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  • g84 22/5 pp. 12-15
  • “Senza il sangue morirà!”

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  • “Senza il sangue morirà!”
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Svegliatevi! 1984
g84 22/5 pp. 12-15

“Senza il sangue morirà!”

MI STAVO alzando per preparare il pranzo quando sentii qualcosa scoppiare nella parte inferiore destra dell’addome. Mi piegai per il dolore, ma pensai fosse uno dei tanti crampi che vengono a gravidanza inoltrata.

Il dolore però si fece più acuto. Avevo un gran mal di pancia e mi era difficile camminare; era successo qualcosa di molto grave. Una donna che abitava accanto a noi ad Arlington (Texas, USA) — una cara amica che ci è stata accanto durante tutta questa dura prova — mi portò d’urgenza all’ospedale.

“No!” protestai, quando il personale medico avanzò l’ipotesi che probabilmente avevo solo le doglie. Avevo già avuto due bambini e sapevo cos’erano le doglie, ma queste non erano doglie. Così mi fecero gli esami.

Quando arrivò mio marito, Mike, soffrivo atrocemente. Gemevo e piangevo non solo a causa del dolore ma anche perché nessuno sembrava credere che avevo qualcosa di veramente grave. Mike, però, mi diede un’occhiata, si girò e chiese alla caposala di far venire subito un medico, uno qualsiasi. Quando il medico che aveva risposto alla chiamata arrivò non era solo. Era accompagnato da un ostetrico, dal mio medico personale e da un pediatra.

L’ostetrico mi posò delicatamente una mano sull’addome. Urlai. Il suo leggero tocco era stato come una coltellata. “Mio Dio!” esclamò. “Ha come minimo un litro di sangue nell’addome in questo momento. Si tratta probabilmente di abruptio placentae [distacco prematuro della placenta dall’utero]. Dobbiamo fare immediatamente il taglio cesareo”.

Mi girai di scatto verso mio marito e automaticamente sbottai: “Oh, Mike, niente sangue!”

Messi alla prova

Mike prese i tre medici da parte e, con la maggior calma possibile, spiegò in breve che eravamo testimoni di Geova e come la pensavamo riguardo alle trasfusioni di sangue.

“Il libro biblico di Atti comanda ai cristiani di astenersi dal sangue”, disse. “Questo significa astenersi dal sangue in qualsiasi forma. Mia moglie non accetterà sangue in nessuna circostanza”. — Atti 15:20, 29.

Secondo i medici il conteggio dei miei globuli risultava pericolosamente basso. Al momento del mio ricovero il valore dell’emoglobina era 10 e l’ematocrito 30. Ora essi erano sicuri che i valori erano scesi. (I valori normali dell’emoglobina oscillano da 12 a 16; l’ematocrito, da 34 a 50).

Mi venne allora rivolta quella che poteva essere una sincera supplica, ma che per me era una tattica per spaventarmi. “Lo sa che senza il sangue morirà?” mi chiese un medico.

“Sì”, risposi. “Ma non posso andare contro la legge di Dio e contro la mia coscienza”.

Abbastanza stranamente, mi fu facile dire: “Sì, so che potrei morire”. Una certa calma si impossessò di me perché sapevo che nella tomba i morti sono in pace e che morire è come addormentarsi. I morti “non sono consci di nulla’’, avevo appreso dalla Bibbia. — Ecclesiaste 9:5, 10.

L’unica cosa che mi rattristava era il pensiero di lasciare mio marito e i miei figli. Provavo compassione per Mike. ‘Come farà a prendersi cura di (possibilmente) tre bambini?’ mi chiedevo. Mi chiedevo come le mie figlie avrebbero preso la mia morte. Io avevo la parte più facile. O mi sarei svegliata lì all’ospedale o nel nuovo ordine di Dio per mezzo della risurrezione. La parte più difficile l’avrebbe avuta la mia famiglia.

Firmai un documento legale che esonerava l’ospedale e i medici da qualsiasi responsabilità derivante dall’operarmi senza far uso di sangue, e un quarto d’ora dopo fui trasportata in sala operatoria dove mi fecero il taglio cesareo. Alle 18,01 nacque Megan. Pesava due chili e quattrocento grammi e fu messa nell’incubatrice.

Il medico uscì quindi dalla sala operatoria e disse a Mike che ero in uno stato di profondo shock. Non sapevano qual era la causa dell’emorragia e, se non la scoprivano subito, sarei morta dissanguata sul tavolo operatorio.

“Mi spiace”, cominciò Mike. “Le abbiamo già detto che non vogliamo sangue neppure se Sherry dovesse morire. Se approvassi andrei non solo contro ciò che credo ma andrei anche contro la coscienza di mia moglie. Questo non potrei sopportarlo. Non è una decisione presa sull’impulso del momento. L’abbiamo presa molto tempo fa in base ai principi biblici. Potete usare altre cose, come gli espansori del volume plasmatico”.

Anche se non era d’accordo sulla nostra decisione, promise a mio marito che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarmi senza ricorrere al sangue.

Nei momenti critici il pensiero può essere annebbiato. Se si rimanda una simile decisione fin quando ci si trova effettivamente davanti al problema è facile scendere a compromessi sotto le pressioni dei medici o del personale ospedaliero. Sono lieta che mio marito ed io avessimo compreso l’importanza di prendere in anticipo la decisione di rimanere fermi in caso di emergenza.

Il medico tornò in sala operatoria e scoprì la causa dell’emorragia: una vena rotta nell’utero, evidentemente indebolita dalle mie precedenti gravidanze. Ci vollero 20 punti per suturarla. Anche se avevo perso più di metà del sangue, la massa liquida circolante venne mantenuta alta con il lattato di Ringer, una soluzione non a base di sangue.

“Ora il problema maggiore è quello dell’infezione”, disse il medico a mio marito. Egli spiegò che un’infezione mi avrebbe uccisa perché avevo troppo poco sangue per combattere una malattia. Venne di nuovo raccomandata la trasfusione di sangue.

“Vuol dire che garantisce che mia moglie non prenderà un’infezione come l’epatite o qualcos’altro se le dà il sangue?” chiese Mike.

“No”, rispose il medico.

Mike concluse che ci sarebbero stati meno rischi di infezione se non avessi preso il sangue. Il medico acconsentì a rispettare la decisione di mio marito.

“Megan è viva!”

Erano passati due giorni e io non avevo ancora visto la mia bambina. Mi avevano detto che nostra figlia era viva anche se era molto malata, ma nel mio profondo intimo sentivo che era morta. Quando arrivò da Houston mio zio con una macchina fotografica Polaroid, Mike ebbe un’idea. ‘Se solo Sherry avesse la prova che Megan è viva’, pensò, ‘questo l’aiuterebbe a riprendersi’. Così chiese in prestito a mio zio la macchina fotografica e convinse l’infermiera della nursery a fare una fotografia a Megan. “È proprio viva!” esclamai, felicissima di vedere per la prima volta la mia piccola Megan, anche se solo in fotografia. Dovevo vivere, poiché non solo il resto della mia famiglia ma anche quella piccola aveva bisogno di me.

Le infermiere e i medici erano bravissimi. La caposala della nursery dov’erano le incubatrici mi riferiva i progressi di Megan due volte al giorno, anche se potevano sembrare insignificanti.

Il quarto giorno mi sentii meglio. I valori del sangue si stavano stabilizzando. Per la prima volta da che questa dura prova era cominciata avevamo motivo di rallegrarci. Tuttavia Mike appariva esausto. Aveva passato gli ultimi due giorni e due notti al mio fianco. Ora poteva andare a casa a riposare.

Il quinto giorno stavo abbastanza bene e tutti i tubi che mi avevano messo il secondo giorno furono tolti. Che gioia quando mi dissero che potevo andare alla nursery! Per la prima volta potei prendere in braccio Megan e allattarla. Eccola lì, nuda e così piccina. Malgrado tutte le avversità che avevamo dovuto superare eravamo finalmente insieme: che momento commovente! Ero così felice che mi misi a piangere e anche l’infermiera.

Una ricaduta

Quella sera, mentre Mike ed io stavamo parlando, ricominciai a sentirmi male. ‘Oh, no! Non è possibile’, pensai. ‘Forse se vado al bagno mi sentirò meglio’. Invece cominciai a vomitare in modo violento. Mike mi aiutò a tornare a letto e suonò il campanello per chiamare l’infermiera.

Avevo di nuovo la pancia piena di sangue. Mentre il medico ordinava di rimettermi tutti quei tubi, Mike mi asciugava delicatamente la fronte e mi teneva stretta la mano. All’improvviso tutto tacque. La nostra allegrezza era svanita. Mike scoppiò in singhiozzi.

Avendo avuto una ricaduta mi accorsi che confidavo sempre più in Geova perché desse alla mia famiglia e a me la forza di andare avanti. Spesso mio padre e mio suocero erano così cari da dire una preghiera accanto al mio letto. Oltre ad essere molto gradita, ci rafforzò ulteriormente. Lo stesso dicasi delle telefonate, delle cartoline di auguri e delle preghiere dei fratelli e delle sorelle di fede.

Il nono giorno tutti i tubi vennero tolti di nuovo. Ero fuori di me dalla gioia perché doveva venire Mike e volevo fargli una sorpresa. Così mi feci bella e mi misi a sedere sul letto. Come fu felice di vedermi senza quei tubi! Percorremmo a braccetto il corridoio per andare a vedere la nostra Megan, questa volta nella normale nursery dov’erano tutti gli altri bambini sani.

Un’altra ricaduta

Quella sera, più tardi, ebbi di nuovo quell’orribile sensazione di nausea. ‘Non posso far capire a Mike che mi sento male di nuovo’, dissi fra me. ‘Ecco cosa farò. Lo incoraggerò ad andare a casa presto e a prendersi una buona notte di sonno’. Mi prese in parola. Se n’era appena andato che ricominciai a vomitare.

Tirai il cordone di emergenza. Le infermiere arrivarono di corsa. Mi aiutarono ad andare a letto e chiamarono il medico.

Il dottore entrò nella mia stanza, si piegò sopra di me e disse: “Sherry, spero che non si arrabbi. Le farò rimettere tutti i tubi e domani la farò vedere da uno specialista”. Fui presa improvvisamente da una gran paura e scoppiai in un pianto irrefrenabile. Era la terza volta che mi inserivano quei tubi. Ero stufa delle false speranze, del dolore, degli aghi. Ne avevo abbastanza!

Quando le infermiere se ne furono andate mi avvicinai a Dio in preghiera. ‘Geova era stanco di tutte le mie richieste?’ fu il pensiero che mi attraversò la mente. Mi pareva di approfittare della sua amorevole benignità dato che mi aveva aiutato a sopportare fino a quel momento.

La mattina dopo, quando Mike entrò nella mia stanza, vidi dipingersi sul suo viso la delusione. La sera prima quando se n’era andato stavo così bene e adesso . . . ero molto dispiaciuta per lui. Ci mettemmo a piangere e poi pregammo.

Arrivò lo specialista che confermò i timori dell’altro medico. Avevo un’occlusione parziale dell’intestino tenue. Dato che i valori ematici erano ancora bassi lo specialista avvertì: “Cara signora, per un bel po’ lei non potrà subire un altro intervento chirurgico”.

Mi furono somministrate dosi massive di ferro per rinforzarmi il sangue: due iniezioni di cinque cc ciascuna, iniezioni dolorosissime. Una persona sana avrebbe potuto non tollerare dosi così forti, ma io sì a causa dell’anemia acuta.

Una buona notizia

Era il mio undicesimo giorno di degenza quando le radiografie rivelarono che l’occlusione intestinale si stava rimpicciolendo. E Megan era pronta per essere dimessa. Dovevo guarire in fretta perché Megan aspettava che la portassi a casa.

Nei giorni successivi ebbi altre buone notizie. Tolleravo i liquidi. I valori ematici erano in aumento. Le radiografie rivelarono che la mia parziale occlusione intestinale era sparita. E per la prima volta in tredici giorni vidi attraverso un vetro le mie altre due figlie. Com’erano emozionate! E anch’io lo ero!

Un’altra buona notizia. Dopo diciassette giorni di ospedale, l’indomani sarei tornata a casa!

Il giorno per cui tutti avevamo pregato era giunto. “Invero Dio ha udito; ha prestato attenzione alla voce della mia preghiera”, pensai. (Salmo 66:19) Ringraziai il medico per tutto quello che aveva fatto, per avere rispettato la mia coscienza educata secondo la Bibbia e per non avermi abbandonato. Gli dissi quanto ero grata degli sforzi che aveva fatto per salvarmi la vita. “Lei è una donna fortunata”, disse gentilmente. È ovvio che io ne attribuii il merito a Geova.

Megan fu vestita e mi venne portata, seguita da una fila di infermiere. Ci abbracciammo e ci salutammo. Poi salimmo in macchina e tornammo a casa dove ci riunimmo fra le lacrime alle nostre figlie e ai nostri genitori. Com’era bello essere di nuovo a casa e viva! — Narrato da Sherry Flemming.

[Immagine a pagina 15]

Nostra figlia Megan, che gode di ottima salute

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