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Ausiliario per capire la Bibbia
ad p. 507

Gentilezza

La gentilezza è strettamente legata a umiltà, mansuetudine, mitezza e ragionevolezza. “Umiltà” si riferisce alla valutazione di se stessi, “mansuetudine” all’atteggiamento della persona nei suoi rapporti con Dio e con l’uomo, e “gentilezza” al modo di trattare gli altri. La gentilezza è una maniera o disposizione mite. “Ingentilire” significa temperare, placare o calmare qualsiasi cosa uno faccia, come parlare, agire, ecc.

La gentilezza è l’opposto della durezza o asprezza. La persona gentile non è chiassosa, rumorosa o smodata. Nel testo greco di Westcott e Hort il termine nèpioi (pl. di nèpios) che ricorre in I Tessalonicesi 2:7 è tradotto “gentili” (NM). Altre volte è tradotto “bambini”, come in Matteo 21:16. In altri testi greci in I Tessalonicesi 2:7 ricorre il termine èpios, che ha significato simile a nèpios e dà l’idea di mitezza, affabilità, e può anche essere tradotto “gentile”. (II Tim. 2:24) L’Expository Dictionary of New Testament Words di Vine spiega che il termine “era spesso usato da scrittori greci per descrivere il comportamento proprio di una nutrice nei confronti di bambini difficili o di un insegnante con scolari refrattari, o di genitori verso i propri figli”.

NON È DEBOLEZZA

La gentilezza non è segno di debolezza. Ci vuole forza di carattere per essere gentili con gli altri, e per placare o per non offendere i loro sentimenti, specie quando si è provocati. Davide, uomo di guerra, a motivo del suo amore paterno ordinò a Gioab di trattare gentilmente il suo figlio ribelle Absalom. (II Sam. 18:5, dove ricorre il termine ebraico ’at, che indica un gesto gentile o conciliante). L’apostolo Paolo descrive il comportamento suo e dei suoi compagni nel servire i nuovi convertiti di Tessalonica dicendo: “Divenimmo gentili [gr. nèpioi, lett. “bambini”] in mezzo a voi, come quando una madre che alleva i propri figli ne ha tenera cura”. Questo a motivo del vero affetto, e della preoccupazione di non nuocere alla loro crescita spirituale. (I Tess. 2:7, 8) Paolo non era un debole, com’è dimostrato dalla sua capacità di parlare con molto vigore quando ce n’era bisogno, come quando scrisse la prima e la seconda lettera canonica alla congregazione cristiana di Corinto. Inoltre fece notare che la gentilezza è un requisito del servitore di Dio, specie di chi ha una posizione di responsabilità come sorvegliante. — II Tim. 2:24.

FORZA UNIFICATRICE

Com’è piacevole e come contribuisce alla pace chi parla e agisce con gentilezza! Tale persona è avvicinabile, non scostante, e i suoi modi tendono a edificare spiritualmente altri. Durezza, asprezza, chiasso e volgarità dividono e allontanano. La gentilezza invece attira e unisce. Di Geova è detto che raduna i suoi agnelli e li porta in seno (cioè fra le ampie pieghe della parte superiore dell’abito, dove i pastori a volte portavano gli agnelli). — Isa. 40:11.

FALSA GENTILEZZA

Tono di voce e maniere garbate, il parlare ad esempio con voce melliflua, non sempre dimostrano vera gentilezza. Questa è una qualità che per essere davvero sincera deve venire dal cuore, come sono sinceri nella loro gentilezza i bambini (dal significato comune del termine nèpioi). Nell’antichità il servitore di Dio Giobbe, mentre soffriva per mano di Satana in una prova della sua integrità a Dio, venne criticato duramente da tre compagni. Essi lo accusavano di aver peccato in segreto, di essere malvagio e ostinato, e insinuavano che fosse anche apostata e che i suoi figli fossero morti per volere di Dio a motivo della loro malvagità. Eppure uno dei tre, Elifaz, disse a Giobbe: “Non sono le consolazioni di Dio abbastanza per te, o una parola a te pronunciata gentilmente?” (Giob. 15:11) Quindi almeno parte delle loro parole forse furono pronunciate in tono dolce, ma non erano veramente gentili, perché il contenuto era duro.

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