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  • Il difficile compito di assistere gli infermi

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  • Il difficile compito di assistere gli infermi
  • Svegliatevi! 1997
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  • “Era molto imbarazzante”
  • “Avevo paura che se non stavamo attenti . . .”
  • “Forse vi affliggete pensando a come erano un tempo”
  • “Mi sentivo respinta, arrabbiata”
  • “Mi sento in colpa”
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Svegliatevi! 1997
g97 8/2 pp. 3-6

Il difficile compito di assistere gli infermi

“A VOLTE avrei voluto sottrarmi al difficile compito. Ma lui aveva più che mai bisogno di me. A volte mi sentivo molto sola”. — Jeanny, che curò per 18 mesi il marito di 29 anni finché morì per un tumore al cervello.a

“Qualche volta mi irrito con la mamma e poi sono disgustata di me stessa. Quando non ce la faccio mi sento un disastro”. — Rosa, che ha 59 anni e ha assistito la fragile madre novantenne, costretta a letto.

La notizia di una malattia cronica o terminale può essere terribile per la famiglia e gli amici. “Al momento della diagnosi ogni famiglia si sente sola. Forse non conoscono nessun altro che abbia avuto questo problema”, dice Jeanne Munn Bracken in Children With Cancer (Bambini col cancro). Inoltre spesso sono “intontiti e increduli”, come Elsa quando seppe che la sua cara amica Betty di 36 anni aveva il cancro. Sue, il cui padre era infermo, provò “un senso di vuoto e nausea” quando alla fine si rese conto che il padre stava per morire di cancro.

Familiari e amici possono d’un tratto trovarsi a dover accettare il compito di assistere il malato, di provvedere alle sue necessità fisiche ed emotive. Forse devono preparare pasti nutrienti, somministrare medicinali, portarlo dal medico, intrattenere chi gli fa visita, scrivere lettere per lui e fare molte, molte altre cose. Spesso queste attività si assommano a un programma già pieno.

Ma via via che la condizione del paziente peggiora, il lavoro di assistenza diventa sempre più impegnativo. Cosa potrebbe includere? “Tutto!”, esclama Elsa a proposito dell’amica Betty costretta a letto. “Lavarla e darle da mangiare, aiutarla quando vomita e vuotare i sacchetti dell’urina”. Kathy, pur svolgendo un lavoro a tempo pieno, doveva curare la madre sofferente. Sue, già menzionata, doveva “misurare ogni mezz’ora la temperatura [al padre] e prenderne nota, fargli delle spugnature quando la temperatura saliva e cambiargli gli indumenti e le lenzuola ogni poche ore”.

La qualità dell’assistenza che il paziente riceve dipenderà in gran parte dalla condizione di chi lo assiste. Eppure i sentimenti e i bisogni di chi bada al malato vengono spesso trascurati. Se l’assistenza causasse solo mal di schiena e spalle affaticate, sarebbe già abbastanza difficile. Ma, come confermeranno molti, l’assistenza costa moltissimo sul piano emotivo.

“Era molto imbarazzante”

“Studi in merito descrivono molte volte l’angoscia derivante dal comportamento strano, imbarazzante [dell’infermo], e dai suoi sfoghi verbali”, riferisce una rivista di gerontologia (The Journals of Gerontology). Per esempio, Gillian descrive cosa accadde quando a un’adunanza cristiana un’amica chiese di salutare la sua vecchia madre. “La mamma sembrava assente e non rispose”, ricorda con tristezza Gillian. “Era molto imbarazzante e mi fece venire le lacrime agli occhi”.

“È una delle cose più difficili da sopportare”, dice Joan, il cui marito è affetto da demenza. “Ciò lo rende alquanto indifferente all’etichetta”, essa spiega. “Quando mangiamo fuori con altri, a volte si avvicina agli altri tavoli della sala da pranzo, assaggia la marmellata e poi rimette il cucchiaino usato nel recipiente. Quando facciamo visita ai vicini, magari sputa sul sentiero del giardino. È molto difficile liberarmi del pensiero che gli altri probabilmente parlano di queste abitudini e forse lo considerano terribilmente maleducato. Tendo a chiudermi in me stessa”.

“Avevo paura che se non stavamo attenti . . .”

Prendersi cura di una persona cara gravemente ammalata può essere un’esperienza spaventosa. Chi la assiste può avere paura di quello che accadrà man mano che la malattia peggiora, forse anche paura che il suo caro muoia. Può anche temere di non avere la forza o la capacità di soddisfare i bisogni dell’infermo.

Elsa descrive così la ragione del suo timore: “Avevo paura di far male a Betty, aggravando in tal modo la sua sofferenza, o di fare qualcosa che potesse abbreviarle la vita”.

A volte i timori dell’infermo diventano i timori di chi lo assiste. “Mio padre aveva un gran timore di soffocare e a volte era spaventatissimo”, confidò Sue. “Avevo paura che se non stavamo attenti potesse soffocare: la cosa che più temeva”.

“Forse vi affliggete pensando a come erano un tempo”

“È normale che chi si prende cura di una persona cara che ha una malattia cronica si affligga”, afferma il libro Caring for the Person With Dementia (Assistere un demente). “Via via che la malattia peggiora, forse soffrite per la perdita di un compagno e di un rapporto che era importante per voi. Forse vi affliggete pensando a come erano un tempo”.

Jennifer descrive come influì sulla famiglia il costante declino della salute della madre: “Eravamo addolorati. Ci mancava la sua vivace conversazione. Eravamo molto tristi”. Gillian spiega: “Non volevo che mia madre morisse, e non volevo che soffrisse. Non facevo altro che piangere”.

“Mi sentivo respinta, arrabbiata”

Chi assiste un infermo forse si chiede: ‘Perché doveva capitare proprio a me? Perché gli altri non mi aiutano? Non vedono che non ce la faccio? L’infermo non può cooperare di più?’ A volte chi presta assistenza può essere molto arrabbiato per quelle che sembrano ingiuste e crescenti pretese dell’infermo e di altri familiari. Rosa, menzionata nell’introduzione, dice: “Perlopiù sono arrabbiata con me stessa. Ma la mamma dice che mi si legge in faccia”.

Su chi si occupa di un infermo può gravare il peso delle frustrazioni e della rabbia dell’infermo stesso. Nel libro Living With Cancer (Avere il cancro), il dott. Ernest Rosenbaum spiega che alcuni malati “possono a volte avere momenti di rabbia e di depressione che cercheranno di riversare sulla prima persona che capita . . . Questa rabbia di solito si manifesta sotto forma di irritazione per cose insignificanti a cui in momenti normali il paziente non penserebbe neanche”. Si capisce che questo può sottoporre a ulteriore sforzo i nervi già tesi dei familiari che fanno del loro meglio per curarlo.

Maria, per esempio, assisteva l’amica morente in modo encomiabile. Ogni tanto, però, l’amica sembrava ipersensibile e traeva conclusioni sbagliate. “Era molto tagliente e scortese, mettendo in imbarazzo i suoi cari”, spiega Maria. Come influì ciò su Maria? “Sul momento pare di ‘capire’ il malato. Ma poi ripensandoci mi sentivo respinta, arrabbiata, insicura, e non disposta a mostrare il necessario amore”.

Uno studio pubblicato nella già citata rivista di gerontologia concludeva: “L’ira può raggiungere un alto livello in situazioni del genere [e] a volte determina effettiva o probabile violenza”. I ricercatori hanno riscontrato che fra coloro che assistevano infermi quasi 1 su 5 temeva di poter diventare violento. E più di 1 su 20 era diventato effettivamente violento nei confronti dell’infermo.

“Mi sento in colpa”

Molti che assistono infermi sono afflitti da sensi di colpa. Qualche volta la colpa segue da vicino la rabbia, vale a dire, si sentono in colpa perché a volte si arrabbiano. Simili sentimenti possono logorarli a tal punto da portarli a pensare di non farcela più.

In certi casi non c’è altra alternativa che ricoverare il paziente in un istituto o in un ospedale. Questa decisione può essere traumatica e può turbare profondamente chi lo assisteva. “Quando alla fine fummo costretti a portare la mamma in una casa di riposo, ebbi la sensazione di tradirla, di abbandonarla”, dice Jeanne.

Sia che il paziente sia ospedalizzato o no, i suoi cari forse si sentono colpevoli di non fare abbastanza per lui. Elsa ha detto: “Spesso mi dispiaceva di avere così poco tempo. A volte la mia amica non mi lasciava proprio andare”. Ci può essere anche la preoccupazione di trascurare altre responsabilità familiari, specie se chi assiste l’infermo passa molto tempo all’ospedale o deve lavorare di più per poter pagare i conti sempre più salati. “Devo lavorare per contribuire a coprire le spese”, si lamentava una madre, “eppure mi sento in colpa perché non posso essere a casa per occuparmi dei figli”.

È ovvio che chi assiste un infermo ha estremo bisogno di aiuto, specie dopo che l’assistito è morto. “La mia responsabilità più grave [dopo la morte di un paziente] . . . è alleviare i sensi di colpa, spesso inespressi, di chi lo assisteva”, dice il dott. Fredrick Sherman, di Huntington (New York).

Se questi sentimenti rimangono inespressi, potrebbero nuocere sia a chi assiste che a chi è assistito. Cosa possono dunque fare coloro che si prendono cura di un infermo per vincere questi sentimenti? E cosa possono fare altri — familiari e amici — per aiutarli?

[Nota in calce]

a Alcuni nomi sono stati cambiati.

[Riquadro a pagina 5]

Pensate anche a chi presta assistenza!

“SAPPIAMO che l’80% dell’assistenza agli anziani in casa viene prestata da donne”, dice Myrna I. Lewis, ricercatrice presso la facoltà di medicina sociale della Mount Sinai Medical School di New York.

Uno studio sulle donne che assistono un infermo, pubblicato in una rivista di gerontologia,b indicava che il 61 per cento di loro dice di non ricevere nessun aiuto da familiari o amici. E più della metà (il 57,6 per cento) ha detto che sul piano emotivo non riceve abbastanza aiuto dal marito. Nel libro Children With Cancer Jeanne Munn Bracken fa notare che mentre la madre può addossarsi gran parte del peso dell’assistenza, “il padre forse si immerge nel suo lavoro”.

Comunque la dottoressa Lewis dice che una parte notevole dell’assistenza viene prestata da uomini. Per esempio, i mariti con la moglie affetta dal morbo di Alzheimer sono un gruppo abbastanza numeroso. E certo non sono immuni dallo stress di assistere una persona cara ammalata. “Questi uomini sono forse i più vulnerabili di tutti”, prosegue la Lewis, “perché di solito sono più anziani della moglie e forse loro stessi hanno poca salute. . . . Quasi tutti non sono esperti negli aspetti pratici dell’assistenza”.

La famiglia deve guardarsi dalla tendenza di sovraccaricare chi sembra svolga bene questo difficile compito. “Spesso un particolare membro della famiglia si assume questo compito, a volte ripetutamente”, dice il libro Care for the Carer (Assistere chi presta assistenza). “Un’alta percentuale è costituita da donne che stanno già invecchiando loro stesse. . . . Inoltre generalmente si considera che sia ‘naturale’ che le donne si occupino degli infermi . . ., ma la famiglia e gli amici dovrebbero pensare anche a loro”.

[Nota in calce]

b The Journals of Gerontology; la gerontologia è definita “scienza che studia l’invecchiamento e i problemi degli anziani”.

[Immagine a pagina 6]

Chi assiste un infermo ha bisogno di aiuto per vincere i sensi di colpa e la rabbia

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