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g82 22/6 pp. 7-11

L’invasione dei robot

I “colletti d’acciaio” minacciano il vostro impiego?

IN UN oscuro magazzino un ladruncolo dall’aspetto sinistro avanza a tentoni in mezzo a file di scatole e casse. Le luci dei lampioni gettano ombre minacciose sui muri e sul soffitto. Il ladruncolo vede la propria sagoma sul muro. Quella forma grottesca e curva è un silenzioso rammemoratore delle sue cattive intenzioni. All’improvviso si rende conto che una seconda ombra si muove furtivamente dietro di lui. Qualcuno lo segue. L’uomo allunga il passo. Così fa l’ombra che lo segue. Comincia a correre. Ora due ombre corrono. Va a sbattere contro un muro e cade a terra inerme. L’ombra che lo seguiva non è più una semplice sagoma. Gli sta minacciosamente sopra. Il ladro mancato, il volto contratto dallo spavento, non riesce a credere ai suoi occhi. Un uomo meccanico a grandezza naturale lo guarda freddamente. È stato preso da un robot!

In una fabbrica inglese di dolciumi un operaio stanco e affaticato guarda l’orologio. Il corpo dolorante gli dice che la sua giornata lavorativa dovrebbe essere finita. L’orologio dice che deve lavorare ancora per quattro ore. Ride fra sé ricordando che per anni i comici del cinema hanno usato questa stessa trovata per far ridere gli spettatori: prender su cioccolatini da un nastro trasportatore e metterli in scatola al ritmo di due al secondo, mentre il nastro gira ininterrottamente senza mai fermarsi. L’operaio prova sentimenti contrastanti. Fra breve un nuovo dipendente comincerà a fare il suo lavoro snervante. “È superveloce”, dice il principale parlando di colui che lo sostituirà. “Non si stancherà e non si lamenterà mai”, dice con vanto il capo del personale. Fate largo al “colletto d’acciaio”! È un altro robot.

Da qualche tempo i “colletti d’acciaio” fanno concorrenza ai “colletti blu” nell’industria dei cosmetici in un lavoro pressoché uguale: prender su vasetti di lozione per le mani e metterli in scatola quando escono dalla catena di montaggio. La loro estrema agilità regge il paragone con quella delle loro controparti umane anche nel collaudare minuscoli termometri, un processo che richiede di eliminare microscopiche bolle di gas dai fragili cilindri di vetro.

Con un rapido cambiamento, anche il fabbro tradizionale, col suo grembiule, passa in secondo piano davanti al robot in tuta d’acciaio. Mantenendo le debite distanze da forni superriscaldati, a temperature che possono raggiungere i 930°C, questi uomini meccanici prendono pezzi incandescenti di metallo e li depositano con attenzione in macchine che ne faranno delle pale di turbine, mentre gli uomini, di cui hanno preso il posto, osservano con sollievo e meraviglia.

I robot hanno invaso l’industria automobilistica e aeronautica, svolgendo difficili compiti che, di nuovo, lasciano i loro compagni di lavoro umani a scuotere la testa increduli. Hanno fatto concorrenza ai migliori saldatori e carrozzieri nell’industria dell’automobile. Sono andati su altri pianeti dove hanno scavato nel suolo. Fra breve saranno mandati sott’acqua a ispezionare il fondo delle navi e le palificazioni di sostegno dei moli. Tra quindici anni, dicono gli esperti, ogni pezzo di carbone che verrà sottratto alla terra sarà stato estratto da robot.

Si stanno già facendo grandi progetti per impiegare i robot nei lavori più svariati, dal più basso al più alto, così alto che saranno nuovamente lanciati nello spazio su un razzo. Secondo notizie pubblicate, se tutto andrà bene nei voli della navetta spaziale (shuttle), verso il 1986 i dirigenti della NASA intendono lanciare nello spazio un robot a bordo della navetta. Il robot verrebbe collaudato in operazioni semplici; dopo di che potrebbe svolgere lavori più complessi, come riparare satelliti già in orbita e costruire stazioni spaziali. L’invasione dei robot è iniziata!

Fino a che punto siamo invasi da questi uomini meccanici? Secondo alcune notizie, la popolazione mondiale dei robot si aggira sulle 17.500 unità. Secondo altre notizie sarebbero ben 20.000, col Giappone in testa nella produzione e nell’utilizzazione dei robot; a notevole distanza verrebbero poi gli Stati Uniti, quindi Repubblica Federale di Germania, Svezia, Polonia, Gran Bretagna, Norvegia, Finlandia, Danimarca e Paesi Bassi. Queste cifre però cambiano quasi quotidianamente. Solo negli Stati Uniti la produzione dei robot è aumentata al ritmo del 35 per cento all’anno. Una società sostiene con vanto che dalla sua catena di montaggio escono circa 55 robot al mese, e che li vende con la stessa rapidità con cui riesce a produrli. Altre grandi società, vista la richiesta di questi “colletti d’acciaio” nell’industria, hanno deciso di fare la stessa cosa e si stanno attrezzando per la produzione di robot.

Il Giappone, ad esempio, nel gennaio del 1981 ha aperto una fabbrica che può produrre 350 robot al mese. A ciò si aggiunga il fatto che in Giappone i robot costruiscono altri robot ventiquattr’ore su ventiquattro. Fino a poco tempo fa la Gran Bretagna aveva mostrato poco interesse per questi uomini meccanici. Oggi però la situazione è cambiata. Le ditte produttrici di robot sono state sommerse di richieste da proprietari e dirigenti di fabbriche, e la percentuale dei robot che entrano nella forza lavorativa in Gran Bretagna sta aumentando.

Il Robot Institute d’America, un gruppo commerciale di Dearborn, nel Michigan, conferma l’invasione degli uomini meccanici predicendo che negli Stati Uniti i proventi delle vendite dei robot aumenteranno vertiginosamente, da 70 milioni di dollari nel 1980 a 225 milioni di dollari nel 1985.

Per capire meglio questa improvvisa invasione di robot nella forza lavorativa dell’industria bisogna capire la differenza che c’è fra macchine automatiche, usate nell’industria da generazioni, e macchine chiamate robot. Il Robot Institute d’America è forse quello che dà la migliore definizione di ciò che rende tale un robot: “Un automa riprogrammabile e con molte funzioni costruito per spostare materiali, parti, utensili o dispositivi speciali mediante movimenti variamente programmati per l’esecuzione di vari compiti”.

Una macchina automatica semplice è in grado di fare una cosa sola. Per esempio, se siete abbonati a questa rivista, allora probabilmente la rivista che leggete è stata singolarmente piegata e avvolta da una macchina costruita appositamente a questo scopo. Questa è la sua unica funzione. Non può svolgere nessun’altra operazione. Un robot, d’altra parte, può essere programmato per fare molte cose. Può pulire finestre, friggere un uovo, verniciare o saldare, e avvolgere questa rivista. Qui sta il vero valore di un robot per il mondo dell’industria.

I suoi stessi movimenti sono elastici e possono essere descritti in termini umani: rotazione della vita, della spalla, del gomito, del polso e piegamento del braccio e del polso. I robot sono in grado di ripetere quasi tutti i movimenti del braccio e del polso umano, anche di girare lo zucchero in una tazzina di caffè. Con grande diletto dei loro datori di lavoro, tutti i loro movimenti sono interamente programmabili: per fare un lavoro ripetutamente o per fermarsi e fare un’altra cosa. Sono costruiti per lavorare insieme all’uomo, al suo ritmo per non contrastare le operazioni in corso. Potrebbe trattarsi del servitore definitivo dell’uomo?

Ma questo non è tutto! I vantaggi che il robot offre sono molti di più. Il robot può imparare facilmente anche le operazioni più complicate. Notate quanto è facile, secondo la descrizione del manuale di un fabbricante di robot:

“Per mezzo di un comando manuale si insegna al robot il suo lavoro conducendolo letteralmente per mano nello svolgimento del lavoro assegnatogli. Le velocità di esecuzione del lavoro sono indipendenti dalle velocità di insegnamento per cui operazioni insegnate lentamente possono essere eseguite con cura ad alte velocità. Questo metodo di insegnamento assicura una rapida messa a punto, un rapido passaggio a nuovi lavori e rapide modifiche del programma. Nella memoria possono essere immagazzinati molti programmi da utilizzare secondo il bisogno. Possono essere insegnate procedure secondarie per facilitare lavori complessi e parti di programmi possono essere modificate senza interrompere la produzione. I programmi possono essere immagazzinati su nastro magnetico per uso futuro. La capacità della memoria può essere ampliata per lavori più complessi”.

Un tempo pensavate che come lavoratori eravate molto necessari? Vi sentite improvvisamente minacciati? Se lavorate in fabbrica, quanto tempo della giornata lavorativa dedicate effettivamente al lavoro? Avete la tendenza a lamentarvi? Vi assentate per “malattia” più dei vostri compagni di lavoro? Fate attenzione. Potreste essere sostituiti da un robot. Forse il vostro datore di lavoro sta già studiando gli aspetti positivi dell’assunzione di un robot. Non si stancano mai del loro lavoro. Possono lavorare tutto il giorno e tutta la notte. Non si lamentano mai, non chiedono mai l’aumento, non si assentano mai per malattia, cominciano sempre in orario, non fanno mai vacanze, non c’è mai bisogno che il principale li richiami perché vanno spesso a bere e non fanno intervalli. Pensate: se i robot avanzano, c’è un buon motivo.

La General Motors ha circa 400 robot nei suoi stabilimenti. Essi vengono utilizzati soprattutto per saldare, verniciare e spruzzare, maneggiare parti e per la pressofusione. Uno dei robot più nuovi viene utilizzato per l’ispezione della carrozzeria delle automobili. Provvisti di telecamere, i robot hanno una facoltà “visiva” che gli uomini non possono uguagliare. Sebbene ora ne abbia solo 400, la General Motors prevede che ne avrà installato 5.000 per il 1985. Secondo notizie pubblicate, tale società intende installarne più di 14.000 entro il 1990. Una parola ai saggi: Questi robot vengono a costare 5,50 dollari circa (6.600 lire) all’ora. Ciò include il prezzo di acquisto e la manutenzione. Paragonate questa somma con i 18,10 dollari (21.700 lire) all’ora che viene a costare in salario e indennità l’operaio di un’industria automobilistica, e non occorre spiegare perché i robot rappresentano un’attrazione.

Bisogna considerare che quando i robot entrano nella forza lavorativa sostituiscono l’uomo. Per esempio, quando una ditta produttrice di articoli elettrici del Giappone ha cominciato a usare un robot computerizzato per produrre parti di aspirapolvere, si è scoperto che un robot e quattro persone potevano fare il lavoro compiuto in precedenza da 120 operai. Utilizzando i robot, la forza lavorativa necessaria per montare i televisori in Giappone è meno di metà di quella richiesta dalla maggioranza dei fabbricanti negli Stati Uniti. Negli stabilimenti della Volkswagen a Wolfsburg, nella Repubblica Federale di Germania, quattro robot “assunti” come saldatori hanno preso il posto di 22 uomini. Gli studi condotti lì sull’impiego dei robot nella forza lavorativa indicano che per ogni lavoro svolto da un robot, vengono eliminati da cinque a sette posti di lavoro.

I fautori dell’utilizzazione dei robot nell’industria sostengono che i lavoratori dovrebbero essere contenti che vengano impiegati “colletti d’acciaio” nei loro stabilimenti, specie per quei compiti che richiedono di maneggiare materiali pericolosi o quei lavori servili che i lavoratori considerano noiosi. In un primo momento questo argomento può suonare gradevole. Ma suscita dei dubbi se si pensa che è il datore di lavoro e non il lavoratore a determinare quali sono i lavori noiosi o pericolosi.

I dirigenti delle industrie che impiegano già o intendono impiegare robot fanno un altro ragionamento, cioè che i “colletti blu” sostituiti dai robot saranno semplicemente trasferiti nella categoria degli impiegati. Anche questo argomento suona bene quando viene dalla bocca dei dirigenti. Ma quanti “colletti blu” rimasti senza lavoro saranno in grado di assolvere mansioni impiegatizie nei posti che si creeranno?

Mentre impiegando robot nella forza lavorativa si può accrescere la produttività e migliorare la qualità del lavoro, nello stesso tempo nascono problemi per i lavoratori rimasti senza impiego. Parlando sul soggetto dell’automazione, Robert T. Lund, vicedirettore di una sezione del Massachusetts Institute of Technology (Center for Policy Alternatives), ha detto che ci sarebbero “problemi per chiunque fosse toccato dalle nuove tecnologie nelle fabbriche e negli uffici”. Quindi ha aggiunto: “I lavoratori dovranno essere trasferiti, imparare nuovi mestieri, cambiare lavoro: tutte cose che causano difficoltà”. Chi avrà le difficoltà maggiori? L’operaio giovane può accettare il trasferimento e il fatto di imparare nuovi mestieri e cambiare lavoro con uno spirito di avventura. Ma che dire dei lavoratori di mezz’età e di quelli che hanno passato la mezza età? Saranno contenti del trasferimento e del cambiamento?

Al presente il maggior numero di robot è utilizzato nell’industria automobilistica. General Motors, Ford e Chrysler hanno tutte “assunto” robot. Anche in molti paesi europei vengono utilizzati robot nella fabbricazione di automobili. La rivista Business Week del 3 agosto 1981 commenta uno studio effettuato dalla Carnegie-Mellon University sull’impatto dei robot. Lo studio termina dicendo “che i robot, oltre a quelli costruiti con rozze abilità sensoriali, potrebbero occupare circa 7 milioni degli attuali posti di lavoro nelle fabbriche, almeno il 45% dei quali sono coperti da contratti sindacali”. La summenzionata rivista aggiunge: “La United Auto Workers, uno dei pochi sindacati che cerca di prevedere l’automazione, si aspetta che il numero di iscritti dell’industria automobilistica scenda da un milione a 800.000 fra il 1978 e il 1990, anche ammettendo un aumento annuo dell’1,8% nelle vendite nazionali di automobili”.

In Europa, dove si fabbricano le Volkswagen e le Fiat, aumentano i timori che con l’invasione dei robot nelle loro fabbriche, cresca il numero dei lavoratori disoccupati. La Fiat ha già deciso di eliminare 7.500 posti di lavoro. I lavoratori della Volkswagen, che accolsero con gioia l’introduzione dei “colletti d’acciaio” per svolgere i lavori più sgradevoli, stanno ora cambiando idea. Vedono che si stanno costruendo robot con un più alto quoziente di intelligenza, dotati della capacità di “vedere” e “sentire” e quindi di sostituire l’operaio costringendolo a fare lavori più umili: integrazione alla rovescia.

Quasi settimanalmente, in qualche mezzo di divulgazione delle notizie sono discussi i pro e i contro dei robot. Alcuni sostengono che la soluzione sia una settimana lavorativa di quattro giorni. Altri affermano che, con un tasso di inflazione sempre più alto, i lavoratori vogliono uno straordinario meglio pagato anziché meno ore di lavoro. Ma quali che siano i pro e i contro, il robot se ne sta fermamente piantato in mezzo. Per quanto innocente sia, è qualcuno di cui bisogna tener conto. Una cosa è certa: Non si può più dire che stanno arrivando i robot: sono già qui!

[Testo in evidenza a pagina 9]

I robot sono andati su altri pianeti dove hanno scavato nel suolo. Fra breve saranno mandati sott’acqua a ispezionare il fondo delle navi

[Testo in evidenza a pagina 10]

In Giappone i robot costruiscono altri robot ventiquattr’ore su ventiquattro

[Testo in evidenza a pagina 10]

Non si lamentano mai, non chiedono mai l’aumento, non si assentano mai per malattia, cominciano sempre in orario e non fanno intervalli

[Testo in evidenza a pagina 11]

Questi robot vengono a costare 5,50 dollari all’ora. Paragonate questa somma con i 18,10 dollari all’ora che viene a costare in salario e indennità l’operaio di un’industria automobilistica

[Testo in evidenza a pagina 11]

Un robot e quattro persone potrebbero fare ora il lavoro compiuto in precedenza da 120 operai

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