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  • w80 15/10 pp. 6-12
  • La fede in Dio mi ha sorretto

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  • La fede in Dio mi ha sorretto
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1980
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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1980
w80 15/10 pp. 6-12

La fede in Dio mi ha sorretto

Narrato da Harald Abt

NEL settembre del 1940 fui inviato al campo di concentramento di Sachsenhausen, in Germania. Gli ufficiali delle SS mi diedero un caloroso “benvenuto”. Fui ripetutamente picchiato e minacciato. Indicandomi il camino del vicino crematorio, un ufficiale mi disse: “Salirai di lì al tuo Geova entro due settimane, se non rinunci alla tua fede”.

Fui quindi portato nel luogo in cui erano tenuti i miei fratelli cristiani, i testimoni di Geova. Le SS mi ordinarono di accovacciarmi con le braccia stese davanti a me. Per quattro ore rimasi in quella scomoda posizione. Come fui lieto quando, alle 6 di sera, vidi i Testimoni che tornavano dalla dura giornata di lavoro!

Quei Testimoni — all’inizio erano circa 400 — mi dissero che circa 130 dei loro fratelli erano morti per il trattamento disumano nell’inverno precedente. Questo aveva forse intimorito i sopravvissuti? No, erano decisi, come lo ero anch’io, a rimanere leali a Dio.

Ma prima di narrarvi altri particolari dei quasi 5 anni trascorsi nei campi di concentramento di Sachsenhausen e Buchenwald lasciate che vi spieghi brevemente per quali motivi vi fui mandato.

CRISTIANI IN TEMPI DIFFICILI

Nacqui nella Polonia del sud, in una zona che prima apparteneva all’Austria; crebbi quindi parlando sia il polacco che il tedesco. Nel 1931, all’età di 19 anni, entrai al Politecnico di Danzica (Gdansk, in polacco), all’epoca ‘città libera’ di lingua tedesca sul Mar Baltico. Lì, nel 1934, incontrai Elsa, una ragazza che avrebbe influito profondamente sulla mia vita.

Nel 1936, mentre mi preparavo per gli ultimi esami, Elsa cominciò a frequentare le adunanze dei testimoni di Geova. Erano tenute in segreto, perché alcuni Testimoni erano già stati arrestati. Dissi a Elsa che ritenevo facesse una sciocchezza a frequentare quelle persone. Ma infine mi persuase ad accompagnarla a un’adunanza. Anziché cogliere in errore i Testimoni, rimasi colpito dalla loro conoscenza biblica.

Terminati gli studi all’università, in Polonia non c’erano buone possibilità di trovare lavoro. Pensai quindi di andare a cercar lavoro in Germania. Ma Elsa disse: “Se ci vai, ci andrai senza di me”. I testimoni di Geova erano severamente perseguitati in Germania, ed Elsa non voleva esporsi inutilmente. Questo mi fece riflettere, e cominciai a studiare la Bibbia con più regolarità. Nel giugno del 1938 ci sposammo. Agli inizi del 1939 sia Elsa che io fummo battezzati, come simbolo della nostra dedicazione a Geova.

Nel frattempo avevo trovato un buon lavoro come ingegnere nell’amministrazione del porto di Danzica. Avevamo un bell’appartamento ammobiliato e lo usavamo anche per tenervi le adunanze bibliche. Verso quell’epoca la nostra letteratura biblica, spedita dalla filiale polacca della Watch Tower Society di Lodz, veniva intercettata a Danzica. Convinto di dover fare qualcosa, scrissi ai fratelli di Lodz e suggerii loro di spedire la letteratura a un indirizzo appena fuori Danzica. Lì Elsa e io la prelevavamo e la portavamo di nascosto in città.

A quel tempo Elsa era incinta e qualche volta portava addosso, nascoste sotto i vestiti, anche 100 riviste Torre di Guardia. Una volta un funzionario della dogana le disse scherzosamente: “Devono essere tre gemelli, ne sono sicuro!” Ma non fu mai perquisita. Continuammo a introdurre di nascosto la letteratura finché la Germania attaccò la Polonia il 1º settembre 1939, dopo di che la nostra libertà di entrare e uscire da Danzica fu limitata. Nostra figlia Jutta nacque il 24 settembre.

ONORE A HITLER?

Quando la guarnigione polacca si arrese ai tedeschi, potei tornare al lavoro. I colleghi di lavoro, sentendomi dire “Buon giorno”, mi guardarono sorpresi; ora si pretendeva che tutti dicessero: “Heil Hitler”.

Chiesi di parlare al vicedirettore del porto e gli spiegai che come cristiano non potevo fare quel saluto. “Anch’io sono cristiano”, rispose. Gli spiegai però che ero un cristiano nel vero senso della parola e che non ritenevo giusto attribuire tale gloria a un uomo. Fui licenziato in tronco e minacciato di arresto se non avessi gridato “Heil Hitler”.

Quello stesso mese di settembre, dopo la conquista tedesca della Polonia, Hitler venne a Danzica. Pronunciò un infuocato discorso per celebrare la vittoria nella piazza principale, vicino a casa nostra. Tutti avrebbero dovuto esporre una bandiera alla finestra, ma al nostro piano non c’era nessuna bandiera!

Per nostra sicurezza i fratelli ci suggerirono di trasferirci nella Polonia orientale. Questo significava abbandonare tutto quello che avevano. Con una sola valigia, una carrozzina e Jutta avvolta in un cuscino, affrontammo il lungo viaggio in dicembre. I treni erano affollatissimi e irregolari.

Giungemmo infine alla casa di Lodz in cui si trovava l’ufficio filiale. La sorella che aprì la porta vide la bimba immobile fra le braccia di Elsa e corse via piangendo. Dopo alcuni istanti tornò, vide la bimba muoversi e gridò: “Oh! È viva! È viva!” Solo allora ci invitò ad entrare. Molti bambini morivano dal freddo durante il viaggio, per cui pensava che anche Jutta fosse morta.

ARRESTO E DETENZIONE

Il marito di quella sorella era già in prigione. Fu un inverno duro per noi. Non avevamo carbone per scaldare la casa né per cucinare il poco cibo a disposizione. Infine trovai un lavoro. Ma un giorno del luglio 1940 la Gestapo (la polizia segreta nazista) ci trovò in casa mentre cercavano qualcun altro. Ordinarono ad Elsa e a me di presentarci all’ufficio della Gestapo.

Il mattino seguente andai al lavoro, raccolsi i miei effetti personali e dissi al caporeparto che dovevo presentarmi alla Gestapo e che non sarei quindi tornato. “Non dica sciocchezze”, replicò. “Sarà di ritorno alle 12. Non si preoccupi”. Dopo pochi minuti mi incontrai con Elsa di fronte all’ufficio della Gestapo, e salimmo insieme.

“Accomodatevi”, disse l’ufficiale. “Sappiamo perché siete qui”. Ci ricordò quindi che la Polonia era sotto il governo del Terzo Reich (la Germania nazista), e ciò che era accaduto ai testimoni di Geova in Germania. “Se continuate a parlare della vostra fede”, disse, “sarete mandati in un campo di concentramento”.

Si avvicinò poi a una macchina da scrivere e cominciò a scrivere. Tornò e mi presentò il foglio. In parte diceva: ‘Io, Harald Abt, prometto di non parlare più del regno di Dio’. Gli dissi: “Mi dispiace. Non firmo”.

Dopo avermi detto che ero uno stupido a non firmare, mi fece portare via. L’interrogatorio di Elsa proseguì. A un certo punto Elsa disse che a casa aveva una bambina di 10 mesi. “Nessuno può darle da mangiare”, disse Elsa, “perché la allatto”. Preoccupato per la bambina, l’ufficiale disse: “Allora sarò breve”.

La dichiarazione che scrisse in gran fretta era diversa da quella che avevo rifiutato di firmare. Diceva semplicemente che Elsa era consapevole che se avesse continuato a seguire la sua religione sarebbe stata mandata in un campo di concentramento. Elsa pensò di poter firmare, perché in effetti era consapevole di questo. Ma dopo aver firmato si preoccupò. Perché? Perché temeva che se fosse stata liberata io avrei potuto pensare che aveva fatto compromesso. Perciò quando lasciò l’ufficio gridò ad alta voce in modo che la sentissi dall’altra estremità della sala: “Non ho fatto compromesso! Non ho fatto compromesso!”

Dopo essere stato trattenuto per alcune settimane, fui mandato in prigione a Berlino e da lì spedito a Sachsenhausen.

VITA A SACHSENHAUSEN

Dopo la “calorosa” accoglienza, gli ufficiali delle SS ci fecero indossare l’abito dei detenuti. I capelli furono rasati. Ricevemmo poi un numero: io ero il 32.771. Mi fu dato da cucire sugli abiti un triangolo viola, segno di identificazione dei detenuti testimoni di Geova. Gli altri gruppi avevano ciascuno il proprio colore: prigionieri politici rosso, ebrei giallo, criminali verde, omosessuali rosa, e così via. Ero l’unico testimone di Geova del gruppo.

I testimoni di Geova erano assegnati a baracche riservate a loro. Le baracche di Sachsenhausen erano disposte in semicerchio attorno al grande piazzale d’appello. Sul frontone delle baracche dal lato del piazzale c’era una scritta del genere: ‘C’è una via che porta alla libertà: fedeltà, operosità, lavoro e amore per la Patria’. Su ciascuna baracca erano scritte una o due parole di questo motto. La parola AMORE si trovava sulle baracche dei Testimoni. Fu qui che rimasi accovacciato al freddo per quattro ore.

Queste enormi baracche — ce n’erano oltre 60 — erano suddivise ciascuna in due dormitori. In mezzo c’erano il refettorio, i gabinetti e i lavabi. I dormitori da ciascun lato erano privi di riscaldamento; i letti erano a tre piani. D’inverno la temperatura scendeva a 18 gradi sotto zero, e avevamo solo due coperte leggere. Il vapore prodotto dalla respirazione si condensava sul soffitto per poi gocciolare e gelare sulle coperte di quelli che dormivano nel piano superiore.

Generalmente i nostri pasti erano a base di zuppa di rape, a volte bollite con teste di cavallo. Occasionalmente ci veniva data una zuppa di pesce che emanava un odore così cattivo da far puzzare l’intero campo! La sera ricevevamo un po’ di pane. Poiché la colazione consisteva solo di un surrogato del caffè, mettevo sempre da parte un po’ di pane da mangiare al mattino, perché ero sensibile ai morsi della fame.

Ci alzavamo alle sei del mattino, dopo di che provvedevamo a rifare il letto, lavarci e vestirci; dovevamo quindi recarci nel piazzale d’appello e marciare fino al posto di lavoro. Gran parte del lavoro veniva compiuto all’esterno del campo. Il mio primo incarico fu alla costruzione di strade. In seguito, essendo ingegnere, fui incaricato di sovrintendere come tecnico alla costruzione di nuove officine.

Molti uomini delle SS erano crudeli, spesso solo alla ricerca di modi per tormentarci. A volte, mentre eravamo al lavoro, uno di loro andava nelle baracche per vedere se c’era polvere. Di solito riuscivano a trovarne un po’ sulle travi, il che non deve sorprendere dato che in ogni camerata c’erano un’ottantina di pagliericci. Quando ritornavamo dal lavoro ci annunciava: “Questa mattina ho trovato della polvere nelle vostre baracche, perciò oggi rimarrete senza pranzo”. Toglievano quindi i coperchi in modo che tutti potessero sentire l’odore del cibo, e poi portavano via le pentole. Protestare significava la morte.

A Sachsenhausen non si poteva mai essere sicuri della propria vita. Se si attirava in qualche modo l’attenzione delle guardie, anche per cose insignificanti, si poteva essere puniti. Uno poteva essere costretto a rimanere in piedi per tutto il giorno di fronte alle baracche nel gelo dell’inverno. Se gli veniva la febbre — molti si ammalarono di polmonite — e non poteva andare a lavorare, la guardia delle SS poteva dire: “Oh, ha la febbre? Benissimo, lasciamolo in piedi al freddo a rinfrescarsi”. Molti morirono per questo trattamento.

Altri venivano uccisi in questo modo: erano fatti sedere in una grande tinozza d’acqua fredda, in pieno inverno; poi, sulla parte del cuore, veniva diretto un getto d’acqua gelata. A causa di questo trattamento disumano non sapevamo mai se saremmo sopravvissuti fino alla primavera successiva.

Molti mi hanno chiesto: “Non avevi paura?” No, perché quando ci si trova in una situazione simile, la fede genera forza spirituale. Geova aiuta a venirne fuori. A tavola, quando altri non potevano udirci, pregavamo assieme e cantavamo anche a bassa voce. Per esempio, quando sentivamo che uno dei nostri fratelli era morto di privazioni o per un trattamento brutale, cantavamo un cantico con spirito battagliero. Il nostro motto era: Siate forti! Siate coraggiosi! Sapevamo che anche noi saremmo potuti morire presto, e volevamo esprimere la ferma determinazione di rimanere fedeli.

CIBO SPIRITUALE E PREDICAZIONE

Per noi le cose migliorarono un po’ nel 1942. Subentrò un nuovo comandante del campo e ricevemmo un po’ più di libertà. Non fummo più costretti a lavorare di domenica. Inoltre, verso quel tempo, furono introdotti di nascosto sette numeri della Torre di Guardia che trattavano le profezie di Daniele. Riuscimmo anche a procurarci alcune Bibbie. Perciò la domenica pomeriggio ci radunavamo insieme in un’ala delle baracche per studiare la Bibbia; eravamo circa 200. Alcuni rimanevano di guardia all’esterno per avvertire dell’eventuale arrivo delle SS. Quelle furono per me adunanze davvero memorabili che rafforzarono la mia fede.

‘Come furono introdotte le riviste Torre di Guardia?’ potreste chiedere. È una storia di fede e di coraggio. Alcuni Testimoni prigionieri che lavoravano fuori del campo vennero in contatto con fratelli non ancora arrestati. Poterono così procurarsi in segreto della letteratura da introdurre nel campo. Il fratello Seliger, che nel campo fungeva da nostro sorvegliante, lavorava nell’infermeria e nascondeva la letteratura biblica dietro una piastrella del bagno.

Col tempo, però, fu scoperto che eravamo ben organizzati. Nelle nostre baracche furono anche ritrovate alcune Bibbie. Perciò un’ottantina di fratelli furono messi in una squadra di lavoro e mandati via da Sachsenhausen. I Testimoni rimasti furono divisi fra le varie baracche del campo. Anche se questo mise fine alle nostre grandi adunanze, fornì molte più opportunità di predicare agli altri prigionieri.

Diversi giovani russi, ucraini e polacchi accettarono il messaggio e divennero testimoni di Geova. Alcuni vennero battezzati in segreto proprio nel campo, nella vasca da bagno dell’infermeria. Ricordo in particolare due giovani ucraini. Un giorno sentirono un fratello che fischiettava un cantico del Regno e chiesero che canzone fosse. “È un canto religioso”, spiegò il fratello. Furono molto colpiti dal fatto che delle persone fossero detenute a motivo delle loro convinzioni religiose. Dopo la liberazione uno di questi giovani prese la direttiva nell’opera di testimonianza in una zona della Polonia orientale. Fu ucciso da nemici dei testimoni di Geova mentre andava a condurre un’adunanza cristiana.

Un giorno del 1944, mentre ero in marcia con la squadra di lavoro per andare a pranzo vidi i fratelli in piedi nel piazzale. Riconosciuto come Testimone, mi fu detto di unirmi a loro. In qualche modo le SS avevano scoperto il nostro servizio postale segreto (per i contatti con l’esterno del campo e anche tra un campo e l’altro), e anche che ci radunavamo in piccoli gruppi di due o tre nel piazzale d’appello per considerare ogni giorno un versetto biblico. Ci ordinarono di smettere quest’attività illegale, ma rimanemmo uniti nella determinazione di continuare a rafforzarci spiritualmente l’un l’altro. Quando al fratello Seliger, uno dei principali anelli di collegamento del servizio postale segreto, fu chiesto se aveva intenzione di continuare a predicare nel campo, egli rispose: “Sì, è esattamente ciò che intendo fare, non solo io, ma anche tutti i miei fratelli”. Chiaramente lo spirito di fede e coraggio dei testimoni di Geova non era stato infranto, e i nazisti capirono ancora una volta di non poter far nulla per infrangere la nostra integrità a Dio.

BUCHENWALD E LIBERAZIONE

Verso la fine di ottobre del 1944 fui mandato al campo di concentramento di Buchenwald, insieme con una squadra di esperti in opere di costruzione. Dovevamo ricostruire alcune officine bombardate dagli aerei americani. Subito i fratelli di Buchenwald si misero in contatto con me e mi diedero il benvenuto nell’associazione spirituale con loro. Qui ero il numero 76.667.

Agli inizi del 1945 divenne chiaro che il regime nazista si avvicinava al crollo. Quando i caccia inglesi sorvolavano il campo ci salutavano inclinando le ali da una parte all’altra, allo scopo di incoraggiarci. Nelle ultime due settimane prima della liberazione i prigionieri non andarono nemmeno più a lavorare.

Il mercoledì 11 aprile 1945 ci radunammo per sentire il discorso di un fratello su tutte le scritture dell’anno a partire dal 1933, anno in cui Hitler era salito al potere. Nel corso dell’adunanza sentimmo avvicinarsi il suono dei combattimenti. Quindi, proprio nel mezzo del discorso, un prigioniero spalancò la porta e gridò: “Siamo liberi! Siamo liberi!” Nel campo scoppiò il caos, ma noi rivolgemmo una preghiera di ringraziamento a Geova e continuammo l’adunanza.

A Buchenwald c’erano ancora più di 20.000 prigionieri. Le SS si tolsero le uniformi e cercarono di fuggire, mentre molti prigionieri si vendicavano contro di loro. Un prigioniero mi raccontò come aveva conficcato un coltello in pancia a uno delle SS. Naturalmente i testimoni di Geova non presero parte alle violenze.

Circa un mese dopo riuscii finalmente a trovare Elsa. Era sopravvissuta ad Auschwitz e ad altri campi di concentramento. Nell’agosto del 1945 tornammo a casa e trovammo nostra figlia presso alcuni fratelli che avevano avuto cura di lei. Aveva ormai quasi sei anni e non ci riconobbe.

NESSUN COMPROMESSO

Dopo la liberazione dall’occupazione tedesca, la Polonia divenne una repubblica popolare. Elsa e io facemmo subito domanda per lavorare nella filiale della Watch Tower Society a Lodz. Vi rimanemmo per cinque anni, felici di veder crescere il numero dei testimoni di Geova da circa 2.000 nel 1945 a circa 18.000 nel 1950. Nel corso degli anni dopo il 1950 abbiamo continuato a prestare servizio in vari incarichi datici dall’organizzazione di Geova, decisi a essere sempre forti nella fede.

In tutto ho trascorso 14 anni della mia vita in campi di concentramento e prigioni a motivo della mia fede in Dio. Mi è stato chiesto: “Tua moglie ti ha aiutato a sopportare tutto questo?” Indubbiamente. Dall’inizio sapevo che non avrebbe mai rinunciato alla sua fede, e questo consapevolezza mi aiutò a perseverare. Sapevo che avrebbe preferito vedermi morto anziché sapermi libero ma a prezzo di un compromesso. È veramente di aiuto avere una compagna così risoluta. Elsa dovette sopportare molte difficoltà negli anni in cui fu detenuta nei campi di concentramento tedeschi, e sono certo che leggere alcune delle sue esperienze vi incoraggerà.

[Diagramma/Immagine a pagina 9]

(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

Campo di concentramento di Sachsenhausen

Baracche delle SS

Piazzale d’appello

Camera a gas

Celle di punizione

Isolamento

Stazione di disinfestazione

Luogo d’esecuzione

[Immagine di Harald Abt a pagina 6]

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