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Svegliatevi! 1982
g82 8/8 pp. 25-27

“Se solo avessi tenuto un diario!”

QUANTE volte mi sono ripetuta queste parole nei quattordici anni che sono stata missionaria in Perú!

Ricordo bene il primo anno che trascorsi qui: un topo nella tazza del gabinetto, uno scorpione nella vasca da bagno, pulci nel letto. Felicemente quasi tutti gli animali conoscevano il loro posto, e in breve tempo ci adattammo a quella che è stata una vita molto interessante.

IMPARARE UNA LINGUA. Ricordo che, udendo i bambini pronunciare erroneamente i verbi irregolari spagnoli, pensavo, con intima soddisfazione: “Be’, dopo tutto non sbagliamo solo noi!”

QUANDO LA TERRA TREMA. Il terremoto fu una nuova esperienza per me. Quello che ricordo più vivamente avvenne nel 1974. La mia compagna e io eravamo in una vecchia casa di adobe, in fondo a uno stretto corridoio. Quando cominciò il terremoto ci rifugiammo in tre nel vano della porta. Era largo poco più di settanta centimetri, ma, purtroppo, la padrona di casa era larga altrettanto. Dato che riempiva il vano della porta, noi potemmo solo infilare la testa sotto il telaio della porta. Fummo liete che nulla ci fosse caduto addosso.

ASPETTO PERSONALE. Fui colpita dall’importanza che i latini danno al proprio aspetto in pubblico: niente bigodini o calzoncini corti. Naturalmente, essere ben vestiti costa; non tutti se lo possono permettere. Non dimenticherò mai quell’uomo di mezz’età che vidi un giorno sull’autobus. Continuavo a pensare fra me: ‘C’è qualcosa di strano nei capelli di quell’uomo’. Evidentemente non c’era nulla di strano per lui, perché aveva un’espressione molto compiaciuta. Infine il movimento dei passeggeri mi spostò dalla sua parte e mi trovai gomito a gomito con lui; potei così vedere che i suoi strani capelli erano in realtà lucido da scarpe nero cosparso su tutta la sua testa calva!

GLI ANIMALI. Chi non ama gli animali? Dato che molti peruviani vengono dalle campagne, si può trovare una gabbia di conigli, una stia di polli o una gabbia di porcellini d’India su quasi ogni tetto o nel cortile sul retro delle case di città. Un giorno mentre conversavo con una donna corpulenta in una piccola drogheria dissi che sentivo pigolare dei pulcini senza vederli. Dove li teneva? Con molto orgoglio infilò la mano nel suo ampio petto e tirò fuori due pulcini. Mi spiegò che li teneva al caldo.

GUSTARE NUOVI CIBI. È importante conoscere le nuove usanze, i cibi e le abitudini e farsi pochi problemi. Qualcuno gradisce ricci di mare crudi? O forse brodo di denti di pecora, oppure testicoli di montone con cipolle e limone. In effetti però la maggior parte dei cibi non sono così strani. Anzi il Perú si distingue fra tutti i paesi dell’America Latina per la gustosità e la varietà dei suoi piatti. Un piatto popolare si chiama ocopa: patate lesse con una salsa a base di noci tostate e macinate, peperoni piccanti, formaggio fresco e spezie. Che squisitezza!

Alcuni nordamericani vengono nell’America Latina e cominciano a desiderare le susine, le albicocche, i lamponi, le ciliege e altri prodotti dei climi temperati. Ma una volta tornati nel paese di origine ricordano con lo stesso desiderio l’ananas dolce e fresco, le papaie rosa e arancioni, i succosi manghi, i burrosi avocado e una gran varietà di ortaggi freschi per tutto l’arco dell’anno. Non c’è bisogno di fare conserve e surgelare qui!

BALLI PER TUTTI I GUSTI. I peruviani amano ballare. Mi chiedo quasi se uno dei loro numerosi geni non si chiami ritmo. Dal momento in cui i bambini cominciano a sgambettare viene fuori il loro senso musicale, e non rallentano neppure col passar degli anni. A qualsiasi riunione familiare i vecchi se la spassano come i giovani. E in quanto a balli, ce n’è per tutti i gusti: il veloce passo doppio, l’amabile valzer peruviano, la salsa o cumbia, o l’huayno, che consiste nel pestare i piedi, o la musica montanara. E sono felici di vedere che avete imparato qualcosa della loro musica, sia ballo o canto.

Una volta ero andata a trovare un’umile famiglia nella loro casetta di campagna e dopo lo studio biblico vollero assolutamente che ballassi l’huayno, con l’accompagnamento del loro giradischi portatile. Ma si doveva fare tutto in grande stile. Così tirarono fuori una lunga gonna indiana, una mantellina e un largo cappello. Non soddisfatti del mio aspetto, infilarono due trecce nere di crini di cavallo sotto l’orlo del mio cappello e poi io cominciai a ballare e a battere i piedi. Suscitai risa irrefrenabili; risero e risero fino a non poterne più e dovettero mettersi a sedere. Quando li avevo conosciuti erano così timidi, e fui felice di notare che il seguire le loro usanze ci aveva avvicinati. Quanto più allorché un buon numero di componenti di questa famiglia divennero testimoni di Geova battezzati!

UNA LEZIONE DAI POVERI. Dopo essere vissuta in un paese dove tutti comprano le cose in gran quantità, fu una bella sorpresa notare come fanno acquisti coloro che sono poverissimi e apprezzai la loro parsimonia. Comprano sei forcine alla volta, cento grammi di farina o di sale o di caffè, un uovo, un bicchiere d’olio. Sacchetti di carta e vecchi giornali non vengono gettati via; saranno riutilizzati mille volte prima di consumarsi. Avere una bicicletta o un triciclo, pattinare, prendere lezioni di musica o di nuoto, prendere un libro dalla biblioteca: questi sono piccoli piaceri che milioni di bambini non si potranno mai permettere.

Quanti bambini non vanno a scuola perché i loro genitori non possono permettersi di mandarceli, o ci vanno a stomaco vuoto, per cui imparare diventa molto difficile! Altri devono imparare stando in piedi perché non ci sono banchi sufficienti per tutti. Ricordo una famiglia in cui la figlia metteva le scarpe nere di cuoio per andare a scuola la mattina, cedendole poi al fratello che ci andava di pomeriggio. Naturalmente alcuni non hanno neppure le scarpe.

Alla gente non interessa avere gli ultimi modelli; sono felici anche solo di possedere qualcosa che ha valore per loro, e la riparano ingegnosamente e all’infinito. Quando ero bambina prendevo tante cose per scontate!

VIAGGI EMOZIONANTI. Viaggiare era a volte una paurosa avventura. Il nostro viaggio più memorabile risale a nove anni fa. Cominciò alle cinque del pomeriggio. Quando l’autobus fu pieno, andammo a far benzina. (Questa fermata consentiva anche ai ritardatari di raggiungere l’autobus prima che lasciasse la città). Mentre uscivamo di città il conducente si fermava ogni tanto per far salire altri passeggeri, che si sedevano nel passaggio di mezzo. La donna che si lasciò cadere su uno sgabello di legno accanto a me era pazza; veniva accompagnata al suo villaggio da un poliziotto. Fu un viaggio snervante con una compagna simile. Due ore più tardi fu fatta scendere dall’autobus e arrivammo al posto di controllo della polizia. Qui tutto il traffico diretto a sud aspetta fino a mezzanotte che arrivi il traffico diretto a nord. La strada è così stretta che il traffico nei due sensi non è possibile.

A mezzanotte ripartimmo, su per tortuose strade andine, ma poco dopo raggiungemmo un autocarro diretto a nord che arrancava lentamente. I due veicoli tentarono di prendere una curva nello stesso tempo. L’autocarro strisciò contro il nostro autobus e cominciammo a pendere oltre il ciglio della strada, sopra il precipizio. Laggiù in fondo, nell’oscurità, si udiva il ruggito del fiume Mantaro. Il secondo conducente scese e assicurò all’uomo al volante che il ciglio della strada avrebbe retto il peso dell’autobus. Alcuni passeggeri imploravano di poter scendere, ma il conducente disse a tutti di stare seduti. Evidentemente voleva servissimo da zavorra. In qualche modo entrambi i veicoli riuscirono a superare la curva, e riprendemmo il viaggio.

Un paio d’ore più tardi raggiungemmo una fila di autobus e di macchine bloccati da una frana. Ci mettemmo in fila dietro di loro per la lunga attesa: sei ore per l’esattezza. Quando l’ostacolo fu infine tolto di mezzo, ogni conducente tentò di riguadagnare il tempo perduto per essere il primo ad arrivare sull’autostrada, quindi seguirono alcune altre ore di frenetica guida e frenate. Huancayo, dove abitavamo, dista solo 350 chilometri da Ayacucho, la nostra destinazione, ma impiegammo 16 ore.

Fu un tale sollievo arrivare incolumi che non ci sognavamo certo che il ritorno sarebbe stato anche peggiore. Ma vi risparmierò quell’avventura.

Sì, ho vivi ricordi della vita sui monti: l’odore degli alberi di eucalipto nella frizzante aria di montagna, gli affettuosi piccoli dell’alpaca, le indimenticabili melodie indiane, le pendici coltivate dai riflessi marroni e verdi e le vette dorate dei monti. Tutto questo inframmezzato da disordini nelle strade, coprifuochi e sparatorie nella notte, malattie tropicali, buffi errori di spagnolo, amici carissimi e tristi addii, e, soprattutto, tantissime benedizioni da Geova mentre facevamo conoscere ad altri la buona notizia del suo Regno, ciò che ha avuto l’effetto di rafforzare la nostra fede. Questi ricordi vanno e vengono nella mia mente come l’incessante marea. Ma altri avvenimenti e impressioni sono scomparsi nei recessi della mia mente. Per questo dico, un po’ tristemente: “Se solo avessi tenuto un diario!” — Da una collaboratrice.

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