BIBLIOTECA ONLINE Watchtower
BIBLIOTECA ONLINE
Watchtower
Italiano
  • BIBBIA
  • PUBBLICAZIONI
  • ADUNANZE
  • g92 8/5 pp. 14-19
  • “Ero pronto a morire per l’imperatore”

Nessun video disponibile.

Siamo spiacenti, c’è stato un errore nel caricamento del video.

  • “Ero pronto a morire per l’imperatore”
  • Svegliatevi! 1992
  • Sottotitoli
  • Vedi anche
  • Pessime condizioni in Cina
  • Obiettivo: Singapore
  • Meglio morire che arrendersi
  • Singapore cade nelle nostre mani
  • Assisto alla tragedia di Hiroshima
  • Perdo la fede negli dèi
  • Trovo il vero Dio
  • La gioia di servire lealmente l’Iddio Altissimo
  • Devoti a un uomo-Dio: Perché?
    Svegliatevi! 1989
  • Uomini chiamati “dèi”
    Svegliatevi! 1982
  • Ho visto l’assurdità della guerra
    Svegliatevi! 1988
  • Ho sempre provato gioia nel fare la volontà di Dio
    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 2008
Altro
Svegliatevi! 1992
g92 8/5 pp. 14-19

“Ero pronto a morire per l’imperatore”

“1. Il soldato deve considerare la lealtà un dovere.

2. Il soldato deve fare della correttezza il suo modo di vivere.

3. Il soldato deve stimare altamente il valore militare.

4. Il soldato deve avere grande rispetto per la giustizia.

5. Il soldato deve vivere una vita semplice”.

QUESTE cinque dichiarazioni erano gli articoli di un giuramento che doveva ispirare i nuovi arruolati nell’esercito imperiale giapponese. Ogni giorno gli ufficiali superiori facevano recitare i cinque articoli a ciascuna recluta, e chi non li ripeteva correttamente veniva preso a pugni. Si dava particolare enfasi all’incrollabile lealtà all’imperatore e alla patria.

Fui arruolato nel 1938, mentre il Giappone era nel bel mezzo della guerra cino-giapponese del 1937-45. Ad ogni occasione ci veniva instillata l’idea che la guerra era santa e che proprio come il “vento divino” (kamikaze) spazzò via i mongoli quando attaccarono il Giappone alla fine del XIII secolo, così gli dèi, o kami, del Giappone ci avrebbero concesso la vittoria.

Dopo questo addestramento militare e “spirituale” partimmo per il fronte nel 1939. I miei genitori mi regalarono una “cintura dai mille punti”: era stata preparata da mille persone diverse, ciascuna delle quali aveva cucito un punto col filo rosso come preghiera perché ottenessimo la vittoria e perché la fortuna mi assistesse sotto le armi. Quando salutai il mio paese, diretto in Cina, dentro di me si affollavano sentimenti contrastanti. ‘Questa potrebbe essere l’ultima volta che vedo la mia patria’, pensavo. Allo stesso tempo, ero pronto a morire per l’imperatore.

Pessime condizioni in Cina

Nel luglio 1939, con il caldo soffocante tipico dell’entroterra cinese, eravamo impegnati in un’operazione di rastrellamento nella Cina centrale. Marciavo con tutto l’equipaggiamento e uno zaino da 30 chili, ma indossavo sempre la mia “cintura dai mille punti”. Alla fine della giornata, dopo aver marciato per una quarantina di chilometri, ero esausto e avevo i piedi martoriati dagli scarponi. Rompevo le vesciche con una spada e ci versavo sopra acido salicilico. Il dolore era quasi insopportabile, ma continuai a torturarmi in questo modo fino a quando le vesciche si trasformarono in calli e non sentii più alcun dolore.

Marciare col caldo mi portò alla disidratazione. Per placare la sete bevevo l’acqua marrone di qualche piccolo corso d’acqua a cui, nella borraccia, aggiungevo cloruro di calce, una polverina bianca disinfettante. Tutto ciò che bevevo si trasformava immediatamente in sudore, che mi inzuppava gli indumenti e lasciava sull’uniforme macchie bianche di sale. Ben presto avvertii un prurito e un dolore diffuso in tutto il corpo. Un giorno, sbottonandomi l’uniforme, scoprii un gran numero di pidocchi intenti a deporre uova! Li schiacciai uno per uno, ma non c’era modo di eliminarli completamente. Tutti noi eravamo infestati dai pidocchi, così quando arrivammo ad un corso d’acqua, vi saltammo dentro per fare il bagno. Tutti avevamo chiazze rosse e gonfie a motivo delle punture dei pidocchi. Dopo esserci fatti il bagno immergemmo le uniformi in acqua bollente per uccidere i parassiti.

A suo tempo fui trasferito a Shanghai, al quartier generale della divisione, e divenni ufficiale pagatore. Il mio compito era quello di tenere la contabilità per le truppe e aver cura della cassa. Un giorno sorpresi due coolie (servitori) cinesi che cercavano di fuggire con la cassa. Intimai loro di fermarsi, poi puntai il fucile e feci fuoco. Entrambi morirono all’istante. In seguito questo episodio mi tormentò la coscienza per molti anni.

Obiettivo: Singapore

Verso la fine del 1941 ricevemmo l’ordine di imbarcarci su una nave, armati di tutto punto. Non ci fu detto nulla riguardo alla nostra destinazione. Arrivati a Hong Kong caricammo biciclette, carri armati e cannoni a lunga gittata. Furono distribuite maschere antigas e uniformi estive, e salpammo nuovamente. Dopo qualche giorno ci fu detto: ‘Stiamo andando a combattere una guerra scientifica di proporzioni inaudite. Accertatevi di scrivere ora un messaggio d’addio alla vostra famiglia’. Scrissi una lettera di commiato ai miei genitori, implorandoli di perdonarmi se non avevo fatto nulla per adempiere il mio dovere filiale. Dissi loro che avrei sacrificato la mia vita per l’imperatore e sarei morto per il mio paese.

La mattina presto dell’8 dicembre 1941, lo stesso giorno in cui i bombardieri giapponesi attaccarono Pearl Harbor, mentre era ancora buio sferrammo un attacco anfibio sulla costa della provincia di Songkhla, in Thailandia.a Il mare era molto agitato. Dalla nave base pendeva una scala di corda. Dovevamo scenderla per due terzi e poi saltare in un mezzo da sbarco che veniva sballottato dalle onde come una foglia al vento. E tutto questo indossando un pesante zaino! Eravamo sotto il fuoco dell’artiglieria nemica, ma il nostro attacco ebbe successo. Iniziò così la nostra avanzata attraverso la giungla per arrivare a Singapore.

In qualità di ufficiale pagatore, il mio compito principale durante la manovra era quello di garantire gli approvvigionamenti alle truppe. Dovevamo trovarli sul posto, poiché non potevamo fare assegnamento su rifornimenti dal Giappone. Questo significava che gli ufficiali pagatori dovevano avanzare in prima linea insieme ai soldati, cercare scorte alimentari e impadronirsene per nostro uso. Anche se a quel tempo non provavo nessun senso di colpa, la nostra non era che una rapina su vasta scala.

Meglio morire che arrendersi

Nel corso di un violento combattimento presso Alor Setar, vicino al confine fra Thailandia e Malesia, trovammo un grande deposito pieno di viveri. Pensai che una notizia così meravigliosa dovesse essere riferita al quartier generale, nelle retrovie, per cui salii su un’automobile catturata agli inglesi, alla guida della quale c’era uno dei miei uomini. Guidammo allegramente fino a quando, girato un angolo, ci trovammo improvvisamente di fronte una colonna di carri armati inglesi. Ci eravamo persi e ora ci trovavamo davanti a circa 200 soldati indiani e inglesi! Sarebbe stata la nostra fine? Se non fossimo riusciti a passare saremmo stati fatti prigionieri, a nostra vergogna. Quali soldati giapponesi, preferivamo morire piuttosto che vivere nel disonore come prigionieri di guerra. Puntai la pistola alla tempia dell’autista, e lui estrasse il pugnale e me lo puntò allo stomaco. Gli ordinai di tirare diritto. Sfrecciammo sotto una fitta gragnola di proiettili di mitra. Rimanemmo illesi, ma eravamo completamente disorientati. Arrivammo in fondo a una strada senza uscita, abbandonammo l’automobile e cominciammo ad attraversare la giungla a piedi. Attaccati dai serpenti e inseguiti dai nemici, lottammo per diversi giorni prima di ricongiungerci alle nostre truppe. Quando arrivammo scoprimmo che eravamo già stati dichiarati morti in battaglia.

A Kuala Lumpur, in Malesia, vedemmo molti prigionieri di guerra inglesi. Erano molto diversi dai soldati giapponesi, per i quali l’idea di essere fatti prigionieri era un disonore e una vergogna. Gli inglesi erano ancora ottimisti e dicevano che un giorno la situazione si sarebbe capovolta. Ignorammo le loro parole, in quanto la nostra avanzata stava acquistando sempre più slancio.

Singapore cade nelle nostre mani

Ben presto eravamo di fronte all’isola di Singapore. La costa era disseminata di mine e reticolati. I nostri cannoni a lunga gittata concentrarono il fuoco su un angolo della costa, contribuendo a creare una testa di ponte, e noi sbarcammo.

Singapore è un’isola relativamente piccola, ma vi combatterono in tutto 160.000 soldati. Avanzavamo lentamente e con difficoltà, inciampando sui cadaveri dei nostri compagni. Gli inglesi temevano i nostri attacchi notturni. Le squadre suicide giapponesi dei Kesshitai (i “pronti a morire”), ciascuna composta da una dozzina di volontari, attaccavano a ondate con la spada sguainata. Quando venivano richiesti altri volontari, tutti quanti si facevano avanti. Per noi era un onore morire per l’imperatore.

Quando lasciammo la penisola malese e attraversammo lo Stretto di Johor, nel febbraio 1942, scoprimmo che il nemico aveva puntato le tanto decantate batterie di Changi nella direzione opposta, immaginando che saremmo arrivati dal mare aperto. Quando però esse furono puntate contro di noi, furono davvero formidabili.

Le granate dell’artiglieria nemica creavano grosse buche sulla strada che ci stava davanti, impedendo l’avanzata dei veicoli militari. A una dozzina di prigionieri di guerra fu ordinato di disporsi attorno a una buca. Un plotone di esecuzione puntò i mitra su di loro e fece fuoco. A un’altra dozzina di prigionieri fu ordinato di gettare i cadaveri nella buca e coprirli di terra. Poi toccò a loro essere falciati a raffiche di mitra per riempire la buca successiva. Il processo continuò fino a che la strada fu completamente riparata. (Ora soffro al ricordo di alcune atrocità che commettemmo, ma facevano parte della raccapricciante realtà di quella guerra orrenda). A quel tempo la mia coscienza era ormai ‘segnata da un ferro rovente’, per così dire; era così incallita che non provavo nessuna emozione alla vista di queste atrocità. — 1 Timoteo 4:2.

Il 15 febbraio 1942 un alto ufficiale inglese ci venne incontro a piedi, con alcuni dei suoi uomini, portando una bandiera bianca. “È il generale Percival!”, gridò uno dei nostri. ‘Ce l’abbiamo fatta!’, dissi fra me e me. Il comandante in capo delle forze inglesi in Malesia si era arreso. Ricordo bene questo storico evento, essendone stato testimone oculare. Questo rafforzò la mia fiducia nella potenza degli antichi dèi giapponesi.

Dopo la conquista di Singapore fui mandato in diversi luoghi, tra cui la Nuova Guinea. Poi, nel 1943, ricevetti l’ordine di tornare in Giappone. Traboccavo di gioia all’idea di rivedere i miei genitori. La nostra nave, però, dovette attendere a motivo dei sottomarini nemici. A quel punto le sorti della guerra cominciavano ad esserci sfavorevoli. Ricordai quello che ci avevano detto i prigionieri di guerra inglesi a Kuala Lumpur. Sì, la situazione si stava capovolgendo.

Assisto alla tragedia di Hiroshima

Quando alla fine sbarcai in Giappone, giunsi le mani e ringraziai in preghiera gli dèi e Budda. ‘Devono essere stati i poteri della “cintura dai mille punti” e gli antichi dèi a proteggermi’, pensai. Mentre venivamo congedati, il comandante ci ordinò di avere figli. “Se non vi fate una famiglia”, disse, “siete antipatriottici”. Ero deciso a sposarmi per assolvere questo incarico. Un parente combinò il mio matrimonio, e così nel dicembre 1943 sposai Hatsuko.

Il 6 agosto 1945 esplose una bomba atomica devastando la città di Hiroshima: a quel tempo prestavo servizio come guardia carceraria alla periferia della città. Qualcuno doveva andare a soccorrere i superstiti rimasti fra le macerie. “Chiunque di voi è disposto ad andare, qualunque sia il prezzo da pagare, si raduni qui”, disse il mio sovrintendente. Anche se mia moglie era incinta della nostra prima bambina, la mia mentalità forgiata nell’esercito mi spinse ad andare. Ci distribuirono la fascia da mettere attorno al capo: al centro aveva il Sol Levante e gli ideogrammi della parola Kesshitai.

La nostra missione era quella di liberare i detenuti della prigione di Hiroshima. Lungo il percorso attraversammo fiumi pieni di cadaveri. Non riuscendo a sopportare il tremendo calore dell’esplosione, la gente si era buttata nei fiumi. Quando giungemmo alla prigione, prestammo i primi soccorsi ai detenuti e li portammo con un camion in un ospedale. Non sapevo che fra loro c’era anche Katsuo Miura, un testimone di Geova che aveva mantenuto la neutralità cristiana in Giappone durante la guerra ed era in prigione a motivo della sua religione.

Perdo la fede negli dèi

Una settimana dopo dovevo presentarmi al comando degli ufficiali pagatori dell’Arma del Genio a Hiroshima. Mentre camminavo verso l’automobile che mi avrebbe portato lì, l’altoparlante esterno di una scuola locale trasmise un messaggio speciale. Era la prima volta che si sentiva per radio la voce dell’imperatore Hirohito. Mi misi sull’attenti e ascoltai il suo annuncio. Le lacrime mi riempirono gli occhi e mi rigarono il viso. Mi sentii come se tutte le forze mi abbandonassero. Egli disse che avrebbe ‘sopportato l’insopportabile’. Si sarebbe umiliato e arreso alle forze alleate! L’imperdonabile parola ‘arrendersi’ sulle labbra del dio-imperatore!

Il vento “divino” non soffiò mai e il Giappone, il paese “divino”, fu sconfitto. La mia fiducia nell’imperatore e nella patria crollò. I giorni passavano senza che avessi uno scopo o una speranza. Pensando che il vero Dio non era fra gli dèi in cui avevo creduto, investigai diverse religioni. Tutte, però, facevano leva sull’egoismo, promettendo guarigioni miracolose e avido guadagno. Finii per crearmi una religione personale. Lo scopo ultimo della vita, conclusi, era quello di mostrare amore al prossimo attraverso il lavoro. Visto che lavoravo con le biciclette, cercavo di vendere biciclette di buona qualità a prezzi ragionevoli e di provvedere un servizio di riparazioni veloce e cortese. Il lavoro prese nel mio cuore il posto che in precedenza occupavano gli dèi.

Trovo il vero Dio

All’inizio del 1959, mentre lavoravo nel mio negozio, una coppia mi fece visita e mi offrì le riviste Torre di Guardia e Svegliatevi! Erano due testimoni di Geova, e qualche giorno dopo tornarono per incoraggiarmi a studiare la Bibbia. Visto che avevo sempre desiderato sapere di più riguardo a Dio, accettai prontamente. Invitai anche mia moglie a partecipare allo studio settimanale.

Alla fine cominciai a rendermi conto che avevo creduto a cose che non avevano alcun fondamento. Ora capivo quanto era stato assurdo dedicarmi con fervore a qualcuno che non era in grado di dare la salvezza. Salmo 146, versetti 3 e 4, spazzò via dal mio cuore qualsiasi residuo di devozione all’imperatore. Questi versetti dicono: “Non confidate nei nobili, né nel figlio dell’uomo terreno, a cui non appartiene alcuna salvezza. Il suo spirito se ne esce, egli torna al suo suolo; in quel giorno periscono in effetti i suoi pensieri”. La stessa lealtà senza riserve che durante la guerra avevo mostrato all’imperatore e alla patria doveva ora essere rivolta al grande Sovrano universale e al Datore della vita, Geova Dio.

Ma c’era una cosa che mi pesava enormemente sulla coscienza. Era la colpa di sangue di cui mi ero macchiato combattendo in Cina, e specialmente a Singapore. Come poteva un uomo come me con le mani macchiate di sangue servire il grande Sovrano universale? Questo dilemma fu risolto nel 1960, quando a Iwakuni, dove abitavamo, si tenne un’assemblea di circoscrizione. Ospitammo il missionario Adrian Thompson, venuto in città per presiedere all’assemblea, e sua moglie Norrine. Colsi l’occasione per parlargli delle mie più intime preoccupazioni, e narrai le esperienze che avevo avuto a Singapore. “Ho sparso molto sangue. Potrò mai avere l’approvazione divina?”, gli chiesi. A ciò egli rispose semplicemente: “Stai seguendo le orme di Cornelio, l’ufficiale romano del I secolo”. Le sue parole eliminarono l’ultima riserva mentale che avevo, e il giorno dopo mi battezzai insieme a mia moglie. — Atti 10:1-48.

La gioia di servire lealmente l’Iddio Altissimo

Che gioia poter servire la più grande Persona dell’universo, Geova, che è incomparabilmente più grande di tutti gli altri dèi che avevo servito! E che privilegio poter partecipare a un combattimento spirituale come soldato di Gesù Cristo! (2 Timoteo 2:3) Cominciai a mostrare la mia devozione a Dio in famiglia. Poco dopo essermi battezzato, sentii mio padre dire a mia madre: ‘Tomiji non renderà omaggio all’altare buddista né terrà più funzioni commemorative alla nostra tomba di famiglia’. Vedete, per i giapponesi è una dimostrazione di amore filiale tenere ogni anno funzioni commemorative in onore dei genitori. Le parole di mio padre mi spinsero a parlargli della verità. Egli studiò la Bibbia con me e fu battezzato nell’autunno del 1961, insieme a mia figlia Eiko e a mio figlio Akinobu. Masako, la mia figlia più giovane, seguì il loro esempio. Mia madre aveva la sua religione e all’inizio non volle studiare, ma dopo diversi anni anche lei si è unita a noi nel servire Geova.

Nel 1975 mi unii a mia moglie nel ministero a tempo pieno come pioniere regolare. Da allora sono stato in grado di prestare servizio come soldato di Gesù Cristo sul fronte della congregazione. Quando mi sento un po’ stanco ripenso allo zelo che avevo nel servire l’imperatore e la patria e mi dico: ‘Se servivo l’imperatore e la patria con tanta devozione, come potrei fare di meno ora che servo il grande Sovrano universale?’ E così riacquisto le energie per continuare. (Isaia 40:29-31) Non servo più alcun essere umano per osservare i cinque articoli del giuramento, ma servo l’Iddio Altissimo, Geova, con sincera devozione basata sull’accurata conoscenza. Egli merita tutta la nostra lealtà. — Narrato da Tomiji Hironaka.

[Nota in calce]

a L’attacco di Pearl Harbor avvenne il 7 dicembre 1941, secondo il fuso orario delle Hawaii, quando in Giappone e in Thailandia era l’8 dicembre.

[Immagine a pagina 15]

Tomiji Hironaka durante la guerra

[Immagini a pagina 16]

Uomini della protezione civile domano incendi nella battaglia di Singapore

Il generale Percival si arrende ai giapponesi

[Fonte]

The Bettmann Archive

[Immagine a pagina 17]

Hiroshima dopo l’esplosione della bomba atomica nel 1945

[Fonte]

USAF photo

[Immagine a pagina 18]

Mia moglie ed io con il libro che ha cambiato la nostra vita: la Bibbia

    Pubblicazioni in italiano (1950-2025)
    Disconnetti
    Accedi
    • Italiano
    • Condividi
    • Impostazioni
    • Copyright © 2025 Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania
    • Condizioni d’uso
    • Informativa sulla privacy
    • Impostazioni privacy
    • JW.ORG
    • Accedi
    Condividi