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  • In volo al Polo Sud
  • Svegliatevi! 1981
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    Svegliatevi! 2000
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    Svegliatevi! 2000
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Altro
Svegliatevi! 1981
g81 8/2 pp. 19-21

In volo al Polo Sud

QUATTRO giorni all’anno l’Air New Zealand effettua voli per l’Antartide, al Polo Sud. Il 21 novembre 1979 salii a bordo dell’aereo che da Auckland ci avrebbe portati a sud.

Lasciata la Nuova Zelanda alle spalle, l’aereo prese quota per accingersi al lungo volo senza scalo fino al continente ghiacciato. Allorché furono spente le luci nella cabina ci preparammo a vedere tre pellicole sul Polo Sud. Prima ci fu un documentario in bianco e nero sulla spedizione di Amundsen nel 1912. Che pionieri coraggiosi e devoti furono quelli! Seguirono due film a colori su spedizioni più recenti e sullo stabilimento della base neozelandese Scott.

Uno spettacolo da vedere

Il tempo volò via e ci accorgemmo ben presto che stavamo scendendo attraverso il bagliore riflesso verso uno splendido paesaggio, l’Antartide. È un continente senza pari, il più freddo del mondo, isolato, che fino al 1977, quando ebbe inizio l’era del “viaggio di un giorno” nell’Antartide in aviogetto, era impossibile visitare per la gente comune come me.

Credo non esista contrasto più grande di quello che c’è fra le condizioni incontrate dai primi esploratori dell’Antartide e quelle dell’odierno visitatore che vola ad alta quota. Dalla base Scott ci comunicano per radio che laggiù la temperatura si aggira intorno allo zero, la loro giornata più calda in undici mesi! Dal nostro calduccio guardiamo fuori dei finestrini, mentre i passeggeri sono chini uno sull’altro col naso incollato al vetro.

I banchi di ghiaccio somigliano a pezzi di carta bianca liscia che galleggiano in un mare d’inchiostro, mentre le crepe nel ghiaccio più sottile sembrano venature in blocchi di marmo. È tutto così diverso da quello che mi ero immaginato, tutt’altro che uniforme e incolore. C’è invece una bella varietà, e in certi casi il diverso spessore del ghiaccio lo fa assomigliare all’opale. Si possono vedere catene montuose, valli, enormi ghiacciai, crepacci giganteschi, il ghiaccio del mare, simile a un merletto, che si fonde con la terraferma gelata, ripide scogliere a picco sul mare, dove galleggiano blocchi di ghiaccio.

A bordo tutti sono pronti con la macchina fotografica, e alcuni ne hanno più di una. Un’équipe televisiva effettua delle riprese e intervista persone venute dal Galles, dall’America del Nord e dalla Francia per fare questo speciale viaggio di un giorno. Una signora disegna rapidamente tutto quello che vede. Ci hanno portato continuamente da mangiare e da bere e, purtroppo, alcuni hanno bevuto troppo e perdono gran parte del bel panorama.

Scendendo a bassa quota sopra la base Scott riusciamo a distinguere chiaramente edifici e veicoli. Presto scorgiamo sotto di noi la base aerea Outer William Field: quattro aerei allineati, un’immagine in bianco e nero, immobile e silenziosa.

Vediamo l’ombra del nostro aereo che danza sul ghiaccio come un veloce pattinatore. Impieghiamo pochi minuti a sorvolare zone per attraversare le quali, al principio del secolo, alcuni uomini impiegarono giorni e settimane. Scott, il famoso esploratore inglese dell’Antartide, non ci crederebbe. Oggi la stazione statunitense McMurdo arriva ad avere una popolazione di ben 1.000 persone d’estate, e la Nuova Zelanda è a poche ore di distanza.

A bordo c’è un esploratore che poco tempo fa è stato laggiù sul ghiaccio. Conosce molto bene questi luoghi e ci tiene continuamente informati sui punti interessanti. Con nostro stupore, in questo paese di freddo perenne, vediamo un vulcano attivo, il monte Erebus. Passando accanto al monte, che supera i 4.000 metri, notiamo che il calore ha fatto sciogliere la neve e il ghiaccio in cima, e che esso è sormontato da un pennacchio bianco, la prova che è tuttora attivo. Fu un altro esploratore polare inglese del XIX secolo, Ross, a dare a questo monte il nome della sua nave e a raccontare che ‘emetteva fumo e fiamme in gran quantità’.

Dopo non molto è tempo di tornare indietro per ripassare un’ultima volta sopra la base Scott e la stazione McMurdo e quindi risalire a 10.000 metri di quota per il volo di ritorno.

Riflessioni

Chiudo gli occhi e rifletto sulle meraviglie che ho visto, lodando silenziosamente il Creatore di tutto ciò.

Ricompare la Nuova Zelanda, e dopo uno scalo di un’ora a Christchurch per far rifornimento e cambiare equipaggio, ripartiamo in direzione di Auckland. Alle dieci di sera atterriamo all’aeroporto internazionale di Auckland, stanchi, felici e convinti che non dimenticheremo mai questa esperienza.

È passata una settimana e i ricordi sono ancora freschi nella mia mente quando sento squillare con insistenza il telefono. Il volo dell’Air New Zealand nell’Antartide è dato per disperso. Molti miei amici, sapendo che avevo intenzione di visitare l’Antartide, sono preoccupatissimi temendo che fossi sull’aereo che non ha fatto ritorno.

Ulteriori notizie confermano quello che tutti temevano: l’aereo si è schiantato contro il monte Erebus, e le 257 persone a bordo sono morte tutte. Mi sento strano per giorni. Non posso neppure guardare le mie belle foto. Le notizie della radio e della televisione descrivono le difficoltà incontrate dalle squadre di soccorso a causa del tempo che cambiava di continuo e del terreno accidentato su cui dovevano operare mentre trasportavano via in aereo cadaveri e parti del velivolo rimaste intatte. Sono molto addolorato per coloro che avevano persone care a bordo, come l’uomo seduto accanto a me durante il mio volo nell’Antartide. Suo figlio aveva preferito il volo della settimana dopo, perché avevano pensato che facendo voli separati almeno uno avrebbe potuto trovare il tempo ideale per le fotografie.

Il viaggio al Polo Sud ha prodotto in me una profonda impressione: molta gratitudine per la sapienza e il senso estetico del Creatore, insieme alla viva consapevolezza che la vita è incerta, che ‘il tempo e l’avvenimento imprevisto capitano a tutti noi’. (Eccl. 9:11) — Da un collaboratore.

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