dirottamento. Questa pubblicità servì a far conoscere a molte altre persone di Bogotá l’assemblea dei testimoni di Geova. Contribuì senz’altro all’eccellente numero di 23.409 presenti che ci furono al discorso pubblico il giorno conclusivo dell’assemblea. La nostra sgradevole esperienza non fu dunque del tutto senza buoni risultati. — Da un collaboratore.

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