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  • Possono i cristiani imparare dall’induismo?
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1954
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  • INDUISMO E MORALITÀ
  • L’INDUISMO, MALEDIZIONE ECONOMICA
  • LA SUPERIORE SAPIENZA DELLA BIBBIA
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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1954
w54 1/10 pp. 601-604

Possono i cristiani imparare dall’induismo?

È IL Cristianesimo soltanto un’altra religione? Possono istruiti ministri cristiani imparare tanto dall’Induismo quanto gli Indù potrebbero imparare dal Cristianesimo? Secondo certi capi religiosi degli Stati Uniti, le risposte a queste domande dovrebbero essere Sì. Per esempio, Sheldon Shepard, ministro della Chiesa Universalista Wilshire di Hollywood, scrivendo sul tema “Cominciate da voi stessi”a inizia citando il sermone del monte di Gesù riguardo all’esortazione di non giudicare gli altri e poi per sostenerlo cita il Taoismo, il Giainismo, il Buddismo, il Confucianismo e l’Induismo. Ecco la tipica espressione della sapienza indù ch’egli cita: “Ognuno dovrebbe elevarsi da sé”.

La stessa mentalità ha Floyd Rose, professore di religioni mondane e di storia ecclesiastica presso la scuola di religione dell’Università di California. Nel suo articolo “Oltre il concetto di tribù”b egli esprime l’opinione che l’atteggiamento della Cristianità di ritenersi superiore alle altre religioni sia una specie di mentalità di tribù e che sia tanto realistico inviare missionari cristiani in Giappone quanto lo sia inviare missionari indù in America. Poi cita con approvazione il sacerdote cattolico romano Gathier, che dice (In Cross Currents, inverno 1953): “Gli Indù potrebbero domandarci . . . se anche noi non abbiamo qualche cosa da imparare dalla millenaria saggezza dell’India. Senza esitazione io risponderei che abbiamo molto da imparare. . . . L’Induismo c’invita anzitutto alla concentrazione, a rivolgere il pensiero al proprio io. Esso spera di trovare la verità finale in noi stessi, non nei libri. . . . Quando è dovutamente compreso, il contatto col pensiero indù può essere un seme di vita”.

Si trova la verità in noi stessi piuttosto che nei libri? Possiamo noi elevarci da noi stessi? Ha il Cristiano molto da imparare dall’Induismo? Poiché Cristo Gesù ben disse: “Dai loro frutti li riconoscerete,” vediamo quali frutti in realtà questa millenaria saggezza dell’Induismo portò prima del ventesimo secolo.

INDUISMO E MORALITÀ

Citiamo una conferenza tenuta dal dott. Pentecost al Parlamento Mondiale delle Religioni tenuta a Chicago, Illinois, nel 1893, conferenza ch’egli fu portato a tenere in seguito agli attacchi di delegati dell’Oriente contro la condizione della Cristianità. Dopo aver notato che i loro templi orientali “sono autorizzati e stabiliti chiostri di un sistema d’immoralità e corruzione di cui non si conosce l’uguale in nessun paese dell’Occidente”, il dott. Pentecost continuò dicendo: “Potrei condurvi in diecimila templi, più o meno — forse più che meno — in ogni parte dell’India, ai quali sono addette da duecento a quattrocento sacerdotesse, la cui vita non è quello che dovrebbe essere.

“Ho veduto questo con i miei occhi, e nessuno lo nega in India. Se ne parlate ai Bramini, diranno che fa parte del loro sistema per il popolo comune. Tenete presente che questo sistema è l’istituzione autorizzata della religione indù. Basta solo vedere le abominevoli sculture che sono sui templi, sia degli Indù che dei Buddisti, gli odiosi simboli degli antichi sistemi fallici, gli oggetti più popolari che sono adorati in India, per constatare la corruzione delle religioni. Tenete presente che questi sono non soltanto tollerati, ma istituiti, governati e controllati dai sacerdoti della religione. Solo i dipinti impudichi e i quadri dell’antica Pompei possono paragonarsi in oscenità alle cose che si vedono apertamente dentro e alle entrate dei templi dell’India”.

Dopo aver osservato che, secondo il sistema di caste dell’India, non è mai riuscito a trovare “un singolo testo in nessuno dei libri sacri indù che giustifichi o per lo meno suggerisca la dottrina della ‘paternità di Dio e della fratellanza degli uomini’”, il dott. Pentecost prosegue dicendo: “Se pur ci fosse qualche sorta di fratellanza degli uomini in India il più negligente osservatore non esiterebbe a dire che nessuna associazione delle donne è da essi riconosciuta. Rispondano a questa dichiarazione gli indicibili orrori a cui sono sottoposte le donne indù dell’India.

“Finché il governo inglese non represse energicamente l’antica istituzione religiosa indù di Suttee, centinaia di vedove indù correvano ogni anno lietamente ai roghi funerei dei loro defunti mariti, abbracciando in tal modo le fiamme che bruciavano i loro corpi anziché rassegnarsi agli indicibili orrori e al vivente inferno della vedovanza indù. Raccontino i nostri amici indù quello che la loro religione ha fatto alla vedova indù, e specialmente alla vedova fanciulla, con la testa rasata come quella di un criminale, privata dei suoi ornamenti, vestita di cenci, ridotta a uno stato di schiavitù peggiore di tutto quello che si possa immaginare, resa serva e schiava di tutta la famiglia, e non di rado impiegata per peggiori e indescrivibili usi. A questo stato e condizione è ridotta la povera vedova con l’autorizzazione dell’Induismo. Solo due anni fa [nel 1891] fu fatto appello al governo britannico affinché emanasse una nuova e più rigorosa legge che ‘portasse l’età del consenso’ da dodici anni in sù, quando sarebbe legale che l’Indù consumasse il matrimonio con la moglie fanciulla. Gli ospedali cristiani, pieni di ragazzine rovinate appena uscite dalla loro infanzia, costituivano un fatto così atroce che il governo dovette intervenire per metter fine a questi crimini, che venivano perpetrati nel nome della religione. L’eccitazione in India fu tale in seguito a questo provvedimento da far temere lo scoppio di una rivoluzione religiosa che avrebbe condotto a un nuovo ammutinamento.“ — La battaglia di Harmaghedon (inglese), C. T. Russell, pagine 207-209.

Con questi frutti che cosa possono imparare i Cristiani dalla millenaria saggezza dell’Induismo? Quale miglioramento di sé stessi mediante la propria persona rappresenta questo? La concentrazione sul proprio io invece della saggezza contenuta nei libri può essere la filosofia dell’Induismo, ma sta di fatto che gli importanti miglioramenti che hanno avuto luogo in India, particolarmente dopo che fu pronunciato il suddetto discorso, non sono stati i risultati della “concentrazione” dell’Induismo ma quelli dell’influenza della Bibbia.

L’INDUISMO, MALEDIZIONE ECONOMICA

L’Induismo è stato una macchia per il popolo dell’India non soltanto moralmente ma anche economicamente e lo è tuttora. Finché il nuovo governo indiano non mise un premio per la testa delle scimmie, le scimmie mangiavano 2 milioni di dollari di alimenti al giorno e distruggevano altri tre miliardi di tonnellate di grano ogni anno. Le scimmie sono considerate sacre, ed erano perciò grasse e tenere mentre il popolo languiva e moriva di fame. I pavoni, che consumano molto prezioso grano, sono pure considerati sacri. Anche i serpenti sono ritenuti sacri e perfino pensare di ucciderli è considerato peccato, benché essi causino la morte di 50.000 indiani annualmente.

Secondo uno dei primi membri del maggior partito politico dell’India, “la protezione della vacca fa parte della cultura indiana e come tale . . . alla vacca dev’essere prestata ogni protezione anche se fa crollare l’economia del paese”. È ritenuto un peccato uccidere una vacca, sia essa vecchia, malata o se non c’è nessun guadagno facendola vivere. L’India vanta 215 milioni di capi di bestiame, ma muore di fame perché il bue ripugna al suo popolo a causa della religione.

Il karma ossia il fatalismo obbliga l’Indù a fare ciò che fece suo padre per quanto sia poco pratico. A causa del karma dieci avvocati eserciteranno la professione dove ne occorre uno soltanto; a causa del karma gli europei o gl’indiani benestanti avranno da sei a dieci domestici invece di due: quello che cucina non può preparare la tavola; quello che prepara la tavola non può pulire il pavimento; quello che pulisce il pavimento non può lavare i panni; quello che lava i panni non può lavare l’automobile, ecc. Perché non lo può? Il farlo significherebbe infrangere la casta, il delitto sociale dell’India. A proposito, l’India ha inoltre dieci milioni di mendicanti religiosi che non producono nulla.

Che l’attitudine mentale dell’Indù sia responsabile del miserevole stato dell’India si comprende da quello che scrisse Maurice Zinkin nell’edizione dell’India Quarterly di aprile-giugno 1952. Secondo lui molti paesi poco sviluppati vorrebbero avere prosperità materiale ma non sono disposti a mutare la loro attitudine mentale per render questo possibile. Dopo aver detto che l’indiano considera un avvocato o un semplice servitore civile più onorevole di un direttore commerciale o di un ingegnere, prosegue dicendo:

“L’attitudine riguardo al lavoro ha pure bisogno d’essere cambiata. Restando in contemplazione sotto un albero di cocco si sviluppa l’anima [?] meglio che non trasportando pietre per un nuovo impianto ferroviario, ma nei circoli sociali che mettono in risalto l’ozio e dove il lavoro è solamente una spiacevole necessità da effettuarsi il più rapidamente possibile, vi possono essere anime profonde — tuttavia non saranno mai ricchi. Se quello che vogliono i paesi poco sviluppati è diventare più ricchi, essi devono concentrarsi sul come diventare più ricchi; se, nel procedimento, essi perdono un po’ di grazia e attrattiva della loro vita, questo è un sacrificio che deve essere accettato. È ragionevole pagare un prezzo affinché i due terzi della loro popolazione che sono stati sempre tenuti ignoranti e affamati possano finalmente essere nutriti.

“Non si tratta del fatto che il contadino asiatico o l’uomo della tribù africana sia ignorante, benché di solito sia analfabeta. Si tratta piuttosto del fatto che la sua istruzione, basata sulla leggenda tradizionale, è inadeguata nella società moderna”. Si noti che il termine “leggenda tradizionale” significa effettivamente Induismo per quanto si riferisce all’indiano.

Il sig. Zinkin sostiene la cultura, ma secondo Nehru il primo ministro dell’India questa non fa che peggiorare le cose. Il Times di New York del 28 maggio 1953, parlando del suo appello al lavoro onesto, riferiva: “In un paese dove l’80 per cento della popolazione dipende da prodotti coltivati faticosamente con [antichi] metodi in un terreno infruttuoso, c’è un’insolita ribellione contro il lavoro ordinario che il sig. Nebru trova esasperante. Egli considera come uno degli aspetti più sconcertanti dell’India moderna il fatto che quasi tutti i contadini che ricevono un po’ di istruzione vogliono abbandonare la campagna e diventare un babu ossia un lavoratore col colletto bianco”. Egli raccomandò il “lavoro onesto” e condannò il concetto che “i più elevati fossero coloro che non fanno nulla”.

Che non è necessaria la semplice cultura ma un mutamento dell’attitudine mentale indù si comprende dalle ulteriori osservazioni del Sig. Zinkin: “L’occidente deve il progresso che gli è comunemente riconosciuto più che altro alla dottrina puritana che rese la parsimonia e l’esistenza tranquilla una virtù morale che piace a Dio. Non c’è alcuna credenza simile in nessun’altra società poco sviluppata”. Dove attinsero i Puritani quella dottrina? Dalla Bibbia.

Il Congresso degli Stati Uniti destinò due milioni di tonnellate di grano all’affamata India nel 1951, che recò un sollievo temporaneo. Dato quanto precede non si potrebbe chiedere: Fu l’India affamata a causa del suo cattivo tempo e dei flagelli d’insetti o a causa della sua cattiva religione? E non avrebbero perciò due milioni di Bibbie potuto fare di più per rimediare permanentemente la situazione invece dei due milioni di tonnellate di grano?

LA SUPERIORE SAPIENZA DELLA BIBBIA

Continuino pure il ministro universalista, il sacerdote cattolico romano ed il professore universitario di religione mondana e storia ecclesiastica a guardare all’Induismo per la sua “millenaria saggezza”. Il Cristiano che ha fede nella Bibbia, la Parola di Dio, e la comprende non commetterà tale errore. Egli sa che Geova Dio è la sorgente della vita, che la vita è il suo bene più caro, una benedizione e non una maledizione. (Sal. 36:9; 118:17; Rom. 6:23) Sa che seguendo una condotta saggia rende lieto il cuore di Geova. — Prov. 27:11.

Egli sa che la vera saggezza o verità non è innata o originata in se stesso, che ’non è in potere dell’uomo dirigere i suoi passi’, ma che tutto ciò può essere trovato nei libri, nei sessantasei libri della Bibbia. (Ger. 10:23; Giov. 17:17) Sa che la Bibbia è una luce per il suo sentiero. (Sal. 119:105) Da essa impara che Dio ha fatto da un uomo tutte le nazioni e che Dio non riconosce le distinzioni di caste. (Atti 10:34; 17:26) Sa che piuttosto che considerare alcuni animali inferiori come superiori all’uomo, Dio diede all’uomo il dominio sugli animali inferiori perché servissero i propositi dell’uomo, per il piacere della compagnia, per bestie da soma, e per cibo e vestimento. (Gen. 1:26; 3:21; 9:3) Sa che un marito dovrebbe trattare sua moglie con affetto, amandola come se stesso. (Efes. 5:28; 1 Piet. 3:7) Ed egli sa che la diligenza e la parsimonia piacciono a Dio e ch’egli condanna l’indolenza e lo sperpero. — Prov. 6:6; 18:9; 22:29.

Egli sa pure che per trasformare la propria personalità non occorre “concentrazione”, ma rinnovamento della mente con i pensieri di Dio, con un’accurata conoscenza della verità. (Matt. 16:23; Rom. 12:2; Col. 3:9, 10) E la prospettiva che gli dà gioia non è la completa estinzione o il nirvana, ma la speranza della vita eterna nel nuovo mondo di giustizia di Dio. — Giov. 17:3; 2 Piet. 3:13; Apoc. 21:4.

[Nota in calce]

a New Outlook, maggio 1953.

b New Outlook, maggio 1953.

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