Vittoriosi di fronte alla morte
“Benché i nazisti ne fossero sorpresi, neppure [i Testimoni] poterono essere eliminati. Più forti erano le pressioni, più divenivano saldi, adamantini nella loro resistenza. Hitler li costrinse a una battaglia escatologica, ed essi mantennero la fede. . . . La loro esperienza è materiale prezioso per tutti coloro che studiano i casi di sopravvivenza sotto forte pressione. Poiché essi sopravvissero”. — Attribuito alla dott. Christine King, storico, dalla rivista Together.
I TESTIMONI DI GEOVA dovrebbero essere considerati, nella storia del XX secolo, come il gruppo religioso più universalmente calunniato e perseguitato del mondo. Sono stati fraintesi e spesso maltrattati solo a motivo della loro neutralità cristiana e del loro rifiuto di imparare o di fare la guerra. La loro separazione da ogni legame politico ha provocato le ire di governanti totalitari in molti paesi. Eppure, uno dei contributi che hanno dato alla storia moderna è stato il loro esempio di assoluta neutralità e di incrollabile lealtà ai loro princìpi.
Lo storico inglese Arnold Toynbee scrisse nel 1966: “Nel nostro tempo in Germania ci sono stati martiri cristiani che hanno ceduto la vita piuttosto di rendere omaggio al Nazionalismo dilagante rappresentato lì dal dio umano Adolf Hitler”. I fatti dimostrano che i testimoni di Geova si sono distinti tra quei martiri. Alcune esperienze dovrebbero servire a illustrare come hanno affrontato la persecuzione e persino la morte a motivo della loro integrità, e questo non solo sotto il nazismo. In molte parti del mondo si sono dimostrati vittoriosi di fronte alla morte in maniera coerente e senza uguali.
La storia di Ananii Grogul, dell’Ucraina
“I miei genitori diventarono testimoni di Geova durante la seconda guerra mondiale, nel 1942, quando avevo 13 anni. Poco dopo mio padre fu arrestato, messo in prigione e in seguito trasferito nei campi di lavoro sovietici sugli Urali. Nel 1944, quando avevo 15 anni, le autorità militari mi chiamarono per il servizio preparatorio nelle forze armate. Avendo già una salda fede in Geova, mi rifiutai di imparare la guerra. Per questo motivo, a quella tenera età fui condannato a cinque anni di reclusione.
“Poi arrivò il difficilissimo anno del 1950. A motivo della mia attività di Testimone fui di nuovo arrestato e condannato a 25 anni di confino. Avevo 21 anni. Sopravvissi nei campi di lavoro sette anni e quattro mesi. Vidi morire molti, con il ventre gonfio dalla fame e consumati dai lavori forzati.
“Nel 1953, con la morte di Stalin, le cose cominciarono a cambiare, e nel 1957 fui liberato. Potevo di nuovo assaporare la ‘libertà’. Ma questa volta mi mandarono al confino in Siberia per dieci anni”.
Le torture disumane inflitte a mia sorella
“In Siberia rividi la mia sorella carnale, che era già diventata invalida. L’avevano arrestata nel 1950, esattamente due settimane dopo di me. Nel suo caso l’interrogatorio era stato condotto in maniera assolutamente disumana. La rinchiusero in una cella di isolamento dove poi lasciarono liberi dei ratti, che le salirono su tutto il corpo e le morsicarono i piedi. Alla fine, i suoi aguzzini la fecero stare in piedi nell’acqua gelida, con l’acqua che le arrivava al petto, mentre loro stavano a guardare le sue sofferenze. A motivo della sua attività di predicazione fu condannata a 25 anni di prigione. Divenne paralizzata a entrambe le gambe, mentre conservò l’uso delle mani e delle braccia. La tennero per cinque anni in un ospedale nel campo di lavoro e alla fine la depennarono come se fosse morta. Poi la mandarono dai nostri genitori, che nel 1951 erano stati mandati al confino a vita in Siberia”.
Ritorno in Ucraina e ulteriore persecuzione
“In Siberia conobbi Nadia, che divenne mia moglie e la madre dei nostri bambini. Anche in Siberia continuammo l’opera di predicazione. Mi fu affidato il compito di produrre e ciclostilare pubblicazioni bibliche. Ogni notte mio fratello Jacob ed io ci davamo da fare in un interrato annesso alla nostra cantina per ciclostilare La Torre di Guardia. Avevamo due macchine da scrivere e un ciclostile fatto in casa. La polizia ispezionava regolarmente la nostra casa, ma ogni volta se ne andava a mani vuote.
“Il mio esilio terminò. Con tutta la famiglia mi trasferii in Ucraina, ma la persecuzione non cessò. Fui incaricato di prestare servizio come sorvegliante viaggiante. Per mantenere la famiglia dovevo avere un lavoro. Più volte al mese agenti del KGB venivano sul mio luogo di lavoro e tentavano di persuadermi a tradire la mia fede. Una volta sentii l’aiuto di Geova in un modo davvero speciale. Mi arrestarono e mi portarono negli uffici del KGB di Kiev, dove mi tennero per sei giorni. Per tutto quel tempo tentarono di confondermi subissandomi di propaganda atea. Con il loro modo di ragionare completamente antireligioso facevano commenti sulla Torre di Guardia e su altre pubblicazioni della Watch Tower Society. La pressione psicologica divenne quasi insostenibile. Nel gabinetto cadevo in ginocchio e scoppiavo in lacrime, invocando Geova. No, non chiedevo di essere liberato ma di avere la forza di perseverare e di non tradire i miei fratelli.
“Poi venne da me il capo della polizia, e sedutosi di fronte a me mi chiese se ero davvero convinto di ciò che sostenevo. Gli diedi brevemente testimonianza e dissi che ero disposto a morire per la verità. La sua risposta fu: ‘Tu sei una persona felice. Se solo fossi convinto che questa è la verità, io sarei pronto non solo a subire 3 o 5 anni di carcere, ma a stare in prigione su una gamba sola per 60 anni’. Poi rimase per un po’ seduto in silenzio, pensieroso, dopo di che aggiunse: ‘Si tratta della vita eterna. Ti rendi conto di cosa significa veramente la vita eterna?’ Dopo una breve pausa, disse: ‘Torna a casa!’ Le sue parole mi diedero una forza inaspettata. Di colpo non sentivo più la fame. Volevo solo andarmene. Ero certo che era stato Geova a rafforzarmi.
“Negli ultimi anni le cose sono cambiate nell’ex Unione Sovietica. Ora ci sono pubblicazioni bibliche in abbondanza. Siamo liberi di assistere ad assemblee di circoscrizione e di distretto, e svolgiamo l’attività di predicazione in tutte le sue fasi, compreso il ministero di casa in casa. Sì, Geova ci ha davvero concesso la vittoria di fronte a molte prove!”
Messa alla prova l’integrità in Africa
Alla fine degli anni ’60 in Nigeria scoppiò una disastrosa guerra civile. Subendo perdite sempre più massicce, i soldati della regione secessionista, che a quel tempo era stata ribattezzata Biafra, arruolavano giovani con la forza. Visto che i testimoni di Geova sono politicamente neutrali e non vogliono partecipare alle guerre, molti Testimoni del Biafra furono braccati come animali, torturati e uccisi. Un testimone di Geova ha detto: “Eravamo come ratti. Dovevamo nasconderci ogni volta che sentivamo dei soldati avvicinarsi”. E spesso non c’era tempo per nascondersi.
Un venerdì mattina del 1968 Philip, un ministro a tempo pieno di 32 anni, si trovava nel villaggio di Umuimo e stava predicando a un vecchio quando fecero irruzione alcuni soldati del Biafra impegnati in una campagna di reclutamento.
“Cosa stai facendo?”, chiese il capo dei soldati. Philip spiegò che stava parlando del veniente Regno di Geova.
“Questo non è il momento di predicare!”, gridò un altro soldato. “Siamo in guerra, e non vogliamo vedere uomini robusti che se ne vanno in giro senza far niente”. Allora i soldati denudarono Philip, gli legarono le mani e lo condussero via. Anche Israel, un anziano cristiano di 43 anni, non ebbe tempo di nascondersi. Lo catturarono mentre preparava da mangiare per i figli. Entro le 2 del pomeriggio i soldati avevano raccolto oltre un centinaio di uomini. Essi costrinsero i loro prigionieri a percorrere di corsa i 25 chilometri che li separavano dall’accampamento militare di Umuacha Mgbedeala. Chi rimaneva indietro veniva frustato.
A Israel fu detto che avrebbe portato una mitragliatrice pesante, mentre Philip doveva essere addestrato a usarne una leggera. Quando i due spiegarono che non potevano unirsi all’esercito perché Geova lo proibisce, il comandante ordinò che venissero rinchiusi. Alle 4 del pomeriggio a tutti i coscritti, compresi quelli rinchiusi nella cella, fu dato l’ordine di mettersi in fila. I soldati poi chiesero a ciascuno di firmare un foglio da cui risultava che avevano acconsentito ad arruolarsi nell’esercito. Quando venne il suo turno per firmare, Philip citò le parole di 2 Timoteo 2:3, 4 e disse al comandante: “Io sono già un ‘eccellente soldato di Cristo’. Non posso combattere per Cristo e anche per qualcun altro. Se lo faccio, Cristo mi considererà un traditore”. Il comandante lo colpì alla testa, dicendo: “La tua nomina come soldato di Cristo è decaduta; ora sei un soldato del Biafra”.
Philip rispose: “Gesù non mi ha ancora notificato che la mia nomina quale suo soldato sia decaduta, e la mia nomina rimane valida finché non ricevo questa notifica”. A ciò, i soldati sollevarono in aria Philip e Israel e li scaraventarono a terra. Storditi e perdendo sangue dagli occhi, dal naso e dalla bocca, i due furono trascinati via.
Davanti a un plotone di esecuzione
Più tardi, quello stesso giorno, Israel e Philip si trovarono davanti a un plotone di esecuzione. Ma i soldati non li fucilarono. Li percossero con i pugni e con il calcio dei fucili. Poi il comandante dell’accampamento decise di fustigarli finché non fossero morti. Incaricò di questo 24 soldati. Sei dovevano fustigare Philip, e altri sei Israel. Gli altri dodici soldati dovevano procurare altri bastoni e continuare quando i primi si stancavano.
Philip e Israel avevano mani e piedi legati. Israel racconta: “Non so dire quanti colpi ho ricevuto quella sera. Quando un soldato si stancava, un altro prendeva il suo posto. Continuarono a fustigarci a lungo anche dopo che avevamo perso conoscenza”. Philip dice: “Durante la tortura mi venne in mente Matteo 24:13, che parla di perseverare sino alla fine, e questo mi rafforzò. Sentii il dolore dei colpi solo per pochi secondi. Era come se Geova avesse mandato un suo angelo ad aiutarci, come fece al tempo di Daniele. Altrimenti non saremmo sopravvissuti a quella notte tremenda”.
Quando i soldati ebbero terminato, Israel e Philip furono dati per morti. Pioveva. I due cristiani ripresero conoscenza solo il mattino dopo. Quando i soldati videro che erano ancora vivi, li trascinarono di nuovo nella cella.
“Puzzate già come cadaveri”
I due erano tutti scorticati e sanguinolenti per la fustigazione. Israel ricorda: “Non ci permisero di lavarci le ferite. Dopo qualche giorno eravamo pieni di mosche. Nelle condizioni in cui eravamo non riuscivamo a mangiare. Avevamo la bocca così gonfia che solo dopo una settimana riuscimmo a mandar giù qualcosa che non fosse acqua”.
Ogni mattina i soldati davano a ciascuno di loro 24 frustate. Le chiamavano sadicamente “prima colazione” o “tè caldo del mattino”. Ogni giorno a mezzogiorno poi li portavano all’aperto sotto il sole tropicale fino all’una. Dopo alcuni giorni di questo trattamento, il comandante li convocò e chiese loro se avevano cambiato idea. Risposero di no.
“Morirete nella vostra cella”, disse il comandante. “Anzi, puzzate già come cadaveri”.
Philip rispose: “Anche se moriamo sappiamo che Cristo, per cui combattiamo, ci risusciterà”.
Come fecero a sopravvivere a questa esperienza tremenda? Israel dice: “Durante tutta questa prova Philip e io ci incoraggiammo a vicenda. All’inizio io gli dissi: ‘Non temere. Qualunque cosa accada, Geova ci aiuterà. In quanto a me, niente mi spingerà ad arruolarmi. A costo di morire, le mie mani non imbracceranno una mitragliatrice’”. Philip disse che aveva preso la stessa decisione. Insieme i due ricordarono e commentarono diversi versetti biblici.
Un nuovo comandante decise di trasferire circa un centinaio di coscritti a Ibeme, un campo di addestramento nella zona di Mbano, in quello che oggi è lo stato Imo. Israel racconta ciò che accadde: “Il grande camion era pronto, e tutte le reclute erano a bordo. Mia moglie June corse dai soldati e implorò coraggiosamente che non ci portassero via. Fu respinta seccamente, e allora si inginocchiò vicino al camion e pronunciò una preghiera che concluse dicendo ‘Amen’ a voce alta. Poi il camion partì”.
Un mercenario comprensivo
Il camion militare giunse al campo di Ibeme il pomeriggio seguente. L’uomo che sembrava comandare era un mercenario israeliano. Quando vide com’erano malconci e deboli Philip e Israel, andò da loro e chiese come mai erano in tale orribile stato. I due spiegarono che erano testimoni di Geova e che avevano rifiutato l’addestramento militare. Il mercenario si rivolse con rabbia agli altri ufficiali presenti. “Il Biafra perderà sicuramente questa guerra”, disse. “Qualunque paese in guerra che perseguita i testimoni di Geova non può che perdere. Non dovete reclutare testimoni di Geova. Se un Testimone acconsente ad andare in guerra, bene. Ma se si rifiuta, lasciatelo stare”.
Il medico del campo chiese se i due Testimoni erano stati vaccinati e se avevano ricevuto il certificato medico di idoneità. I due non erano stati vaccinati né avevano tale certificato, al che il mercenario respinse tutti i coscritti e ordinò di riportarli a Umuacha.
“Andatevene, servite il vostro Dio”
In seguito, la moglie di Israel e la madre di Philip decisero di andare all’accampamento di Umuacha sperando di avere qualche notizia. Quando giunsero vicino all’accampamento, udirono del trambusto. Al cancello, la guardia le disse: “Testimone di Geova, la tua preghiera è stata esaudita. Il gruppo portato via tre giorni fa è stato mandato indietro”.
Quello stesso giorno Philip e Israel furono rilasciati. Il comandante disse a June: “Lo sa che è stata la sua preghiera a rendere inutili le nostre esercitazioni?” Poi disse a Israel e Philip: “Andatevene, servite il vostro Dio e continuate a rimanere leali al vostro Geova”.
Israel e Philip guarirono e proseguirono la loro attività cristiana. Dopo la guerra Israel predicò a tempo pieno per due anni e tuttora continua a prestare servizio come anziano cristiano. Philip prestò servizio come sorvegliante viaggiante per dieci anni e tuttora partecipa alla predicazione a tempo pieno. Anche lui è un anziano di congregazione.
Il rifiuto di offrire denaro per le armi
Zebulan Nxumalo e Polite Mogane sono due giovani ministri a tempo pieno del Sudafrica. Zebulan racconta: “Una domenica mattina un gruppo di uomini venne a casa nostra e chiese 20 rand (circa 10.000 lire) per acquistare armi. Rispettosamente chiedemmo loro di tornare la sera, poiché il nostro programma domenicale era troppo intenso per discutere la faccenda lì per lì. Con nostra sorpresa accettarono. Quella sera arrivarono 15 uomini. Dalle loro facce era chiarissimo che non avevano voglia di scherzare. Dopo esserci educatamente presentati, chiedemmo loro cosa volevano. Spiegarono che avevano bisogno di soldi per acquistare armi più grosse e più potenti con cui combattere la fazione politica opposta.
“Chiesi loro: ‘È possibile spegnere il fuoco con la benzina?’
“‘No, è impossibile’, risposero.
“Spiegammo che allo stesso modo, la violenza non avrebbe fatto che incoraggiare altra violenza e ritorsioni.
“Questa affermazione sembrò irritare diversi dei presenti. La loro richiesta ora assunse i toni della minaccia. ‘Questo scambio di idee è una perdita di tempo’, dissero rabbiosamente. ‘L’offerta è obbligatoria e non si discute. O pagate, o ne subirete le conseguenze!’
“A quel punto”, ricorda Zebulan, “proprio quando la situazione cominciava a sfuggire al controllo, entrò il loro capo, chiedendo qual era il problema. Noi spiegammo la nostra posizione, ed egli ascoltò con attenzione. Usammo come esempio la loro devozione alla loro causa politica. Chiedemmo loro come si aspettavano che si comportasse un soldato addestrato della loro organizzazione nel caso che venisse fatto prigioniero e incitato a scendere a compromessi. Dissero che quel soldato avrebbe dovuto essere pronto a morire per le sue convinzioni. Li lodammo per la loro risposta, e sorrisero; non capivano che ci avevano dato un’occasione d’oro per spiegare la nostra posizione. Spiegammo che noi siamo diversi dalle chiese della cristianità. Quali sostenitori del Regno di Dio, la nostra ‘costituzione’ si basa sulla Bibbia, la quale condanna ogni forma di omicidio. Per questo motivo non eravamo disposti a offrire nemmeno un centesimo per l’acquisto di armi.
“A questo punto, quando la conversazione aveva raggiunto il momento culminante, altre persone erano entrate alla spicciolata in casa nostra, così che alla fine ci trovammo a parlare a un vasto uditorio. Questi non si rendevano conto del fervore con cui pregavamo perché la conversazione avesse un esito positivo.
“Dopo che avemmo chiarito la nostra posizione, ci fu un lungo silenzio. Alla fine il capo parlò ai suoi uomini: ‘Signori, io comprendo la posizione di questi uomini. Se volessimo denaro per costruire una casa di riposo o se uno dei nostri vicini avesse bisogno di soldi per andare all’ospedale, questi uomini farebbero senz’altro un’offerta. Ma non sono disposti a darci soldi per uccidere. Personalmente, non sono contrario alle loro credenze’.
“A ciò tutti si alzarono. Ci stringemmo la mano e li ringraziammo per la loro comprensione. Quella che era cominciata come una situazione minacciosa che avrebbe potuto costarci la vita si era conclusa con una grande vittoria”.
Folle inferocite istigate da sacerdoti
Il Testimone polacco Jerzy Kulesza narra:
“Mio padre, Aleksander Kulesza, era un vero esempio in quanto a zelo e al mettere al primo posto gli interessi del Regno. Per lui servizio di campo, adunanze cristiane e studio personale e familiare erano davvero cose sacre. Non lo fermavano né le bufere di neve né il gelo né il forte vento né il caldo. D’inverno infilava gli sci, si metteva in spalla uno zaino pieno di pubblicazioni bibliche e se ne andava per un paio di giorni in qualche territorio isolato della Polonia. Doveva affrontare diversi pericoli, tra cui gruppi di guerriglieri violenti.
“A volte i sacerdoti aizzavano la popolazione contro i Testimoni, incitando azioni di folle inferocite. I Testimoni venivano derisi, presi a sassate, picchiati, ma tornavano a casa contenti di essersi lasciati insultare per Cristo.
“In quei primi anni dopo la seconda guerra mondiale le autorità non erano capaci di far rispettare la legge e mantenere l’ordine nel paese. Regnavano il caos e la distruzione. Di giorno governavano la polizia e la polizia segreta, mentre di notte operavano i guerriglieri e varie bande. Furti e rapine divennero molto diffusi, e c’erano frequenti linciaggi. I testimoni di Geova, indifesi, erano un facile bersaglio, specie quando venivano presi di mira da alcuni gruppi capeggiati da sacerdoti. Essi facevano irruzione nelle nostre case con il pretesto di difendere la fede cattolica dei loro padri. In tali occasioni mandavano in frantumi finestre, razziavano bestiame e distruggevano vestiti, cibo e pubblicazioni. Le Bibbie le gettavano nel pozzo”.
Martirio inaspettato
“Un giorno di giugno del 1946, prima che ci radunassimo per andare in bicicletta in un territorio isolato, un giovane fratello, Kazimierz Kądziela, venne da noi e parlò sottovoce a mio padre. Mio padre ci congedò ma non venne con noi, cosa che ci sorprese. Avremmo saputo dopo il perché. Tornati a casa, venimmo a sapere che la notte precedente la famiglia Kądziela era stata picchiata selvaggiamente, per cui mio padre era andato a soccorrere i fratelli e le sorelle che erano gravemente feriti.
“Quando poi entrai nella stanza in cui giacevano, ciò che vidi mi fece venire le lacrime agli occhi. Le pareti e il soffitto erano imbrattati di sangue. Sui letti giacevano persone fasciate, piene di lividi bluastri, gonfie, con costole, braccia e gambe rotte. Erano quasi irriconoscibili. La sorella Kądziela, la madre di quella famiglia, era in uno stato pietoso. Mio padre li stava curando, e prima di andarsene pronunciò delle parole molto significative: ‘Oh mio Dio, io sono un uomo così sano e robusto [aveva 45 anni e non si era mai ammalato], e non ho avuto il privilegio di soffrire per te. Perché doveva succedere a questa sorella anziana?’ Non sapeva cosa lo aspettava.
“Al calar del sole tornammo a casa, a tre chilometri di distanza. Un gruppo di 50 uomini armati aveva circondato la nostra casa. Fu portata lì anche la famiglia Wincenciuk, per cui eravamo in nove. A ciascuno di noi fu chiesto: ‘Sei un testimone di Geova?’ Quando rispondemmo di sì, ci picchiarono. Poi, a turno, due di quei macellai picchiarono mio padre chiedendogli se avrebbe smesso di leggere la Bibbia e di predicarla. Volevano sapere se sarebbe andato in chiesa e avrebbe confessato i suoi peccati. Lo schernirono dicendo: ‘Oggi ti ordineremo vescovo’. Mio padre non disse una parola, né si lasciò sfuggire un solo lamento. Sopportò le loro torture in silenzio, come una pecora al macello. All’alba, circa un quarto d’ora dopo che quei prepotenti religiosi se n’erano andati, morì massacrato di botte. Prima di andarsene, però, scelsero me come vittima successiva. A quel tempo avevo 17 anni. Mentre mi picchiavano persi conoscenza un paio di volte. Il mio corpo era nero per le botte dalla vita in su. Ci malmenarono per sei ore. Tutto perché eravamo testimoni di Geova!”
Il sostegno di una moglie fedele
“Ero in un gruppo di 22 Testimoni che furono rinchiusi per due mesi in una cella buia che misurava meno di dieci metri quadrati. Alla fine dei due mesi ci ridussero le razioni di cibo. Ogni giorno ci davano un po’ di pane e una tazza di caffè amaro. La notte potevamo stenderci a dormire sul freddo pavimento di cemento solo quando qualcuno veniva portato fuori per un interrogatorio.
“Fui messo in prigione cinque volte per attività cristiane, per un totale di otto anni. Ero trattato come un prigioniero speciale. A questo scopo c’era una nota nel mio dossier: ‘Molestate Kulesza fino a fargli passare per sempre la voglia di riprendere la sua attività’. Nondimeno, ogni volta che venivo rimesso in libertà mi offrivo per compiere il servizio cristiano. Le autorità resero la vita difficile anche a mia moglie, Urszula, e alle nostre due bambine. Ad esempio, per dieci anni l’ufficiale giudiziario prese parte del denaro che mia moglie guadagnava con fatica, dicendo che era una tassa su di me perché producevo pubblicazioni bibliche di nascosto. Confiscarono tutto tranne lo stretto necessario per sopravvivere. Sono grato a Geova per la mia moglie coraggiosa, che ha sopportato pazientemente con me tutti quei tormenti e che mi è sempre stata di vero sostegno.
“Qui in Polonia abbiamo assistito a una vittoria spirituale; ora a Nadarzyn, vicino a Varsavia, abbiamo una filiale legale della Watch Tower Society. Dopo decenni di persecuzione, ora ci sono più di 108.000 Testimoni, organizzati in 1.348 congregazioni”.
Perché così tanti martiri?
Le storie di integrità dei Testimoni di Geova del XX secolo riempirebbero letteralmente dei libri: migliaia di loro sono morti come martiri o hanno subìto prigionia e indescrivibili torture, stupro e saccheggio dei propri beni in paesi come Malawi e Mozambico, in Spagna sotto il fascismo, in Europa sotto il nazismo, nell’Europa orientale sotto il comunismo, e negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Ci si chiede: Perché? Il motivo è che capi politici e religiosi inflessibili non sono stati disposti a rispettare la coscienza addestrata secondo la Bibbia di cristiani sinceri che si rifiutano di imparare ad uccidere e che si mantengono estranei a qualsiasi attività politica. È proprio come predisse Cristo, nelle parole che leggiamo in Giovanni 15:17-19: “Queste cose vi comando, che vi amiate gli uni gli altri. Se il mondo vi odia, sapete che prima di odiare voi ha odiato me. Se faceste parte del mondo, il mondo avrebbe affetto per ciò che è suo. Ora poiché non fate parte del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo motivo il mondo vi odia”.
Nonostante tutta questa persecuzione mondiale, i testimoni di Geova sono aumentati di numero: nel 1943 erano 126.000 in 54 paesi, nel 1993 sono quasi 4.500.000 in 229 paesi. Sono stati vittoriosi anche di fronte alla morte. E sono decisi a continuare l’opera di istruzione che li contraddistingue annunciando la buona notizia del Regno fino a che Geova non dirà basta. — Isaia 6:11, 12; Matteo 24:14; Marco 13:10.
[Riquadro/Immagine a pagina 6]
Martirio in Germania
AUGUST DICKMANN aveva 23 anni quando il capo delle SS, Heinrich Himmler, ordinò che fosse fucilato davanti a tutti gli altri Testimoni nel campo di concentramento di Sachsenhausen. Gustav Auschner, un testimone oculare, scrisse: “Fucilarono il fratello Dickmann e ci dissero che saremmo stati fucilati tutti se non avessimo firmato la dichiarazione di ripudio della nostra fede. Saremmo stati portati alla cava di sabbia 30 o 40 alla volta e ci avrebbero fucilati tutti. Il giorno dopo le SS portarono a ognuno di noi due righe da firmare, altrimenti ci avrebbero fucilato. Avreste dovuto vedere il loro disappunto quando se ne andarono senza una sola firma. Avevano sperato di spaventarci con l’esecuzione pubblica. Ma noi avevamo più paura di dispiacere a Geova che delle loro pallottole. Non fucilarono più nessuno di noi in pubblico”.
[Riquadro/Immagine a pagina 9]
Il sacrificio supremo
A VOLTE per essere vittoriosi di fronte alla morte può essere necessario compiere il sacrificio supremo. Una lettera proveniente dalla congregazione Nseleni, nella parte settentrionale della provincia sudafricana del Natal, narra un tragico episodio: “Vi scriviamo questa lettera per informarvi che è venuto a mancare il nostro caro fratello Moses Nyamussua. Di mestiere faceva il saldatore e riparava automobili. In una circostanza un gruppo politico gli chiese di saldare i loro fucili di fabbricazione artigianale, cosa che lui si rifiutò di fare. Poi, il 16 febbraio 1992, costoro tennero una riunione ed ebbero uno scontro con la fazione opposta. La sera di quello stesso giorno, mentre tornavano dal combattimento, trovarono il fratello che se ne stava andando verso il centro commerciale. Lo uccisero a colpi di lancia. Il loro motivo? ‘Non hai voluto saldarci i fucili, e ora i nostri compagni sono morti nel combattimento’.
“Questo ha scosso molto i fratelli”, scrive il fratello Dumakude, il segretario della congregazione. “Ma”, aggiunge, “continueremo ugualmente il nostro ministero”.
[Riquadro/Immagine a pagina 11]
Martirio in Polonia
NEL 1944, quando le truppe tedesche si stavano ritirando in fretta e la linea del fronte si avvicinava a una cittadina della Polonia orientale, le forze d’occupazione costrinsero i civili a scavare trincee anticarro. I testimoni di Geova si rifiutarono di farlo. Stefan Kirył, un giovane testimone battezzato da soli due mesi, fu aggregato a una squadra di lavoro, ma anche lui, con coraggio, si rifiutò di violare la neutralità. Furono presi vari provvedimenti per infrangere la sua lealtà.
Lo legarono nudo a un albero nella palude per esporlo agli attacchi delle zanzare e di altri insetti. Stefan sopportò questa e altre torture, dopo di che lo lasciarono andare. Quando però un alto ufficiale ispezionò la squadra di lavoro, qualcuno gli riferì che c’era un uomo che non avrebbe mai ubbidito ai suoi ordini. A Stefan fu ordinato per tre volte di scavare la trincea. Egli si rifiutò persino di prendere in mano il badile. Gli spararono. Centinaia di astanti lo conoscevano di persona. Il suo martirio divenne una testimonianza della grande forza che Geova può dare.
[Immagine a pagina 7]
Ananii Grogul
[Immagine a pagina 10]
Jerzy Kulesza