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  • Pilato
  • Ausiliario per capire la Bibbia
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  • PROCESSO DI GESÙ
  • DESTITUZIONE E MORTE
  • Pilato
    Perspicacia nello studio delle Scritture, volume 2
  • Ponzio Pilato, politicante romano
    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1972
  • Pilato: Il governante che giudicò il Signore
    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1977
  • Chi era Ponzio Pilato?
    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 2005
Altro
Ausiliario per capire la Bibbia
ad pp. 989-990

Pilato

Procuratore romano della Giudea durante il ministero terreno di Gesù. (Luca 3:1) Dopo la deposizione di Archelao, figlio di Erode il Grande, re della Giudea, l’imperatore affidò il governo della provincia a dei procuratori. Il quinto di questi fu Pilato, nominato da Tiberio nel 26 E.V., che rimase in carica per dieci anni.

Poco si sa della storia personale di Ponzio Pilato. Secondo alcuni il nome Ponzio farebbe pensare a una parentela con Ponzio Telesino, famoso generale dei sanniti, popolazione stanziatasi nella parte montuosa dell’Italia meridionale. Il cognomen, nome della famiglia, Pilato potrebbe indicare la discendenza da un militare, ammesso che derivi da pilum, latino per “giavellotto”. Oppure potrebbe identificarlo con uno schiavo affrancato o un suo discendente, ammesso che derivi dal latino pileus, berretto che di solito veniva indossato dagli schiavi quando venivano affrancati. Il solo periodo della sua vita che abbia qualche importanza storica è quello del suo mandato in Giudea. L’unica iscrizione conosciuta che porti il suo nome (e quello di Tiberio) è stata scoperta nel 1961 a Cesarea, sede del governo romano della Giudea.

Poiché rappresentava l’imperatore, il procuratore era la massima autorità della provincia e poteva far eseguire la pena di morte. Secondo quanti sostengono che il Sinedrio poteva condannare a morte, per essere valida la condanna emessa dalla corte ebraica doveva essere ratificata dal procuratore. (Confronta Matteo 26:65, 66; Giovanni 18:31). Dato che Cesarea era la residenza ufficiale del procuratore romano (confronta Atti 23:23, 24), vi era stanziato il grosso delle truppe romane, mentre un contingente più piccolo presidiava Gerusalemme. Abitualmente però durante le feste (come la Pasqua) il procuratore si trasferiva a Gerusalemme e portava con sé rinforzi militari. Il fatto che la moglie di Pilato fosse con lui in Giudea (Matt. 27:19) era reso possibile da un precedente mutamento della politica romana nei confronti dei procuratori in zone pericolose.

Il mandato di Pilato non fu pacifico. Secondo lo storico ebreo Giuseppe Flavio, i suoi rapporti con i sudditi ebrei erano iniziati male. Pilato aveva mandato di notte a Gerusalemme soldati romani che portavano stendardi con l’effigie dell’imperatore. Questo provocò grande risentimento; una delegazione di ebrei si recò a Cesarea per protestare contro la presenza degli stendardi e chiedere che venissero ritirati. Dopo cinque giorni di discussione, Pilato cercò di spaventare i delegati minacciandoli di morte, ma il loro deciso rifiuto di cedere lo indusse ad accogliere la loro richiesta. — Antichità giudaiche, Libro XVIII, cap. III, 1.

Filone, scrittore ebreo di Alessandria d’Egitto del I secolo E.V., descrive un’analoga azione di Pilato che suscitò proteste: questa volta si trattava di scudi d’oro con i nomi di Pilato e di Tiberio, che Pilato fece portare nella sua residenza a Gerusalemme. Gli ebrei fecero ricorso all’imperatore a Roma, e Pilato ricevette l’ordine di riportare gli scudi a Cesarea. — De Legatione ad Gaium, XXXVIII.

Giuseppe Flavio cita ancora un altro incidente. Per costruire un acquedotto e portare l’acqua a Gerusalemme da una distanza di circa 40 km, Pilato attinse denaro dal tesoro del tempio di Gerusalemme. Grandi folle protestarono contro questa azione durante una visita di Pilato alla città. Pilato mandò soldati in abiti civili a mescolarsi tra la folla e, a un segnale convenuto, attaccarla facendo morti e feriti fra gli ebrei. (Antichità giudaiche, Libro XVIII, cap. III, 2; Guerra giudaica, Libro II, cap. IX, 4) L’impresa a quanto pare fu portata a termine. Spesso è stata avanzata l’ipotesi che in occasione di quest’ultimo conflitto Pilato avesse ‘mischiato il sangue dei galilei coi loro sacrifici’, com’è riportato in Luca 13:1. Questa espressione sembra indicare che quei galilei siano stati uccisi proprio nell’area del tempio. Non è possibile stabilire se si trattava dello stesso incidente descritto da Giuseppe Flavio o di un’altra occasione. Comunque, dato che i galilei erano sudditi di Erode Antipa, tetrarca della Galilea, quell’eccidio può avere almeno contribuito all’inimicizia esistente fra Pilato ed Erode fino all’epoca del processo di Gesù. — Luca 23:6-12.

PROCESSO DI GESÙ

Il 14 nisan del 33 E.V., all’alba, le autorità ebraiche portarono Gesù da Pilato. Poiché non potevano entrare in casa di un governante gentile, Pilato uscì da loro e chiese quale accusa muovessero contro Gesù. Fra le accuse c’erano attività sovversiva, incitamento a non pagare le tasse e il fatto che Gesù si era dichiarato re, quindi rivale di Cesare. Quando fu detto di prendere Gesù e giudicarlo loro stessi, gli accusatori risposero che la legge non consentiva loro di eseguire una condanna a morte. Pilato allora portò Gesù all’interno del palazzo e lo interrogò circa queste accuse. Tornato dagli accusatori, Pilato annunciò di non aver trovato colpa alcuna nell’accusato. Le incriminazioni non cessavano e, saputo che Gesù era della Galilea, Pilato lo mandò da Erode Antipa. Erode, contrariato che Gesù rifiutasse di compiere qualche segno, lo sottopose a maltrattamenti e scherni e lo rimandò da Pilato.

I capi dei giudei e la popolazione furono nuovamente convocati e Pilato rinnovò i tentativi per evitare di condannare a morte un innocente, chiedendo alla folla se volevano la liberazione di Gesù secondo la consuetudine di rimettere in libertà un prigioniero in occasione della Pasqua. Ma la folla, aizzata dai capi religiosi, chiese a gran voce la liberazione di Barabba, ladro, assassino e sedizioso. I ripetuti tentativi di Pilato per assolvere l’accusato non fecero che aumentare le grida che Gesù fosse messo al palo. Temendo un tumulto e volendo placare la folla, Pilato cedette ai loro desideri, e si lavò le mani come per purificarle dalla colpa di spargimento di sangue. Poco prima di ciò la moglie di Pilato l’aveva avvertito di essere turbata da un sogno relativo a quel “giusto”. — Matt. 27:19.

Pilato allora fece flagellare Gesù e i soldati gli misero sul capo una corona di spine e gli fecero indossare un manto regale. Ancora una volta Pilato si presentò alla folla, ripeté che non aveva trovato colpa alcuna in Gesù e lo presentò loro col manto e la corona di spine. Al grido di Pilato, “Ecco l’uomo!”, i capi del popolo ripeterono la richiesta che fosse messo al palo, muovendogli ora per la prima volta l’accusa di bestemmia. L’allusione al fatto che Gesù si dichiarava figlio di Dio accrebbe l’apprensione di Pilato, che lo fece rientrare per interrogarlo di nuovo. L’ultimo tentativo per rimetterlo in libertà provocò da parte degli oppositori ebrei la minaccia che Pilato avrebbe potuto essere accusato di opporsi a Cesare. Udito ciò Pilato, presentando Gesù, si sedette in tribunale. Il grido di Pilato, “Ecco, il vostro re”, non fece che accrescere il clamore perché venisse messo al palo e provocare la dichiarazione: “Non abbiamo nessun re eccetto Cesare”. Pilato allora consegnò loro Gesù perché fosse messo al palo. — Matt. 27:1-31; Mar. 15:1-15; Luca 23:1-25; Giov. 18:28-40; 19:1-6.

Scrittori ebrei, come Filone, descrivono Pilato come un uomo inflessibile, arrogante e spietato. Tuttavia, può darsi che le misure energiche che il procuratore prese contro gli ebrei fossero in gran parte dovute alle loro stesse azioni. Ad ogni modo i Vangeli permettono di capire la sua mentalità. Il suo modo di affrontare le cose era tipico delle autorità romane, le sue parole brusche e concise. Pur manifestando esteriormente l’atteggiamento scettico del cinico, come nel dire “Che cosa è verità?”, mostrò tuttavia timore, probabilmente timore superstizioso, saputo che aveva a che fare con uno che affermava di essere figlio di Dio. Anche se ovviamente non era un tipo condiscendente, come uomo politico rivelò mancanza di integrità. Si preoccupava prima di tutto della sua posizione, di quello che i suoi superiori avrebbero detto se avessero avuto notizia di nuove agitazioni nella sua provincia, temendo di apparire troppo indulgente verso persone accusate di sedizione. Pilato riconobbe l’innocenza di Gesù e l’invidia che motivava gli accusatori. Ma cedette alla folla lasciando che venisse uccisa una vittima innocente piuttosto che rischiare di danneggiare la propria carriera politica.

Poiché faceva parte delle “autorità superiori”, Pilato esercitava il suo potere per divina tolleranza. (Rom. 13:1) Era responsabile per la decisione presa, responsabilità che l’acqua non poteva lavare via. Il sogno della moglie era evidentemente di origine divina, come lo furono il terremoto, l’insolita oscurità e la lacerazione della cortina che avvennero quel giorno. (Matt. 27:45, 51-54; Luca 23:44, 45) Il sogno della moglie avrebbe dovuto avvertire Pilato che non si trattava di un processo comune, di un accusato comune. Tuttavia, come disse Gesù, chi l’aveva consegnato a Pilato ‘aveva commesso un peccato maggiore’. (Giov. 19:10, 11) Giuda, che aveva tradito inizialmente Gesù, era stato definito “figlio di distruzione”. (Giov. 17:12) I farisei che erano colpevoli di complicità nel complotto per mettere a morte Gesù erano stati dichiarati meritevoli del “giudizio della Geenna”. (Matt. 23:13, 33; confronta Giovanni 8:37-44). E in modo particolare il sommo sacerdote, quale capo del Sinedrio, era responsabile di fronte a Dio di aver consegnato il Figlio di Dio a questo governante gentile perché fosse messo a morte. (Matt. 26:63-66) La colpa di Pilato non fu uguale alla loro; eppure la sua azione fu estremamente riprovevole.

L’avversione di Pilato per i promotori del crimine fu evidente dall’insegna che pose al di sopra di Gesù al palo, identificandolo quale “Re dei Giudei”, e anche dal suo secco rifiuto di modificarla, dicendo: “Quello che ho scritto, ho scritto”. (Giov. 19:19-22) Quando Giuseppe di Arimatea chiese la salma, Pilato, dopo aver manifestato la precisione di un funzionario romano assicurandosi che Gesù fosse morto, acconsentì alla richiesta. (Mar. 15:43-45) La preoccupazione dei capi sacerdoti e dei farisei per un’eventuale sottrazione del cadavere provocò la recisa risposta: “Avete la guardia. Andate, rendetelo sicuro come sapete”. — Matt. 27:62-65.

DESTITUZIONE E MORTE

Giuseppe Flavio riferisce che Pilato fu poi destituito in seguito alle accuse presentate dai samaritani al suo superiore immediato, Lucio Vitellio, legato di Siria. La protesta verteva intorno all’uccisione da parte di Pilato di diversi samaritani, che un impostore aveva indotti a radunarsi presso il monte Gherizim nella speranza di scoprire presunti tesori sacri nascostivi da Mosè. Vitellio mandò Pilato a Roma per presentarsi a Tiberio e mise al suo posto Marcello. Tiberio morì nel 37 E.V. mentre Pilato era in viaggio per Roma. La storia non fornisce informazioni attendibili sul risultato definitivo del suo processo. Uno storico cristiano, il vescovo Eusebio, della fine del III e inizio del IV secolo, sostiene che Pilato sia stato costretto a suicidarsi sotto Caligola, successore di Tiberio.

[Figura a pagina 989]

Frammento di iscrizione rinvenuto a Cesarea: nella seconda riga si legge “[Pon]tius Pilatus”

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