Immigrati: Un problema mondiale
“ANDIAMO a Johannesburg per fare qualche soldo perché qui non c’è lavoro”, ha detto un emigrante che proveniva da un’area rurale dell’Africa meridionale. E ha aggiunto: “Se qui ci fosse lavoro non ci sogneremmo di andare a Johannesburg”. Queste meste parole ben riassumono la difficile scelta che molti emigranti e lavoratori stranieri devono fare.
Ma negli ultimi decenni il fenomeno dell’emigrazione ha assunto proporzioni tali da spaventare alcuni. (Vedi il riquadro a pagina 5). Il quotidiano spagnolo El País riferiva: “Nella nuova Germania sono riapparsi improvvisamente razzismo e xenofobia”. Diversi immigrati sono stati aggrediti da gruppi di teppisti violenti, che la stampa ha definito skinhead neonazisti.
Alcuni funzionari dell’immigrazione ammettono di non accettare emigranti provenienti da certi paesi. Uno di questi funzionari, in un paese asiatico, ha affermato che il suo compito era quello di ‘tenere fuori dal paese gli stranieri’. Inoltre, a proposito del recente afflusso di profughi provenienti da un paese dell’Europa orientale, la rivista Time riportava le parole di un alto funzionario che avrebbe detto: “Non vogliamo farli stare troppo bene perché vogliamo che tornino nel loro paese”.
Ancora più ostili erano i commenti di un giornalista in Francia, il quale era convinto che ‘gli immigrati stranieri costituissero una minaccia’. Quali motivi adduceva? Il fatto che sono di una “razza diversa, [parlano] lingue diverse, [e hanno] valori diversi”. La sua proposta? “Dovremmo rimandarne indietro quanti più possiamo, [e] isolare gli altri”.
In questo clima di xenofobia non sorprende che gli immigrati debbano fare i conti con il muro dei pregiudizi delle comunità locali, le quali si sentono minacciate dall’improvviso afflusso di stranieri. Per fare un esempio, un israeliano adirato si lamentava per il fatto che “i proprietari di appartamenti preferiscono gli immigrati sovietici” perché a questi il governo accorda una sovvenzione quando si stabiliscono in Israele. Questo fa lievitare gli affitti al punto che i cittadini locali sono costretti a trovare un’altra abitazione.
Non è un segreto che spesso gli immigrati svolgono i lavori umili che gli abitanti del posto disprezzano. Di conseguenza, molti nuovi arrivati devono lavorare in condizioni difficili per guadagnare un magro salario, specie se sono clandestini. Oltre a ciò, spesso gli immigrati sono oggetto di molta discriminazione sul luogo di lavoro solo perché sono stranieri.
Quasi tutti gli immigrati, indipendentemente da chi sono e dove cercano di stabilirsi, devono superare il trauma del distacco dalle proprie origini e gettare nuove basi per il futuro. Secondo la rivista U.S.News & World Report gli immigrati “di solito all’inizio si sentono esclusi e oppressi”. Alcuni non riescono a superare questa fase. Riguardo a loro, la rivista aggiunge: “Alla tragedia di aver perso una prima patria si aggiunge il fallimento del tentativo di trovarne una seconda”. Per molti questo senso di non appartenenza è legato in buona parte alla difficoltà di imparare una nuova lingua.
Come si dice...?
Avete mai dovuto imparare una nuova lingua e adattarvi a una cultura diversa? Come vi siete sentiti? Molto probabilmente “il risultato finale dei vostri sforzi è un tormentoso senso di incompletezza”, risponde lo scrittore Stanislaw Baranczak, immigrato negli Stati Uniti dalla Polonia. Sì, essere padroni della lingua è essenziale per divenire parte attiva di una società. Imparare una nuova lingua può essere un aspetto particolarmente difficoltoso dell’integrazione, specie per gli immigrati di una certa età.
Per questi ultimi, tentare di imparare una lingua significa spesso cadere in un circolo vizioso. La rivista Aging dice che quando gli immigrati non riescono ad adattarsi alla nuova lingua e cultura, spesso cadono in depressione, e questo a sua volta non permette loro di avere la concentrazione necessaria per imparare la nuova lingua. Come risultato, lo straniero diventa sempre più riluttante a correre i rischi, e a volte a subire le umiliazioni, che derivano dall’imparare la lingua. Il problema si complica quando i figli assimilano la lingua e la cultura molto più un fretta dei genitori. Spesso questo crea attriti e un gap generazionale nelle famiglie degli immigrati, laddove tutta la famiglia sia emigrata insieme.
Famiglie disgregate
Una delle conseguenze meno pubblicizzate e tuttavia più tragiche dell’emigrazione di massa è l’effetto disastroso che ha sulle famiglie. Nella maggioranza dei casi la famiglia si disgrega quando uno o entrambi i genitori affidano i figli alle cure di altri familiari per emigrare in cerca di migliori prospettive economiche. Da un’inchiesta sulla povertà e lo sviluppo nell’Africa meridionale (Second Carnegie Inquiry Into Poverty and Development in Southern Africa) risulta che questo tipo di emigrazione “stravolge . . . la struttura della famiglia”. Il rapporto riferisce casi specifici di famiglie che si sono disgregate quando singoli familiari sono emigrati separatamente.
Questi sono solo alcuni dei problemi che gli immigrati devono affrontare in tutto il mondo, per non parlare delle spese sostenute per emigrare, dei problemi che devono affrontare per legalizzare la loro situazione e delle decisioni che devono prendere riguardo ad assistenza sanitaria, alloggio, istruzione e altri familiari.
Perciò, nonostante tutte queste difficoltà, cosa spinge queste persone a lasciare il loro paese?
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Compagni di lavoro
È VERO che un afflusso incontrollato di stranieri comporta alcuni problemi, ma è anche assodato che spesso gli immigrati costituiscono una preziosa risorsa per il paese d’adozione.
“La Germania occidentale e i suoi lavoratori stranieri hanno senz’altro beneficiato gli uni degli altri”, dice la rivista Time, aggiungendo che “le acciaierie del bacino della Ruhr e le catene di montaggio della Mercedes alla periferia di Stoccarda utilizzano manodopera straniera”. E secondo il National Geographic, “l’industria dell’abbigliamento di New York sarebbe crollata” se non fosse stato per la manodopera prestata dagli immigrati.
Gli economisti riconoscono che questi immigrati danno un valido contributo ai paesi che li accolgono. Pur essendo oggetto di molti pregiudizi, turchi, pakistani e algerini in Europa hanno imparato ad adattarsi. “Tirano avanti”, dice U.S.News & World Report, e continueranno così “fino al giorno in cui l’Europa . . . scoprirà, per motivi puramente economici, che ha bisogno di loro”.
Spinti dall’ardente desiderio di sistemarsi nel loro nuovo paese gli stranieri, in paragone con le persone del posto, tendono ad essere più autosufficienti e a fare meno assegnamento sulle forme di assistenza sociale provvedute dal governo. “Nulla è più infondato dell’accusa secondo cui gli immigrati vivrebbero alle spalle dell’assistenza sociale”, ha detto un consulente statunitense dell’immigrazione che ha trattato oltre 3.000 casi di stranieri.
Spesso è accaduto che interi quartieri siano stati restaurati da stranieri desiderosi di migliorare il loro ambiente. Quando, dopo lo scoppio della guerra in Angola e in Mozambico, in Sudafrica arrivò all’improvviso un’ondata di rifugiati portoghesi, interi sobborghi di Johannesburg furono occupati e ristrutturati dalla comunità portoghese.
[Riquadro a pagina 5]
Alcuni dati sull’immigrazione:
▶ In Francia gli immigrati sono 4.500.000, di cui 1.500.000 nordafricani, e costituiscono l’8 per cento della popolazione
▶ In un solo settore del confine tra Messico e Stati Uniti, ogni notte 800 funzionari della polizia di confine arrestano in media 1.500 immigranti clandestini
▶ Il 20 per cento circa della popolazione australiana è nato all’estero
▶ Il numero dei polacchi che lavorano illegalmente nell’Europa occidentale potrebbe aggirarsi sul milione
▶ In un anno recente 350.000 uomini sono entrati legalmente in Sudafrica con un contratto di lavoro. Gli immigrati irregolari e clandestini sono circa 1.200.000
▶ Nel 1990 sono immigrati in Israele almeno 185.000 ebrei sovietici
▶ Dal 1975 ad oggi sono affluiti negli Stati Uniti più di 900.000 immigrati provenienti dal Sud-Est asiatico
▶ Ogni settimana emigrano da Hong Kong almeno mille persone