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  • g78 22/10 pp. 10-16
  • L’evidenza del mondo animale

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  • L’evidenza del mondo animale
  • Svegliatevi! 1978
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  • Relazione tra la riproduzione e il pericolo di estinzione
  • Misure protettive
  • Equipaggiati per la caccia
  • Aerodinamica degli uccelli
  • Mirabile regolazione del calore
  • Comportamento che denota un proposito
  • Proposito evidente nel differenziarsi delle specie
  • Il nido del fagiano australiano
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  • Incubatrici che riflettono sapienza
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Svegliatevi! 1978
g78 22/10 pp. 10-16

L’evidenza del mondo animale

IL MONDO animale deve affrontare un problema ben diverso da quello cui va incontro il mondo vegetale. Le piante, in massima parte, sono immobili. Il loro posto fisso rende indispensabile che abbiano l’adattabilità di sopportare fattori ambientali mutevoli e ostili. Inoltre devono fabbricarsi il nutrimento da materiali inorganici.

Gli animali di solito hanno grande libertà di movimento. Non possono fabbricarsi il cibo, ma lo devono raccogliere o cacciare. Quindi bisogna che ricorrano a metodi diversi per procacciarsi il nutrimento e per la riproduzione e la sopravvivenza della specie. E tali metodi variano da specie a specie, essendo tutti ottimi.

La struttura del corpo e i metodi impiegati dagli animali si possono paragonare alle invenzioni e ai congegni escogitati dall’uomo per la caccia, la protezione, ecc. Infatti l’uomo ha potuto perfezionare le sue invenzioni, come aerei, strumenti ottici, navi e altri apparecchi “moderni”, studiando la formazione e il comportamento degli animali. Non è attribuita agli animali l’intelligenza di inventare queste cose, e certo essi non sono in grado di formare o cambiare il proprio corpo onde sviluppare tali cose. Da dove è venuta dunque tale intelligenza?

Relazione tra la riproduzione e il pericolo di estinzione

Vi è l’evidenza che, tra gli animali oviparia, il numero delle uova prodotte da un singolo genitore dipende dai pericoli a cui sono esposte le uova o la progenie appena nata. Per esempio, l’ostrica comune produce circa 50 milioni di uova alla volta. Per quasi tutti gli animali marini queste uova sono un piatto succulento. E hanno l’opportunità di mangiarle a milioni, poiché le uova galleggiano per parecchi giorni prima di attaccarsi in modo permanente al luogo dove si sviluppano fino a maturità. Benché milioni di uova vengano mangiate, ne sopravvivono abbastanza perché la popolazione delle ostriche rimanga costante. Eppure l’ostrica ovviamente non può sapere cosa accade alle uova. In modo simile, pur non essendo così prolifici come l’ostrica, molti altri animali marini che non hanno altro mezzo per proteggere le loro uova ne depongono un numero prodigioso.

D’altra parte, l’aquila reale depone solo da uno a quattro uova per volta, e l’aquila comune da uno a tre.

Questi uccelli costruiscono i nidi in luoghi impervi e inaccessibili, e con la loro capacità di volare e i forti artigli sono in grado di proteggere i nidi. Quindi un gran numero di uova sarebbe superfluo.

A proposito dell’effetto generale di tale diversa produzione da parte delle varie specie di animali, l’Encyclopædia Britannicab dichiara:

“La maggior parte degli animali, in media, non crescono né diminuiscono in modo notevole, e in tali popolazioni . . . la natalità o ritmo di riproduzione uguaglia la mortalità complessiva di uova, piccoli e adulti”.

Alcuni sostenitori dell’evoluzione pretendono che l’uguaglianza o l’equilibrio fra natalità e mortalità sia un meccanismo evolutivo per prevenire la sovrappopolazione. Altri ragionano dal punto di vista della selezione naturale. Ma se si riflette su tutti i fattori inerenti — clima, procreazione, riserve alimentari, ecc. — si può davvero credere, in base alla logica, che forze non intelligenti abbiano valutato e determinato questa situazione estremamente complessa con tale evidente successo?

Un esempio della difficoltà di mantenere l’equilibrio ecologico è quello della tartaruga, che depone un centinaio di uova all’anno. La femmina viene a riva quando è buio e scava buche nella sabbia, dove deposita le uova e le ricopre; quindi le abbandona a se stesse. Quando giunge il momento di uscire dall’uovo, la piccola tartaruga sente l’impulso di rompere il guscio. A tal fine ha sulla testa uno speciale punto duro con cui perfora il guscio. Quindi si scava una via d’uscita nella sabbia e, senza esitazione, si dirige in gran fretta verso il mare. Durante il tragitto è in grave pericolo di essere catturata da animali da preda, specialmente uccelli. Pur non rendendosene conto supera precipitosamente tutti gli ostacoli, e, se viene presa e rivoltata all’indietro, immediatamente fa dietro front per cercare la protezione del suo elemento naturale: il mare. Anche lì è in pericolo, e molte piccole tartarughine sono mangiate dai pesci. Le tartarughe forniscono dunque una parte del nutrimento a uccelli e pesci, ma un numero sufficiente sopravvive per assicurare la sopravvivenza della popolazione delle tartarughe.

Potrebbe il cieco caso dirigere ogni tartaruga verso il mare in modo così preciso e determinato? Come fa a sapere che deve uscire dal guscio e dalla sua incubatrice di sabbia? Per caso è provvista del necessario per rompere il guscio? Ciascun espediente, da quando la madre viene a riva nell’oscurità per seppellire le uova affinché siano al sicuro dalla maggior parte degli animali da preda, finché la piccola tartaruga raggiunge il mare, è indispensabile. Se mancasse un anello della catena, la specie delle tartarughe sarebbe estinta in pochissimo tempo.

Misure protettive

Un uccello dell’America Centrale, il Cacicus, ha un modo di proteggere i suoi piccoli che metterebbe alla prova la mente anche dell’uomo più intelligente. Gatti selvatici, lucertole giganti e animali come il procione potrebbero attaccare facilmente il suo nido, anche se costruito sui più alti alberi. Ma questi uccelli sventano l’attacco nemico ricorrendo all’aiuto di un alleato, senza che questo ne sia consapevole. Costruiscono una colonia di nidi, spesso 50 o più, su un singolo ramo di un grande albero. Scelgono un ramo su cui si trovi un grande alveare di vespe tropicali. Le vespe non sembrano disturbate dai nidi, o dalle attività degli uccelli, ma guai all’intruso che cerchi di avvicinarsi ai nidi!

Il bruco di una falena dell’Africa Occidentale ha pericolosi nemici parassiti. Questi parassiti penetrano nel fianco del bozzolo del bruco e depongono le uova nel suo stesso corpo. Quando il bruco è pienamente cresciuto, la larva parassita lo divora. Poi, quando le larve parassite escono dal bozzolo, s’intessono un minuscolo bozzolo schiumoso. Perciò il bruco, quando intesse inizialmente il bozzolo, forma delle bolle di schiuma, che si attaccano all’esterno, tanto che sembra che la sua dimora sia già stata invasa. Questo è un tentativo, che senza dubbio spesso ha successo, di scoraggiare i parassiti nemici. Come avrebbe potuto il caso guidare l’istinto e dare al bruco la capacità di mimetizzarsi tanto astutamente?

Equipaggiati per la caccia

Un pesciolino del mar delle Antille chiamato Anableps dowei ama cibarsi di primizie che galleggiano sulla superficie dell’acqua. Esso dev’essere in grado di vedere sia al di sopra dell’acqua in cerca di cibo sia sott’acqua per guardarsi dai nemici. Questo sarebbe impossibile per occhi con una sola messa a fuoco. Ma questo pesciolino è munito di “lenti bifocali”. Grazie a due pupille può vedere al di sopra dell’acqua con le lenti per vedere da vicino e sott’acqua con le lenti per vedere da lontano. In tal modo tiene conto del fatto che la luce viaggia a diverse velocità nell’aria e nell’acqua. Per mantenere umide le pupille superiori, ogni pochi minuti immerge la testa sott’acqua.

Un altro pesce in grado di superare la proprietà di rifrazione della luce che ha l’acqua è il Toxotes jaculator. Quasi tutti sanno che un oggetto sott’acqua sembra più vicino a chi guarda da sopra l’acqua, o che un bastone immerso nell’acqua a un certo angolo sembra piegato. Per mirare con una freccia o un fucile a un piccolo oggetto nell’acqua bisognerebbe fare un calcolo piuttosto complesso per colpire l’oggetto. Questo pesce ha il problema inverso. Vede un insetto su un ramo: prontamente alza la testa, o solo la bocca, fuor d’acqua e abbatte l’insetto con un getto d’acqua “antiaereo”. Per far questo deve prendere la mira mentre si avvicina alla superficie dell’acqua, tenendo conto della rifrazione dell’acqua. Questa capacità di fare istantanei calcoli matematici è insita in questo pesce per un proposito, oppure il complesso schema di tanti fattori fu impresso per caso nel meccanismo del corpo di qualche pesce primordiale e quindi è stato trasmesso a tutti i suoi discendenti?

Aerodinamica degli uccelli

Molti studi sono stati fatti sull’aerodinamica del volo degli uccelli. Ciascuna specie di uccello è preparata per la parte che svolge nella disposizione ecologica. La sterna artica percorre 16.000 chilometri nei suoi voli migratori. Tali uccelli migratori sono in grado di volare a grande velocità. Le ali di alcuni uccelli fungono da elica per il volo in avanti. Alcuni volano per ore librandosi sulle ali o a volo planato. Nel movimento all’ingiù, le penne delle ali si appiattiscono o si richiudono, per il massimo “impatto” nell’aria. Nel movimento all’insù, le penne si girano e si aprono per permettere alle ali di essere sospinte facilmente in alto. Un gruppo di penne nel bordo d’attacco dell’ala previene la turbolenza che ridurrebbe il potere d’ascesa. Gli uomini hanno copiato questo nelle ali dell’aeroplano.

Il colibrì, pur avendo le ali sotto certi aspetti simili a quelle degli altri uccelli, si libra in volo come un elicottero. Ma invece di girare come l’elica dell’elicottero, le sue ali si muovono avanti e indietro come remi, con 60-70 battiti al secondo. Ciascun’ala gira alla giuntura della spalla, col bordo d’attacco davanti nel movimento in avanti, e ruota di quasi 180 gradi in modo che il bordo d’attacco si trovi dietro nel movimento all’indietro. In effetti l’ala descrive orizzontalmente la figura di un otto. Ogni battito imprime un movimento ascensionale ma non propulsorio. In tal modo l’uccello può restare immobile nell’aria mentre succhia il nettare di un fiore.

Mirabile regolazione del calore

I megapodi dell’Australia compiono un’impresa che gli uomini riterrebbero praticamente impossibile senza l’uso di moderna attrezzatura scientifica: si fabbricano la propria incubatrice.

Nell’arida zona semidesertica dove dimorano, in cui la temperatura va dagli 8 gradi centigradi sotto zero ai 46 sopra zero, il maschio di questo gallinaceo durante l’inverno seppellisce foglie ancora umide affinché non si secchino, ma si decompongano. In maggio, all’avvicinarsi dell’inverno, scava una buca del diametro di quasi 5 metri e profonda oltre un metro, raccogliendovi le foglie da una quarantina di metri all’intorno. Poi, durante il freddo agosto, copre il mucchio con oltre mezzo metro di terriccio. La femmina depone quindi le uova in un buco in cima alla montagnola.c

In uno studio al riguardo H. J. Frith (Scientific American dell’agosto 1959, pagg. 54-58) dice:

“In primavera [il maschio] deve ridurre la quantità del calore di fermentazione che raggiunge le uova. Si reca alla montagnola ogni giorno prima dell’alba e scava rapidamente fino a raggiungere la cavità dove si trovano le uova. Dopo aver lasciato uscire calore sufficiente ricopre la buca con sabbia fresca.

“Più tardi durante l’estate il sole diventa molto caldo, e gran parte del calore si sposta per conduzione dalla superficie della montagnola alla cavità dove si trovano le uova. Un po’ di calore sale ancora anche dalla materia organica, benché la fermentazione sia ormai rallentata. Le uova tendono quindi a surriscaldarsi, e l’uccello deve fare qualche cosa per ridurre la temperatura. C’è poco che possa fare per rallentare la fermentazione, ma egli riduce la conduzione termica solare. Ogni giorno aggiunge terriccio alla montagnola. Man mano che la montagnola diventa più alta, le uova per un po’ sono più isolate dal sole. Dopo qualche tempo evidentemente l’uccello non riesce a innalzare di più la montagnola, e un’ondata di calore comincia di nuovo a scendere verso le uova. Ora il maschio si reca alla montagnola ogni settimana circa, nelle prime ore del mattino, rimuove tutto il terriccio e lo espone alla fresca brezza del mattino. Quando è raffreddato lo raccoglie e lo rimette al suo posto. Ciò richiede strenuo lavoro, ma riesce a ridurre il calore nell’incubatrice. La temperatura delle uova rimane costantemente sui 33 gradi centigradi.

“Quando sopraggiunge l’autunno, l’uccello deve affrontare il problema opposto: la temperatura della montagnola scende. La montagnola non produce più calore di fermentazione, e l’erogazione di calore solare diminuisce ogni giorno. L’uccello ora cambia attività per affrontare il problema. Mentre prima grattava e spargeva la sabbia perché si rinfrescasse nelle prime ore del mattino, spesso prima dell’alba, ora viene ogni giorno alla montagnola verso le 10, quando il sole è alto. Rimuove quasi tutto il terriccio e lo stende in modo che la montagnola assomigli a un grande piatto, con le uova solo pochi centimetri al di sotto della superficie. Questo sottile strato di terriccio, esposto al sole di mezzogiorno, assorbe calore, ma non abbastanza da mantenere la temperatura per tutta la notte. Il piatto dev’essere riempito di sabbia calda. Durante la parte più calda del giorno l’uccello gratta la sabbia tolta dalla montagnola, esponendola tutta al sole. Man mano che ogni strato si riscalda, lo rimette sulla montagnola. Regola il lavoro affinché l’incubatrice abbia di nuovo a posto tutti gli strati di sabbia riscaldata per le 16, quando il sole comincia a calare”.

Questo studioso ha fatto un esperimento mettendo nella montagnola una resistenza azionata da un generatore a 240 volt, e accendendola e spegnendola. Questo tenne occupato l’uccello, ma esso riuscì a mantenere la temperatura sui 33 gradi.

Quale forza del cieco caso poteva far sapere a quest’uccello che una temperatura di 33 gradi centigradi era assolutamente essenziale all’incubazione delle uova, e anzi, perché questo gallinaceo vorrebbe riprodursi? Quello dei megapodi è un caso straordinario, poiché non appena il piccolo rompe l’uovo ed esce dalla montagnola, i genitori lo lasciano completamente a se stesso. Non gli danno più nessun aiuto. Eppure il maschio ha compiuto un lavoro dei più duri sotto il sole cocente per incubare le uova, come se la sopravvivenza della specie fosse importante per l’ecologia, e senza dubbio lo è.

Comportamento che denota un proposito

Vi sono migliaia di altre caratteristiche del comportamento degli animali che si possono facilmente comprendere come risultato del disegno di una mente superiore, ma che richiedono migliaia di supposizioni per giustificare la teoria del caso o della coincidenza. Per esempio, come mai il castoro ha una coda fatta apposta per il suo lavoro di “intonacare”, denti che possono abbattere alberi, e l’incentivo a costruire, prima una diga, e poi una casa comoda e sicura, ben fornita di cibo? Come mai le dighe che costruisce sono utili, anzi indispensabili alla vita di altri animali della zona? Non si può certo dire che il castoro deliberatamente lavori per il bene degli altri animali.

Come mai il gerboa dell’Asia si costruisce una tana permanente con un’entrata principale, ostruita di giorno da sabbia, e con diverse uscite d’emergenza? Come mai il Notornis, uccello della Nuova Zelanda, sa di doversi costruire diversi nidi, ciascuno con due uscite, affinché la femmina possa trasferirsi da un nido all’altro? Anche un essere umano che cerchi di sfuggire gli inseguitori potrebbe trascurare di fare un simile piano in anticipo. Dobbiamo anche notare che gli animali non imparano tali modelli fondamentali dai propri genitori, benché in alcuni casi i genitori insegnino ai piccoli alcune cose, fra cui come esser cauti, cacciare e difendersi. Certo non c’è nessuna prova che gli animali si basino sulla conoscenza o sulle scoperte dei loro antenati per fare progresso nell’apprendere, come gli uomini. Nondimeno, ciascun animale ha il modello di comportamento necessario alla sopravvivenza della sua specie.

Proposito evidente nel differenziarsi delle specie

Anche se molti lettori occasionali forse non se ne rendono conto, Charles Darwin non credette nell’evoluzione in senso assoluto. Nella conclusione della sua opera Origine delle specie dice: “Vi è grandiosità in questa veduta della vita, con i suoi diversi poteri, instillati in origine dal Creatore in alcune o in una sola forma [di vita]”.

Ma non vi è alcuna prova che l’attuale grande varietà di “specie” molto differenti di animali terrestri abbia avuto origine da una, o da solo alcune forme create in origine, anche se molte varietà sono derivate dalle “specie”, che non si possono incrociare. Sull’argomento, nel libro A Scientist in Search of God, H. W. Chatfield scrive:

“Un primitivo incontrollato istinto d’accoppiarsi significherebbe il disastro per la vita animale; ma in che modo il mondo animale è guidato nel sentiero virtuoso e responsabile se non dal saggio intervento di una forza direttiva che in qualche modo, non compreso da noi, ha imposto un fermo di sicurezza per mantenere l’ordine della creazione? Questa forza ha dotato il mondo animale di due sessi con l’essenziale attrattiva tra loro per preservare la vita, ma ha saggiamente limitato quest’attrattiva per impedire che sia mal diretta.

“Si potrebbe arguire che le circa 800.000 specie conosciute di animali siano il risultato di precedenti incroci, e, che questo sia vero o no, resta il fatto che ora siamo in grado di definire queste specie distinte. Se incroci indiscriminati fossero avvenuti per i milioni di anni con cui zoologi ed evoluzionisti sono soliti destreggiarsi, saremmo davvero molto fortunati a riconoscere anche una sola singola specie. La sorpresa è che anche dopo tutto questo tempo possiamo classificare la vita animale in specie ben distinte e facilmente riconoscibili”. — Pagg. 138, 139.

In quanto alla vita sulla terra, la Bibbia risponde che la vita è opera di un Grande Creatore, non il prodotto del caso. Leggiamo: “Degno sei, Geova, Dio nostro, di ricevere la gloria e l’onore e la potenza, perché tu creasti tutte le cose, e a causa della tua volontà esse esisterono e furon create”. — Riv. 4:11.

E in quanto alla riproduzione delle diverse specie, c’è una legge che la governa, e sappiamo che nessuna legge proviene dal caso o dalla coincidenza, ma è opera di un legislatore. Secondo questa legge ogni specie di vegetazione e animale deve riprodursi “secondo la sua specie”. Direste che i fatti denotano coincidenza, o proposito, nella vita sulla terra? — Gen. 1:11, 12, 21, 24, 25.

[Note in calce]

a Che producono uova che vengono maturate o covate dopo esser state espulse dal corpo.

b Edizione 1976, Macropædia, Vol. 14, pag. 827.

c La femmina dei megapodi comincia a deporre le uova verso la metà di settembre, un uovo ogni 4-8 giorni, fino a febbraio o ai primi di marzo. Il periodo d’incubazione è di sette settimane, quindi i piccoli appena usciti dal guscio periodicamente si scavano un’uscita dalla montagnola: una vera “catena di produzione”.

[Immagine a pagina 12]

L’“Anableps dowei” è munito di lenti “bifocali”; può vedere il cibo sulla superficie dell’acqua pur guardandosi dai nemici sott’acqua

[Immagine a pagina 13]

Come può il “Toxotes jaculator” tener conto con tanta precisione della rifrazione dell’acqua per poter “abbattere” gli insetti?

[Immagine a pagina 15]

Come fanno i megapodi a “conoscere” così bene le tecniche di controllo della temperatura?

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