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  • Domande dai lettori
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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1980
w80 15/4 p. 31

Domande dai lettori

● Sarebbe corretto in qualche circostanza pregare riguardo a qualcuno che è stato disassociato dalla congregazione cristiana?

Nel passato si è detto che tali preghiere non sarebbero state appropriate. E vi sono buone ragioni scritturali per andare cauti. Ma un consiglio biblico attinente indica che è opportuno considerare la situazione dell’individuo caso per caso anziché essere categorici.

Particolarmente I Giovanni 5:16, 17 ci aiuta ad afferrare il punto di vista di Dio. Vi è detto: “Se qualcuno vede il suo fratello commettere un peccato che non è mortale, deve chiedere e Dio gli darà la vita per quelli che commettono il peccato che non è mortale. C’è un peccato che è mortale. Non dico che dovrebbe pregare per quello. Ogni ingiustizia è peccato, e [tuttavia] c’è un peccato che non è mortale”. — The Riverside New Testament.

L’apostolo Giovanni menziona prima il “peccato che non è mortale”, o, come lo rende la Traduzione del Nuovo Mondo, “un peccato che non incorre nella morte”. Dato che siamo tutti imperfetti e ingiusti, tutti siamo colpevoli di peccato. (Sal. 51:5; Rom. 3:23; I Giov. 3:4) Chi pecca deve pentirsi e invocare in preghiera la grande misericordia di Dio. (I Giov. 1:8-10) Come mostra Giovanni, anche gli altri possono pregare per lui.

Poi Giovanni fa riferimento al ‘peccato mortale’, o “peccato che incorre nella morte”. Qual è? È il peccato per cui non c’è perdono; è “mortale” perché conduce alla “seconda morte”, la morte eterna. (Riv. 21:8) In precedenza Gesù aveva spiegato che si può praticare il peccato fino ad arrivare a peccare contro lo spirito santo, cosa per la quale non c’è perdono. (Matt. 12:31; Luca 12:10) In modo simile, l’apostolo Paolo mostrò che, se uno che conosce la verità di Dio pratica il peccato volontariamente, non sono più possibili pentimento e perdono. — Ebr. 6:4-6; 10:26, 27.

Giovanni ci dice di non pregare per chi ha commesso tale peccato “mortale”. Questo ci rammenta le parole di Dio circa gli israeliti, i quali erano talmente dediti a fare il male che egli avrebbe permesso ai babilonesi di portarli in esilio. Dio disse a Geremia: “Non pregare a favore di questo popolo, non alzare a loro favore grido d’implorazione o preghiera e non mi supplicare”. — Ger. 7:16-20; 14:11, 12.

È Dio, non noi sulla terra, a determinare se qualcuno ha peccato contro lo spirito santo. Tuttavia dalle ispirate parole di Giovanni possiamo capire che non dobbiamo pregare a favore di una persona che dà prova di praticare deliberatamente il peccato. Giovanni scrisse anche in II Giovanni 9-11 riguardo a persone che diffondevano idee non cristiane. Pregare a loro favore sarebbe stata un’offesa a Dio.

Dovremmo allora concludere che chi viene disassociato per non essersi pentito di un peccato ha probabilmente commesso il “peccato che incorre nella morte” circa il quale non si deve pregare? Non necessariamente. Ricordiamo che nel primo secolo, nella congregazione di Corinto, un uomo era caduto nell’immoralità. Per un certo tempo non se ne pentì e dovette perciò essere disassociato. (I Cor. 5:1, 9-13) Sembra comunque che col tempo si pentisse e venisse riassociato. (II Cor. 2:5-10) Questo indicherebbe che, anche se era stato disassociato, non aveva commesso il peccato che incorre nella morte, circa il quale i cristiani non devono pregare. La stessa cosa può capitare oggi.

Quando qualcuno viene disassociato, può non essere chiaro se il peccato ‘incorrerà nella morte’ o no. Ma col tempo si possono cominciare a vedere segni di pentimento e di conversione. (Confronta Atti 2:36-38; 3:19). Qualche persona intima può essere la prima ad accorgersene: per esempio un marito può notare qualcosa del genere nell’atteggiamento e nella condotta della moglie disassociata. Potrebbe perciò concludere che non sembra abbia commesso il peccato “mortale”, per cui egli potrebbe sentirsi spinto a pregare per lei. Potrebbe pregare che, se Geova che legge i cuori ritiene ci sia una base per perdonare l’errore di lei, allora sia fatta la volontà di Dio. Egli potrebbe anche esprimere a Dio la propria speranza che la moglie tragga forza dalla Bibbia così da superare la sua debolezza.

Anche se uno ritiene personalmente di poter pregare Dio riguardo a una persona disassociata, non sarebbe però appropriato farlo in preghiere pubbliche o di congregazione. Bisogna capire che altri che sentono tali preghiere possono non essere ancora a conoscenza dei segni di pentimento. Oppure potrebbero non essere ancora convinti che la persona non ha commesso un “peccato che incorre nella morte”.

Di conseguenza, nei casi in cui un cristiano ritiene appropriato pregare riguardo a una persona disassociata, dovrebbe farlo soltanto nelle preghiere private. E tutti noi possiamo sforzarci di lasciar guidare i nostri pensieri in proposito dagli ispirati consigli della Parola di Geova.

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