Particelle elementari del mondo dell’atomo
UN ESERCITO internazionale di investigatori è alle calcagna di un’inafferrabile preda, abile nel camuffarsi e nel dileguarsi con rapidità. Ci sono numerosi indizi: tracce rivelatrici, un chiaro modo d’agire e perfino fotografie. I mezzi tecnici di individuazione di cui dispongono gli inseguitori migliorano continuamente, ma i soggetti sembrano solo diventare via via più inafferrabili e misteriosi.
Non sono alla ricerca di qualcosa di grande; cercano qualcosa di piccolo, anzi, la cosa più piccola che ci sia. Questi investigatori sono scienziati atomici e sono alla ricerca della particella elementare, il materiale da costruzione dell’universo.
Questa indagine risale come minimo al quarto secolo a.E.V. I filosofi greci dell’epoca riflettevano sul risultato di ripetute e successive divisioni della materia. Conclusero che non poteva durare all’infinito; il risultato sarebbe stato alla fine un pezzo indivisibile di materia. A Democrito va il merito di avere coniato la parola “atomo” per definire la particella più piccola di materia. Tuttavia, nel XX secolo gli sforzi sono stati volti soprattutto a scoprire ciò che costituisce l’atomo stesso.
Si trovano le prime “particelle elementari”
J. J. Thomson identificò l’elettrone nel 1897. Egli scoprì che una corrente elettrica consiste di un gran numero di queste particelle. Gli elettroni sono così piccoli che in un secondo ne passano 6 miliardi di miliardi attraverso una lampadina da 100 watt. Gli elettroni, le meno elusive fra tutte le particelle elementari, sono come vagabondi incostanti che si spostano facilmente da una parte all’altra anche mediante semplice attrito. Quando camminate su un tappeto, con le scarpe ne potete raccogliere miliardi che si spargono su tutto il vostro corpo, solo per riunirsi e saltare precipitosamente nell’aria come una scintilla se toccate con un dito un interruttore della luce.
Nel 1911 Ernest Rutherford mostrò che tutta la carica positiva dell’atomo e quasi tutta la sua massa risiedevano in uno spazio grande un decimillesimo dell’atomo stesso. Sorse così la popolare immagine che quasi tutti abbiamo dell’atomo: un piccolo nucleo centrale circondato di elettroni in rapido movimento che girano attorno ad esso come api attorno a un alveare.
Nel 1932 si scoprì che il nucleo era formato di protoni e neutroni. I protoni contengono la carica positiva dell’atomo, carica di grandezza esattamente uguale ma di tipo opposto alla carica dell’elettrone che è negativa. Il protone ha una massa circa 1.800 volte maggiore di quella dell’elettrone, pressappoco la stessa proporzione che vi è fra un frigorifero e un biscotto. Di massa appena superiore a quella del protone, il neutrone è privo di carica. Verso gli anni quaranta gli esperimenti e le teorie avevano sollevato la cortina che copriva molte altre particelle aventi un ruolo nel nucleo. Il quadro mentale che gli scienziati avevano del nucleo si faceva molto più complesso.
Rivelatori di particelle
I fisici “vedono” le particelle esaminando il residuo della loro interazione con la materia. Queste interazioni si potrebbero paragonare alla scia lasciata da un bambino che mette a soqquadro il vicinato calpestando le aiuole e rovesciando i bidoni dell’immondizia. Dopo un po’ i vicini possono individuare mediante le prove il colpevole. Una particella carica in movimento e separata dalla sua “casa” atomica si comporta in modo simile a un bambino sfrenato. Urta contro gli altri atomi e ne separa gli elettroni, lasciando un residuo di atomi carichi.
La camera a nebbia è stata uno dei primi rivelatori di particelle. Le particelle cariche lasciano tracce di vapore nella camera a causa della condensazione di vapori sugli atomi urtati lungo la traiettoria, qualcosa di simile alla scia lasciata da un aviogetto ad alta quota. Oggi sono più diffuse le camere a bolle che si servono di un liquido portato quasi a ebollizione come mezzo attraverso il quale una scia di bolle segna la traiettoria della particella.
Campioni di velocità
Le particelle viaggiano a enorme velocità. Il fotone detiene il primato di velocità insieme al neutrino e al gravitone. Hanno tutt’e tre massa nulla e perciò si muovono alla velocità della luce (300.000 chilometri al secondo), velocità che farebbe fare loro il giro della terra più di sette volte in un secondo.
Le particelle materiali (aventi massa) possono avvicinarsi alla velocità della luce ma mai raggiungerla. Anzi, la velocità massima che l’elettrone può raggiungere quando gira attorno al nucleo è circa un decimo della velocità della luce. La sua velocità rispetto a quella delle particelle più veloci è simile a quella di un’automobile lanciata su un’autostrada in paragone con quella di un aereo supersonico.
Artisti del travestimento
Il tempo di esistenza di una particella è detto vita media. Gli elettroni e i protoni sono stabili, vale a dire che la loro vita media è infinita. Ma la maggioranza delle particelle “vivono” solo brevissimo tempo. Per esempio, il muone, una particella prodotta dall’interazione della radiazione cosmica nello strato superiore dell’atmosfera, ha una vita media di due milionesimi di secondo. Quando “muore”, appaiono improvvisamente al suo posto un elettrone e due neutrini. Si potrebbe fare il paragone di un rapinatore che appena fuori della banca si trasforma miracolosamente in tre persone diverse che se la svignano in direzioni diverse.
Questo improvviso cambiamento di identità ha dato non poco filo da torcere agli scienziati nello studio delle particelle di breve vita. In pochi milionesimi di secondo dopo che si è formata, una particella può disintegrarsi in due o più altre particelle minori, le quali, a loro volta, possono trasformarsi in altre particelle ancora, diverse e più piccole. Il processo continua fino a che si producono particelle stabili. Quando una particella cambia identità si dice che “decade”. Ma perché l’elettrone e il protone sono le uniche particelle aventi una massa le quali non decadono? A motivo delle cosiddette leggi di conservazione.
Leggi di conservazione
In parole semplici, una legge di conservazione dice che se una grandezza conservata è misurata prima di un evento, quella grandezza deve restare invariata dopo l’evento.
Per fare un esempio, immaginate un complesso di quattro campi da tennis circondati da un alto recinto che impedisce alle palle di cadere fuori. All’arrivo dei giocatori diamo a ciascuna coppia 10 palle identiche e diciamo loro di non preoccuparsi delle palle specifiche con cui cominciano il gioco. Durante partite simultanee le palle cadranno probabilmente nei campi adiacenti e saranno usate anche lì. Alcune palle saranno usate alla fine da tutti i giocatori. Al termine delle partite raccogliamo le palle. Ci attendiamo di riavere indietro lo stesso numero di palle che abbiamo distribuito. Se ce ne sono di meno concluderemo che alcune sono volate di là dal recinto, sono ancora nei campi o sono state portate via dai giocatori. Non c’è altra spiegazione plausibile: le palle da tennis non svaniscono nell’aria. In questo caso, ‘le palle da tennis sono conservate’.
Le leggi di conservazione regolano il mondo fisico. Non può accadere nulla che violi una legge di conservazione: nel mondo delle particelle elementari non ci sono cittadini trasgressori della legge.
L’elettrone è stabile a motivo della conservazione della massa e della carica elettrica. È la particella carica più leggera che esista. Ci sono particelle più leggere dell’elettrone ma sono tutte invariabilmente neutre in quanto a carica elettrica. Se l’elettrone dovesse decadere in una di queste particelle più leggere dovrebbe sbarazzarsi della sua carica, ma non può perché questo violerebbe la legge di conservazione della carica. Non può decadere in particelle cariche più pesanti perché questo violerebbe la legge di conservazione della massa: è impossibile come sarebbe impossibile tagliare un filone di pane da mezzo chilo e ricavarne fette di due chili. Quindi l’elettrone non può decadere perché non ha semplicemente ‘nessun posto dove andare’.
Il protone è stabile perché per decadere dovrebbe violare un’altra legge di conservazione. D’altra parte, il neutrone è stabile finché ha un protone a cui stare vicino. Mettete un neutrone in “isolamento” e in una quindicina di minuti decade.
Kenneth Ford, nel suo libro The World of Elementary Particles, sottolinea l’importanza delle leggi di conservazione in questo modo: “la cosa ‘normale’ è che una particella subisca il processo di decadimento e si tramuti in altre particelle più leggere. Per ragioni non perfettamente comprese ci sono due particelle ‘anomale’, il protone e l’elettrone, cui è vietato decadere. Secondo questo concetto più ampio delle particelle, esistono certe leggi della natura (leggi di conservazione) che impediscono il decadimento di queste due particelle. A motivo di ciò, è possibile la costruzione di un universo materiale.
“Naturalmente, dato che c’è solo un Universo, e un solo codice di leggi naturali, non ha molto senso dire che nel mondo esiste un particolare stato di cose per caso. Ma questo concetto della molteplicità delle particelle continua il processo, iniziato da Copernico, di far sentire l’uomo sempre più umile di fronte al progetto della natura. Noi e il nostro mondo esistiamo grazie a certe leggi di conservazione che stabilizzano alcune particelle e permettono di edificare una struttura ordinata sul normale caos del mondo submicroscopico”.
Le leggi di conservazione predicono il “neutrino”
I primi esperimenti nello studio delle particelle subatomiche fecero pensare che il neutrone decadesse in modo non conservato. I ricercatori avevano notato che quando un neutrone decadeva in un protone e in un elettrone il momento e l’energia dopo il decadimento erano assai inferiori a ciò che erano stati prima del decadimento. Dato che queste erano grandezze conservate, in tal caso le leggi di conservazione sembravano essere violate. I fisici nucleari non potevano accettare questa conclusione.
Per salvare queste leggi di conservazione, i teorici inventarono il neutrino e gli attribuirono tutte le qualità necessarie per farne una particella indivisibile nel processo di decadimento del neutrone. Gli scienziati non riuscivano a ‘vederlo’, ma supponevano che esistesse grazie alla fede nelle leggi di conservazione in cui avevano imparato ad aver fiducia.
Dopo aver accettato il neutrino per fede per 25 anni, nel 1956 gli scienziati lo scoprirono. Non è strano che fosse così elusivo; non ha carica, massa apparente nulla, e viaggia alla velocità della luce. I neutrini interagiscono così di rado con la materia che la maggioranza di essi attraversano così completamente la terra con la stessa facilità con cui un proiettile attraversa un foglio di carta velina. In una prova effettuata per dimostrare l’esistenza del neutrino, gli sperimentatori inviarono, secondo i loro calcoli, 100.000 miliardi di neutrini attraverso 13 metri di ferro alla camera di un rivelatore che tuttavia ne registrò solo 29. Sarebbe come far passare l’intera popolazione terrestre in una stanzetta contenente una bilancia pesa-persone, che alla fine registrasse solo un etto.
Classificazione delle particelle
Verso il 1960 erano state scoperte tante particelle che gli scienziati si sentivano come uno zoologo naufragato e finito su un’isola popolata da una gran varietà di animali a lui sconosciuti. Nel tentativo di mettere un po’ d’ordine nella varietà delle particelle, i fisici classificarono le particelle in gruppi basati su proprietà simili, come farebbe uno zoologo classificando i diversi animali in mammiferi, rettili, e così via.
Le particelle più pesanti sono dette adroni. Gli adroni più pesanti sono chiamati barioni. I barioni (protoni, neutroni, ecc.) sono gli “elefanti” dello zoo delle particelle subatomiche. Gli adroni più leggeri sono detti mesoni (pioni, kaoni, ecc.) e sono più che altro della “grandezza di una tigre”. I leptoni (elettroni, muoni, neutrini) sono in generale gli “insetti” del mondo delle particelle.
Il sistema effettivo non si basa sulla grandezza e sul peso, ma sulla probabilità che i membri di ciascuna classe interagiscano fra loro. Gli elefanti interagiscono con altri elefanti in modo diverso da come interagiscono con gli insetti. Infatti, insetto ed elefante possono non notarsi neppure eccetto quando l’elefante rosicchia una foglia di cui l’insetto si sta nutrendo. Gli adroni simili a elefanti interagiscono fra loro secondo la cosiddetta interazione forte. I leptoni, simili a insetti, non si accorgono neppure della cosiddetta interazione forte: che gliene importa a una cavalletta se due elefanti litigano? Ma i leptoni carichi sono sensibili alla forza elettromagnetica e interagiranno con gli adroni secondo le regole di questa forza, proprio come entrambi gli animali devono notarlo se quello più piccolo finisce nell’occhio del più grande.
Esiste una particella più “elementare”?
Da che l’uomo ha cominciato a studiare l’atomo e a scinderlo, sono state scoperte circa 300 particelle, soprattutto adroni. I leptoni sembrano veramente “elementari”, cioè sono privi di grandezza percepibile e sembrano non avere nessuna struttura interna. Inoltre, ci sono soltanto sei leptoni conosciuti, un piccolo numero indice di semplicità. Gli adroni non sono così semplici. Hanno una grandezza che si può misurare e ne esistono centinaia. Quando un adrone decade, spuntano fuori dai detriti altri adroni.
Negli anni sessanta Murray Gell-Mann e George Zweig proposero una nuova particella, il quark. Secondo la loro teoria tutti gli adroni erano composti di due o tre quark in qualche combinazione. Attribuendo certe proprietà ai quark teorici Gell-Mann e Zweig poterono spiegare che tutte le particelle nucleari conosciute (adroni) erano fatte solo di tre diversi quark chiamati “su”, “giù” e “strano”. Un vantaggio della teoria fu la predizione dell’esistenza di una particella precedentemente non scoperta che in seguito fu prodotta e si riscontrò avere le proprietà previste. Questo contribuì notevolmente a far accettare la teoria. Recenti esperimenti fanno pensare vivamente alla presenza di tre altre varietà di quark soprannominate “affascinato”, “verità” e “bellezza”.
Al tempo della stesura di questo articolo, i singoli quark non sono stati individuati in maniera definitiva; alcuni pensano che non saranno mai isolati. Ma i quark costituiscono un fermo fondamento teorico per tutta la fisica delle particelle. Come per il neutrino, gli scienziati credono in essi senza vederli perché si possono usare per predire ciò che le particelle rivelabili dell’atomo faranno in certe condizioni.
Continuerà il numero dei quark su cui si basa l’attuale teoria a giustificare l’esistenza di nuove particelle ancora da scoprire? Si scopriranno altri quark? Sarà mai isolato un quark? I quark sono veramente le ultime “particelle elementari” del nucleo atomico? Se no, di che cos’è fatto un quark?
“Di che cos’è fatto?” è una domanda a cui può non essere mai data una risposta completa. Ogni volta che si fa un passo avanti nello studio della materia, la cosiddetta “particella elementare” sembra essere fatta di qualcosa di più semplice. (Ora si parla di “gluoni”). Non finirà mai la ricerca? Può darsi che la nostra curiosità non sia mai completamente soddisfatta. Questa prospettiva sembra più allettante che scoraggiante ad alcuni. Essi nutrono gli stessi sentimenti dell’apostolo cristiano Paolo: “O profondità della ricchezza e della sapienza e della conoscenza di Dio! Come sono imperscrutabili i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie!” — Rom. 11:33.