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  • g76 22/9 pp. 3-10
  • Il disastroso terremoto del Guatemala

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  • Il disastroso terremoto del Guatemala
  • Svegliatevi! 1976
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  • Quale fu l’entità dei danni?
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Svegliatevi! 1976
g76 22/9 pp. 3-10

Il disastroso terremoto del Guatemala

Racconto di un testimone oculare

Dal corrispondente di “Svegliatevi!” nel Guatemala

IL SOTTOSUOLO del Guatemala, come quello di gran parte dell’America Centrale, “brontola” spesso cupamente. Qui molti sono abituati a destarsi dal sonno profondo, saltare in piedi e raggiungere la strada mentre l’ultimo boato si spegne. Ma a volte non si tratta solo di un boato.

Nel 1917 un forte terremoto danneggiò gravemente la capitale, Guatemala. Ma fu ricostruita e ora è la più grande città dell’America Centrale, con un milione di abitanti.

Mia moglie e io abitiamo qui a Guatemala, e quindi siamo avvezzi ai frequenti boati. Ma nelle prime ore di mercoledì 4 febbraio, quando era ancora buio, ci fu una scossa così violenta quale pochi qui in Guatemala avevano mai sentito. Purtroppo molti non sopravvissero.

Secondo alcune stime ci furono 50.000 morti, ma la cifra ufficiale si aggira sui 23.000. 74.000 persone o più rimasero ferite, e oltre un milione restarono senza tetto. In una nazione che ha approssimativamente 5.850.000 abitanti, questo vuol dire che quasi uno su cinque rimase senza casa!

È ritenuto il peggiore disastro che si ricordi nella storia dell’America Centrale, peggiore del terremoto che nel 1972 distrusse Managua, nel Nicaragua. Il direttore della Missione argentina per gli aiuti, dott. Leandro Salato, disse addirittura che fu “più rovinoso del terremoto che colpì il Perú nel 1970”, anche se il bilancio delle vittime del terremoto del Perú, 70.000 morti, fu molto più elevato.

Notte di terrore

Tornati a casa dallo studio biblico del martedì sera, mia moglie e io andammo a letto e ci addormentammo profondamente. Mi svegliai solo quando cominciò la violenta scossa. Tuttavia, altri dissero di essersi svegliati all’approssimarsi del terremoto.

Una turista americana disse di avere udito quello che pensò fosse un tuono lontano. Man mano che si avvicinava, cresceva d’intensità finché divenne un boato, un boato che saliva dalle viscere della terra. Fu prodotto dallo spaccamento e dalla rottura degli strati rocciosi. Il rumore fu amplificato e ingigantito finché alla superficie fu ‘come stare fra due motori a reazione’. O, secondo un’altra descrizione, “fu simile al frastuono di mille sassi che ruzzolavano all’interno della terra”.

Come ho già detto, non mi svegliai finché non cominciò la violenta scossa. Cosa si fa in una situazione del genere? Si cerca di scendere dal letto mentre intorno a sé i vetri vanno in frantumi e gli oggetti si fracassano? Bisogna correre verso la porta per guadagnare la strada? Mentre i secondi passavano e le scosse aumentavano di intensità, mi rendevo conto che questa non era una delle solite scosse. Pensai che poteva caderci addosso il tetto, ma tutto quello che potei fare fu di gettarmi su mia moglie, cercando di coprire entrambe le nostre teste per proteggerle.

Infine, la scossa cessò; la casa smise di oscillare. Era durata trentanove secondi, ma erano sembrati un’eternità. Alla fine tornò la calma. Tutto era momentaneamente tranquillo. Mi alzai e mi resi conto immediatamente che si era trattato di un terremoto veramente spaventoso.

La luce se n’era andata; tutto era immerso nell’oscurità. Brancolando nel buio per trovare una torcia elettrica, avvertii lo scompiglio che mi si sarebbe presentato da lì a poco. Trovata e accesa la torcia, i miei sospetti furono confermati. Come avevo fatto a non mettere i piedi su quello specchio rotto che era caduto dalla parete? Per terra c’erano vasi e lampade, alcuni a pezzi. Dalla credenza erano caduti i piatti. La libreria si era rovesciata. Mentre controllavo ogni stanza, fui grato di abitare in una casa resistente, costruita in cemento armato. Il nostro orologio elettrico si era fermato alle 3,03, l’istante del terremoto.

Praticamente tutti i superstiti parlano del terrore di quella notte. Anche un turista di Cedar Rapids (Iowa) che si trovava con la figlia al Ritz Continental Hotel si svegliò da un profondo sonno. Egli spiega:

“Dapprima provai un sentimento d’ira: qualcuno stava cercando di rovesciare il mio letto! Poi pensai: è Armaghedon. Il nostro albergo era una costruzione antisismica, e ne fui lieto, perché oscillava da una parte all’altra. Pareva che fossimo letteralmente sospesi sulla strada. Dalle pareti si staccò l’intonaco e i vetri si frantumarono. Verso la fine, la terra sollevò l’edificio come un cavallo che tenta di disarcionare il cavaliere.

“Quando la terra smise di tremare, scese un silenzio innaturale. La gente era attonita. L’unica cosa che si può dire era che provava un senso di orrore, e l’orrore perdurava. L’uomo della stanza accanto aveva una candela. Non scendemmo: ci precipitammo giù per le scale. Guardai l’orologio: prima delle 3,15 eravamo in strada.

“Faceva freddo, poiché Guatemala è situata a più di 1.500 metri sopra il livello del mare. Potevamo vedere il nostro fiato. Dopo un’ora, decidemmo di tornare nell’albergo a prendere altri indumenti. Con la candela in mano rientrammo nell’albergo immerso nell’oscurità e salimmo all’ottavo piano, preoccupandoci in tutto questo tempo che potesse esserci un’altra scossa. Nella semioscurità stipammo le nostre cose in valigia e tornammo rapidamente nella strada. Quando eravamo partiti da casa avevamo impiegato due giorni a fare i bagagli; quando lasciammo l’albergo impiegammo dieci minuti. Ma il rasoio e lo spazzolino da denti andarono perduti tra i calcinacci sul pavimento del bagno”.

Intanto noi e i nostri vicini ci stavamo riavendo dallo shock. Si cominciò a tirar fuori le auto dalle autorimesse e i vicini vi misero i bambini spaventati e gli anziani per ripararli dal freddo.

Mentre stavamo aprendoci un varco tra i calcinacci nella nostra casa, arrivò una famiglia di testimoni di Geova per vedere se eravamo salvi. Preparammo una cioccolata calda e insieme ringraziammo Geova Dio in preghiera per essere ancora in vita. Ma ci chiedevamo come se l’erano cavata i nostri fratelli cristiani. Nella città vi sono circa 2.500 Testimoni, e quasi 5.000 in tutto il Guatemala.

Quale fu l’entità dei danni?

Ci apprestammo ad andare anzitutto alla sede filiale dei testimoni di Geova: in genere ci vogliono dieci minuti di macchina. Dopo un chilometro e mezzo però trovammo la circonvallazione parzialmente ostruita di frane. Allora decidemmo di passare per la vecchia zona residenziale. Mentre nel nostro quartiere dove le case sono più nuove si vedevano pochi segni di danno, qui le facciate delle case erano cadute sulla strada, e le pareti erano crollate.

Il traffico era già intenso come di giorno. La gente correva a casa di parenti e amici. Uomini, donne e bambini erano in strada in camicia da notte, pigiama, vestaglia e avvolti nelle coperte. Avevano paura a rientrare in casa o in ciò che ne restava. La polvere dei mattoni e degli adobe (mattoni seccati a sole) caduti creava un’atmosfera irreale nell’oscurità della notte, essendo le strade illuminate solo dai fari delle auto.

Alla sede filiale tirammo un sospiro di sollievo vedendo che erano tutti salvi. Inoltre l’edificio non mostrava nessun segno di lesioni. Il coordinatore della filiale era già uscito per andare a vedere i Testimoni di un’altra zona. Noi ci accingemmo a fare il giro per rintracciare quelli delle nostre congregazioni. Nelle prime ore del mattino sorveglianti e servitori di ministero dei testimoni di Geova andarono a trovare i fratelli e le sorelle cristiani. Alcuni avevano perso la casa, alcuni erano contusi, ma erano scampati tutti!

Con lo spuntare dell’alba si videro meglio i segni dell’intensità del terremoto. Apprendemmo che era stato di 7,5 gradi della scala Richter. Ben presto centinaia di cadaveri coperti con sottili fogli di plastica erano allineati lungo le strade. La radio trasmise l’annuncio: “L’obitorio è pieno. Non portate altri corpi”. In seguito si apprese che nella città erano perite circa 800 persone.

Nei quartieri più poveri erano crollate migliaia di case, e decine di migliaia di persone erano rimaste senza tetto. In alcune zone non c’erano altro che mucchi di macerie. Ma in altri quartieri le case più solide delle classi medie ed elevate avevano riportato relativamente pochi danni. Tuttavia, molte chiese erano state sensibilmente danneggiate. Vicino a casa mia una moderna chiesa cattolica in mattoni era andata distrutta.

Le autorità calcolarono che il 20 per cento di tutti gli edifici della capitale era stato totalmente distrutto; il 40 per cento ha riportato danni troppo gravi per essere utilizzabile. Si è calcolato che la nazione ha riportato danni per oltre 5 miliardi di dollari. Così Guatemala divenne una tendopoli. Anche i ricchi, temendo altre forti scosse, dormirono nelle auto o fuori sui prati o sotto ripari improvvisati.

Malgrado le difficoltà, la popolazione in generale manifestò un ottimo spirito. I testimoni di Geova si tennero uniti e si aiutarono fra loro. Ne trovammo trentacinque che dormivano sotto un riparo provvisorio nella strada. Con mattoni adobe trovati fra le macerie avevano arrangiato all’aperto un focolare con la griglia. Erano tutti allegri e anche i visitatori erano graditi.

Ma la preoccupazione permaneva. Vi contribuivano le decine di scosse che si continuarono ad avvertire quotidianamente ancora per qualche tempo. Il venerdì 6 febbraio ce ne fu una di 5,5 gradi della scala Richter. Essa fece crollare le pareti già lesionate e provocò frane. Credo che il turista dello Iowa descrivesse appropriatamente che cosa significava vivere qui dopo la scossa più violenta.

“Un medico della nostra comitiva dovette occuparsi di morti e feriti”, spiegò. “Questo medico disse che non dimenticherà mai la vista di una giovane donna. Non aveva ferite visibili, ma secondo lui era morta di spavento.

“Alle 8 del mattino la nostra guida suggerì di trasferirci ad Antigua Guatemala, città situata cinquantasei chilometri a sud-ovest. Impiegammo cinque ore su un furgone per arrivarci, perché le strade erano ostruite da frane e affollate da gente attonita e terrorizzata. Gli abitanti dei villaggi andavano in città, e gli abitanti delle città andavano nei villaggi, tutti per rintracciare i parenti.

“Le scosse e i tremori continui si potevano sentire in tutta la valle. Si provava una sensazione strana a camminare. Il suolo sotto i piedi non era normale. Era come camminare sul fango, ma senza affondare. In altre parole, la terraferma non era ferma.

“Nel nostro albergo di Antigua la vita si svolgeva tutta in giardino attorno alla piscina. Si mangiava lì, il personale dell’albergo cucinava lì e si dormiva o, meglio, si cercava di dormire, lì. Avevano tutti paura a stare dentro l’edificio nell’eventualità di un’altra forte scossa.

“L’orrore e lo spavento continuavano. La domenica 8 febbraio, mentre ci recavamo in auto all’aeroporto, vedemmo soldati bruciare cataste di corpi. Vedemmo villaggi con pochissime pareti in piedi”.

In un primo tempo molti abitanti di Guatemala non si resero conto dell’entità della distruzione. Il mercoledì mattina la radio delle Forze Armate americane disse che l’epicentro era stato vicino a Gualán, 170 chilometri a nord-est di Guatemala. Il sospetto che in altre parti la distruzione fosse stata peggiore fu presto confermato quando cominciarono a giungere notizie da zone lontane.

Peggio di quanto potessimo immaginare

Prima udimmo che El Progreso, a nord-est di Guatemala, era stata rasa al suolo; erano morte più di 2.000 persone. Poi dal nord giunse la notizia che i villaggi di San Juan Sacatepéquez e San Pedro Sacatepéquez erano stati distrutti e c’erano migliaia di morti. Infine si ebbe la spaventosa notizia che nello stato centro-meridionale di Chimaltenango, con le sue molte cittadine indiane, la devastazione era stata completa. I morti accertati furono oltre 13.000!

Pertanto la zona più duramente colpita era 20 chilometri a nord di Guatemala, ed era una fascia che si estendeva a est e a ovest per 241 chilometri. Ma ci chiedevamo se la situazione era proprio così grave come risultava dalle notizie.

Bastò visitare una di queste cittadine, dove le costruzioni erano quasi al 100 per cento di adobe, per vedere come stavano le cose. Il venerdì 6 febbraio visitai San Pedro Sacatepéquez, situata a meno di 20 chilometri a nord di Guatemala. Non c’era un edificio rimasto in piedi; era tutto nel caos. Le strade della cittadina erano ostruite dalle pareti di fango delle case crollate. La chiesa cattolica era stata distrutta e la gente era ancora in stato di shock. La maggior parte dei morti era stata sepolta, ma si estraevano altri corpi dalle macerie.

Un uomo lavorava con una paletta per estrarre i suoi pochi averi dal cumulo che era stato un tempo la sua casa. Potei vedere solo il piano del suo tavolo di pino da poco prezzo. Un altro stava estraendo la lamiera metallica del tetto da sotto le travi cadute, per ricuperare qualcosa.

Il sabato potei portare delle provviste alimentari alle congregazioni di testimoni di Geova in alcune delle zone più duramente colpite. Nonostante le strade bloccate dalle frane, fu possibile raggiungere Patzicía, Zaragoza, Tecpán e Comalapa. A Comalapa il sindaco e il giudice di pace erano periti entrambi. Per il gran numero di morti e per il timore di epidemie, molti erano stati seppelliti in tombe comuni.

Attraversando ora le cittadine dell’altipiano, si vede che sono state interamente rase al suolo. La sola differenza tra le case e le chiese è che dove c’erano le chiese vi è un mucchio di rovine più grande. Queste sono o erano città indiane. Gli Indiani rappresentano circa il 43 per cento dei Guatemaltechi e i loro centri rurali sono stati i più duramente colpiti.

Nei luoghi visitati i superstiti erano senz’acqua e i viveri scarseggiavano. La maggioranza non aveva nulla con cui ripararsi dal vento e dal freddo della montagna, dove di notte la temperatura scendeva a 4 gradi. L’aria era soffocante a causa della polvere degli adobe sbriciolati soffiata in giro dal vento; in parecchi casi c’era uno strato di polvere di quindici centimetri.

Migliaia di coloro che il martedì sera erano andati a dormire non si svegliarono più. Le pareti di adobe crollarono facendo cadere su di loro pesanti tegole. Un superstite del luogo disse degli adobe: “Sono di terra e sono la nostra bara”.

Molti superstiti rimasti feriti soffrirono orribilmente. Con le strade bloccate dalle frane, in molti casi passarono giorni prima che le vittime ricevessero cure mediche. Un medico riferì: “Soffrono da giorni. Spesso le parti sono dolorosamente gonfie. Molte ossa, specialmente delle gambe, hanno perforato la pelle e sono allo scoperto. In parecchi casi le ferite sono aperte e le infezioni subentrano con facilità”.

La figlioletta di un Testimone di Tecpán aveva riportato una frattura a una gamba. Anche altri Testimoni erano rimasti feriti. Ma fummo meravigliati che nessuno avesse perso la vita. Infatti, non un solo Testimone nel paese perì nel terremoto! Alcuni, però, persero familiari.

Un Testimone narrò che vicino a Tecpán venticinque suoi parenti erano rimasti uccisi. Arrivò il giovedì nel villaggio dove abitavano, e quindici suoi familiari erano già stati sepolti. Le bare non bastavano e non c’era legno per farne altre, per seppellire il resto. A coloro che si occupavano dei cadaveri spiegò che i morti tornano ad ogni modo alla polvere, e li esortò a sotterrare in fretta i corpi per scongiurare un’epidemia.

Questo Testimone incontrò per strada un uomo che trasportava sulle spalle un grosso sacco. L’uomo si fermò a parlare per qualche minuto e poi chiese: “Sa che cos’ho in questo sacco?”

“No”, rispose il Testimone.

“Ci sono mia moglie e due figli. Sto andando al cimitero”.

Un rappresentante viaggiante dei testimoni di Geova, che visitava una congregazione a Gualán vicino all’epicentro del terremoto, narra: “È difficile descrivere l’orrore che si prova camminando tra i morti e udendo le grida dei feriti intrappolati sotto le macerie.

“Molti Testimoni uscirono strisciando di sotto le macerie delle case. Alcuni ricevettero cure mediche a luce di candela. La Sala del Regno è rimasta danneggiata, ma si può riparare. A causa della mia visita, la sera del terremoto molti Testimoni di zone distanti non erano tornati a casa, ma dormivano nella Sala del Regno. Può darsi che questo abbia loro salvato la vita”.

L’entità della tragedia è difficile da capire, anche per noi che siamo qui. Poco più di una settimana dopo il terremoto, il presidente Laugerud García disse che circa 300 città e villaggi erano stati distrutti per oltre il 40 per cento. Per molti giorni successivi in alcuni villaggi continuò ad aleggiare l’odore della morte. Autocarri ed elicotteri trasportarono calce da spargere sulle tombe poco profonde scavate in fretta.

In seguito al violento sconvolgimento della terra, nella campagna tra Guatemala e il golfo dell’Honduras si è aperta una grande fenditura. In alcuni punti è larga due metri e mezzo e profonda tre metri! Secondo le notizie, nella Pan American Highway c’erano molte frane ed era pericoloso viaggiarvi.

Ma per quanto grave sia stata la devastazione, la popolazione si sta riprendendo. L’enorme quantità di aiuti inviati ha contribuito a renderlo possibile.

Aiuti da molte parti

Oltre cento paesi inviarono aiuti. Giorno e notte, per settimane, il cielo fu solcato da aerei che trasportavano medici, soccorritori, medicinali, ospedali da campo, tende, viveri, vestiario e coperte. Ma era difficile far pervenire questi soccorsi nelle città e nei villaggi più distanti. Quando era impossibile farveli giungere per via terra, furono impiegati elicotteri per inviare le provviste, ma anche in tali casi a volte passarono giorni prima che le zone bisognose ricevessero gli aiuti.

Quando gli aiuti arrivarono gli abitanti dei villaggi indiani si comportarono bene, facendo ordinatamente la fila per ricevere i viveri e le cure mediche. Un Americano che si era recato sul posto per prestare soccorso osservò: “Se fossimo negli Stati Uniti, a questo punto ci sarebbero atti di violenza. Qui aspettano in fila. Non c’è neppure un soldato per mantenere l’ordine”.

Anche i testimoni di Geova di tutta l’America Centrale e di altri luoghi inviarono prontamente aiuti. Il giorno stesso del terremoto, i testimoni di Geova di El Salvador portarono viveri e vestiario. Il giorno dopo giunsero provviste dal Nicaragua. Dall’Honduras arrivarono tende e lamiera galvanizzata. Le filiali dei testimoni di Geova nell’America Centrale e la sede centrale della Società Torre di Guardia a New York, oltre a persone premurose, offrirono migliaia di dollari. E le stesse congregazioni guatemalteche delle zone meno colpite hanno fornito generosi aiuti sotto forma di viveri, generi di prima necessità e denaro.

Pertanto fummo in grado di consegnare tonnellate e tonnellate di viveri: e indumenti a chi ne aveva bisogno. Fu un vero privilegio partecipare al lavoro di trasportare le provviste nelle città e nei villaggi distanti. In un luogo dopo l’altro fummo i primi a portare i soccorsi in quelle zone. Per esempio, è stato riferito che il primo autocarro giunto coi soccorsi a Rabinal, una città duramente colpita situata 50 chilometri a nord di Guatemala, era stato inviato dalla nostra filiale.

Prevedendo che legname e lamiera galvanizzata sarebbero venuti a mancare, una delle prime cose che facemmo fu di comprare legname di pino grezzo e lamiera galvanizzata. Poi alcuni Testimoni esperti nell’edilizia caricarono su un autocarro un gruppo elettrogeno e seghe elettriche e si recarono nelle città e nei villaggi devastati di Chimaltenango. Lì costruirono locali di circa tre metri per tre per i Testimoni che avevano perso la casa. Una tale costruzione poté essere eretta in un’ora. Così, prima che altre organizzazioni facessero erigere tende in queste zone, i testimoni di Geova avevano un riparo.

A Guatemala due Sale del Regno rimasero gravemente danneggiate e bisogna ricostruirle. Anche i luoghi di riunione di congregazioni in altre città subirono danni. Tuttavia i Testimoni non si scoraggiano. Sono attivamente impegnati a ricostruire. Hanno fiducia nel futuro.

Perché hanno tale fiducia?

Essenzialmente, è a motivo della loro veduta spirituale. Comprendono il significato dei grandi terremoti d’oggi e, nonostante la distruzione e il dolore che spesso causano, i testimoni di Geova vedono in essi un motivo per aver fiducia nel futuro. Ma la popolazione prevalentemente cattolica romana vede le cose in modo diverso, ed è depressa.

Per citare un esempio, il venerdì dopo il terremoto, mentre visitavo San Pedro Sacatepéquez, un uomo che frugava tra i resti della sua casa mi disse abbattuto: “Questa è una punizione di Dio, perché siamo stati molto cattivi”.

Forse vi chiedete: Quest’uomo e molte altre persone laboriose simili a lui come si sono fatti tale idea? Il giorno dopo fu chiaro. Il cardinale cattolico del Guatemala, Mario Casariego, disse le seguenti parole riportate dal principale giornale della nazione:

“In questi momenti di grande calamità, viene in mente l’insegnamento delle Sacre Scritture: Dio ama e poiché ama, corregge, mette a posto e desta. . . . Non abbiamo resistito tanto da costringere Dio ad agire in questo modo?” Poi aggiunse che l’aiuto per ricostruire la Cattedrale e altre chiese andate distrutte sarebbe stato “il simbolo di un ritorno a Dio autentico e personale”. — El Imparcial, 7 febbraio 1976, pagina 6.

Ma i testimoni di Geova sanno che secondo l’insegnamento biblico non è stato Dio a mandare questo terremoto per punire la popolazione. Niente affatto! Invece la Bibbia predisse che “il segno” della prossima fine di questo sistema di cose malvagio, e della presenza di Cristo nel potere del Regno, avrebbe incluso “grandi terremoti, e in un luogo dopo l’altro pestilenze e penuria di viveri”. E dopo aver menzionato “il segno”, il grande profeta Gesù Cristo disse alcune parole di incoraggiamento: “Quando queste cose cominceranno ad avvenire, alzatevi e levate la testa, perché la vostra liberazione s’avvicina”. — Luca 21:7-28; Matt. 24:3-14.

I testimoni di Geova quindi, vedendo una prova così vigorosa dell’adempimento della profezia biblica come questo terremoto, levano la testa, fiduciosi che il nuovo sistema di cose di Dio è molto vicino. Ora vediamo che i perplessi Guatemaltechi ascoltano con particolare attenzione questo confortante messaggio della Parola di Dio. (2 Piet. 3:13; Riv. 21:3, 4) Anche prima del terremoto, quando N. H. Knorr, membro del Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova, visitò Guatemala nel dicembre del 1975, oltre 5.000 persone si radunarono per ascoltare il suo discorso nel parco di baseball del North Hippodrome. Erano più del doppio dei Testimoni che ci sono a Guatemala!

Il 1976 doveva essere un anno memorabile in questo paese. Sul Municipio di Guatemala c’è una scritta che dice: 1776 DUECENTO ANNI 1976. Il 6 gennaio la città aveva dato inizio alle celebrazioni del suo bicentenario. L’ex capitale era stata distrutta da un terremoto, e il 6 gennaio 1776 la nuova capitale fu ufficialmente occupata.

Quindi nel gennaio del 1976 la moderna Guatemala in espansione guardava con ottimismo al futuro. Ma quando si vedono persone che lavorano insieme per ricostruire e ripongono la loro fiducia nelle veraci profezie della Parola di Dio, c’è anche maggior ragione per aver fiducia che il loro futuro sarà luminoso.

[Testo in evidenza a pagina 4]

“La terra sollevò l’edificio come un cavallo che tenta di disarcionare il cavaliere”.

[Testo in evidenza a pagina 6]

“Il suolo sotto i piedi non era normale. Era come camminare sul fango, ma senza affondare”.

[Cartina a pagina 5]

(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

GUATEMALA

STATO DI CHIMALTENANGO

Tecpán

Comalapa

Patzicía

Oceano Pacifico

Rabinal

San Juan

San Pedro

GUATEMALA

Antigua Guatemala

Gualán

El Progreso

HONDURAS

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