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  • g85 8/1 pp. 6-9
  • Gli ideali olimpici sono in pericolo

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  • Gli ideali olimpici sono in pericolo
  • Svegliatevi! 1985
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  • Spirito cavalleresco o nazionalismo?
  • Gloria olimpica per mezzo della droga?
  • Le olimpiadi: “La più grande forza sociale del mondo”?
  • Vincere ad ogni costo: Lo spirito olimpico?
    Svegliatevi! 1989
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    Svegliatevi! 1993
Altro
Svegliatevi! 1985
g85 8/1 pp. 6-9

Gli ideali olimpici sono in pericolo

UNA delle regole delle Olimpiadi è che alle gare possono partecipare solo atleti dilettanti. Fino a poco tempo fa qualsiasi atleta, uomo o donna, che avesse tratto dalle sue capacità sportive un profitto superiore ai 50 dollari era squalificato.

Se questa norma venisse applicata oggi agli atleti, i Giochi dovrebbero essere annullati! Questa definizione di dilettante, ormai superata, è un residuo dei giorni in cui l’atletica era un passatempo delle persone ricche e indipendenti.

Secondo un recente articolo Phil Mahre, medaglia d’oro alle Olimpiadi invernali, avrebbe detto che il dilettantismo “non esiste proprio ai massimi livelli dello sport”. Come sostengono molti atleti, chi può oggi dedicare la maggior parte del suo tempo a cercare di raggiungere livelli olimpionici senza qualche forma di aiuto finanziario? Perciò gli atleti “dilettanti” sono pagati attraverso tortuosi canali che evitano il presunto marchio del professionismo.

Spirito cavalleresco o nazionalismo?

Un altro ideale olimpico è che lo spirito cavalleresco dovrebbe prevalere sul nazionalismo. Si suppone che ai Giochi partecipino non nazioni, ma individui che gareggiano l’uno contro l’altro. Per cui il Comitato Olimpico non notifica il medagliere di nessuna nazione. Però, stampa e televisione colmano subito questa lacuna rendendo note le medaglie ottenute da ciascuna nazione. Di conseguenza i Giochi sono stati politicizzati. La stampa li ha trasformati in una gara fra le nazioni cosiddette capitaliste e comuniste. L’ex olimpionico Harold Connolly disse che per alcuni i Giochi sono diventati un “campo di battaglia ideologico in uno scenario sportivo”.

Lo scrittore James Michener, nel suo libro Sports in America, parla dei “tentativi compiuti in tutti gli Stati Uniti per formare un’alleanza fra sport e nazionalismo. I nostri capi politici hanno spinto lo sport a svolgere tre funzioni inadatte . . . (1) Si chiede allo sport di servire da mezzo propagandistico a favore di specifici partiti politici. (2) Viene usato per appoggiare fini militari. (3) Se ne fa un grave abuso per creare un patriottismo confuso e superficiale”. Il suo commento: “Comincio a sentirmi molto a disagio quando vedo che si chiede allo sport di servire da ancella alla politica, al militarismo e a un appariscente patriottismo”.

Questo scrittore ha notato la stessa tendenza nelle Olimpiadi? “In occasione delle Olimpiadi del 1936, Adolf Hitler fu il primo a sfruttare lo sport come arma del nazionalismo”, scrive. Egli cita anche altri esempi dei Giochi del 1968 e del 1972, aggiungendo: “Critici seri cominciarono ad avvertire che se questo sfrenato nazionalismo fosse continuato si sarebbe dovuto mettere fine alle Olimpiadi”.

Sono nazionalismo e patriottismo alle Olimpiadi solo qualcosa su cui viene richiamata l’attenzione dagli strumenti di informazione? Oppure i partecipanti vi si lasciano veramente coinvolgere? Le recenti Olimpiadi invernali disputate a Sarajevo, in Iugoslavia, illustrano forse il punto. Gli statunitensi Charles (Peter) e Maureen (Kitty) Carruthers (fratello e sorella) vinsero la medaglia d’argento nel pattinaggio su ghiaccio. La loro reazione? Il New York Times riferì: “Il momento in cui fu alzata la bandiera americana”, disse Peter, “è qualcosa che non dimenticherò mai”. “Vidi alzare la bandiera”, disse Kitty, “e appariva così bella”.

Quando lo statunitense Scott Hamilton vinse una medaglia d’oro alle Olimpiadi invernali di Sarajevo, “al termine della sua prestazione prese una bandiera americana dalle mani di uno spettatore della prima fila e la sventolò mentre faceva il giro d’onore sulla pista di pattinaggio”. (The New York Times, 17 febbraio 1984) Sì, tanto gli atleti che gli spettatori trasformano spesso le Olimpiadi in un’esibizione nazionalistica, in cui le bandiere sono il simbolo predominante.

Ma il giornalista sportivo George Vecsey ha detto: “In origine le Olimpiadi avrebbero dovuto essere esenti da nazionalismo, un’occasione in cui gli individui potevano mettere le loro abilità a confronto con quelle dei migliori atleti del mondo”. Tutto questo è cambiato. “L’ulteriore attrattiva dei Giochi olimpici è il nazionalismo”, ha aggiunto.

Naturalmente non tutti gli atleti sono toccati dall’estremo patriottismo. L’americano Phil Mahre, medaglia d’oro nello slalom, avrebbe detto di non avere sciato né per la famiglia né per la patria, “ma per me stesso”. Ed ha aggiunto: “Non ho mai fatto dello sport per vincere alcunché. Il mio scopo era quello di competere, quello di dare il meglio di me stesso. Ho fatto dello sport perché mi piaceva”.

Ad ogni modo la spinta a vincere a qualunque costo è ora arrivata a un punto tale che un’altra insidia minaccia le Olimpiadi: la droga!

Gloria olimpica per mezzo della droga?

Il criterio di voler vincere a tutti i costi ha ora introdotto nelle Olimpiadi la piaga della droga. Si sa da tempo che in molti sport gli atleti ricorrono a droghe come steroidi anabolizzanti per rafforzare i muscoli, al testosterone e ad altre sostanze per migliorare le loro prestazioni. Ma lo scandalo che veramente fece venire a galla il problema si ebbe nell’agosto del 1983 ai Giochi panamericani, quando 13 atleti statunitensi si ritirarono spontaneamente dalle gare. Cosa li aveva indotti a rinunciare? L’improvvisa squalifica di 11 altri atleti a causa dell’uso di droghe vietate. Il corrispondente del New York Times definì la loro squalifica “la più straordinaria del suo genere nella storia dello sport internazionale”.

Il giorno seguente il Comitato Olimpico degli USA, responsabile degli atleti americani che avrebbero partecipato alle Olimpiadi del 1984, ordinò di scegliere a caso degli atleti fra quelli che avrebbero rappresentato gli Stati Uniti per sottoporli ad analisi. Se si fosse scoperto che qualcuno aveva fatto uso di droghe vietate, questi sarebbe stato escluso dalle Olimpiadi di Los Angeles.

A causa della diffusione della droga nello sport, è stato costruito nel complesso dell’Università della California a Los Angeles un apposito centro, costato 1.500.000 dollari. Vi si eseguono analisi nel tentativo di accertare che nessun olimpionico abbia il vantaggio artificiale derivante dall’uso di qualche sostanza vietata.

Le olimpiadi: “La più grande forza sociale del mondo”?

Nel 1964 Avery Brundage, allora presidente del Comitato Internazionale Olimpico, dichiarò: “Il movimento olimpico odierno è forse la più grande forza sociale del mondo”. Questa era un’opinione discussa allora e lo è tuttora. Leonard Koppett, giornalista sportivo con una lunga esperienza, dice infatti nel suo libro Sports Illusion, Sports Reality (L’illusione dello sport, la realtà dello sport): “Lo sport riflette le condizioni sociali; non le causa. . . . Per di più lo sport è quello che è perché è stato plasmato dalla società in cui è nato. . . . Quando la società cambia, lo sport cambia . . . lo sport non dà luogo al cambiamento”.

Come qualsiasi altra cosa nel mondo moderno, i Giochi olimpici sono soggetti alle pressioni degli avvenimenti del XX secolo sia nel campo dei grandi interessi economici e della competizione, che in quello della violenza e dell’uso di droga. Per cui molti che hanno a che fare con lo sport fanno domande inquietanti sul futuro del movimento olimpico. Gli originari ideali olimpici del De Coubertin potranno sopravvivere? Le Olimpiadi potranno veramente continuare a essere giochi per dilettanti nel vero senso della parola? Le pressioni esercitate dalle grandi imprese su tanti atleti porranno fine all’èra dei “falsi dilettanti”? Si può arginare la crescente ondata di politica e nazionalismo? Lealtà e spirito cavalleresco saranno indeboliti dalla filosofia del vincere a tutti i costi? Il motto olimpico Citius, altius, fortius (più velocemente, più in alto, con più forza) sarà conseguito con la semplice forza e abilità o con la droga? Nei prossimi anni dovremmo avere alcune risposte.

Per i cristiani ci sono alcune altre domande: Le Olimpiadi implicano un certo sentimento religioso? Potrebbero essere in contrasto coi princìpi cristiani? I cristiani come devono considerare la partecipazione allo sport? Lo sport dovrebbe essere l’interesse principale della vita? Vi invitiamo a leggere quanto viene trattato nell’ultimo articolo di questa serie.

[Riquadro a pagina 7]

“Non è tutto oro quel che luce”

“Gli atleti olimpionici si sforzano magari per anni per vincere i premi ambiti, ma il valore delle medaglie d’oro, d’argento e di bronzo che infine portano al collo è più simbolico che reale”, diceva il New York Times del 17 febbraio 1984. Contrariamente all’opinione popolare, la medaglia d’oro non è di oro massiccio. Questo triste fatto fu scoperto da Charlie Jewtraw, il primo vincitore di una medaglia d’oro alle prime Olimpiadi invernali disputate a Chamonix, in Francia, nel 1924. Egli è l’unico superstite di coloro che vinsero la medaglia d’oro a Chamonix e recentemente ha detto: “Fui veramente seccato quando scoprii che la medaglia non era di oro massiccio. Non ne feci una questione di valore, ma di principio”.

Le medaglie “d’oro” assegnate l’anno scorso alle Olimpiadi invernali di Sarajevo consistevano effettivamente di 134 grammi di argento coperti di 6,5 grammi di oro puro. Il valore di mercato? Circa 216.000 lire l’una. Se la medaglia fosse stata di oro puro il suo valore sarebbe stato di oltre dieci volte tanto.

[Immagine alle pagine 8 e 9]

Gli ideali olimpici dovranno indietreggiare di fronte a grandi interessi economici, droga, nazionalismo e violenza?

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