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  • w90 1/7 pp. 10-13
  • La benedizione di Geova mi ha resa ricca

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  • La benedizione di Geova mi ha resa ricca
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1990
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  • Affronto la sfida del bando
  • Raggiungiamo la nostra meta
  • Predichiamo in un territorio nuovo
  • Come nel Far West
  • Una vita piena di sfide, ma ricca
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  • Annuario dei testimoni di Geova 1986
    Annuario dei Testimoni di Geova del 1986
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    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1986
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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1990
w90 1/7 pp. 10-13

La benedizione di Geova mi ha resa ricca

Narrato da Elsie Meynberg

“LA BENEDIZIONE di Geova, questo è ciò che rende ricchi, ed egli non vi aggiunge nessuna pena”. (Proverbi 10:22) Ho sperimentato di persona la veracità di questo proverbio biblico. Lasciate che vi spieghi come.

Quando avevo solo sei anni, ascoltavo di nascosto le conversazioni che mia madre faceva con un’insegnante della Bibbia che veniva a farci visita, e notavo quanto mia madre fosse affascinata da ciò che imparava. Una fredda sera d’inverno scesi a prendere un bicchier d’acqua e trovai la mamma che leggeva vicino allo sportello aperto del forno. Pensavo che mi avrebbe sgridato, e invece mi strinse a sé e mi spiegò che Dio si chiama Geova. Dal tono caldo della sua voce capivo quanto erano importanti, per lei, le cose che aveva imparato.

Dopo poche altre conversazioni con l’insegnante della Bibbia la mamma cominciò ad andare dai vicini, a piedi, per parlare della buona notizia che aveva imparato. Non sempre, però, era bene accetta. Abitavamo in campagna vicino a Beatty, nella regione canadese del Saskatchewan, e i nostri vicini erano per la maggior parte parenti, devoti luterani o evangelici. Ciò nonostante, la mamma continuò a far loro visita.

Guardavo fuori dalle finestre gelate mentre la mamma lottava per far uscire i cavalli dalla stalla; sapevo che non era abituata ad attaccarli al carro. Altre volte andava alle adunanze o nel ministero di campo anche se papà brontolava. Papà non era d’accordo con la nuova fede della mamma, ma lei era decisa. Tornava sempre con una felicità interiore che tutti potevamo vedere. “La benedizione di Geova, questo è ciò che rende ricchi”, diceva. Mi chiedevo cosa intendesse dire. Anche se avevo solo sei anni, anch’io volevo servire Geova.

Un giorno ero in cima alla casa insieme a mio padre, che riparava le assi di legno del tetto. Mia madre e mia sorella Eileen stavano partendo insieme ad altri a bordo di una Ford modello T per partecipare a una “marcia di informazione”. Sarebbero sfilate per la città con dei cartelloni per annunciare un discorso biblico.

“Tu non sarai mai così matta, vero?”, mi chiese papà. Ma anche se da bambina mi piaceva tantissimo arrampicarmi, avrei preferito di gran lunga partecipare a quella marcia di informazione anziché stare sul tetto. Tuttavia, mi avevano detto che ero troppo bassa per portare un cartellone.

Affronto la sfida del bando

Finalmente, nel novembre 1940 ebbi per la prima volta l’opportunità di partecipare alla predicazione del Regno. Com’ero eccitata! Visto che a quel tempo l’opera di predicazione dei testimoni di Geova era vietata in Canada, uscimmo nel cuore della notte e lasciammo l’opuscolo Fine del Nazismo davanti alla porta di ogni casa.

A nove anni decisi di dedicare la mia vita a Geova e di battezzarmi. A motivo della persecuzione non ci fu detto dove si sarebbe tenuta l’adunanza, ma fummo condotti in un posto nel bosco dove moltissimi Testimoni tenevano un “picnic”. Lì la mia sorella maggiore Eleanor ed io fummo fra i tanti che furono battezzati nelle fredde acque di un lago vicino.

A quel tempo, la giornata scolastica iniziava col saluto alla bandiera e col canto dell’inno nazionale. Nonostante gli sguardi accusatori dei nostri compagni di classe noi ci rifiutavamo rispettosamente di farlo, visto ciò che la Bibbia insegna sull’idolatria. (Daniele, capitolo 3) Mia cugina Elaine Young, anch’essa una Testimone, doveva percorrere a piedi sei chilometri per andare a scuola, ma ogni giorno veniva mandata via perché non salutava la bandiera, e doveva rifare tutta quella strada per tornare a casa. Continuò a farlo per metà anno scolastico onde evitare di essere considerata assente e quindi perdere l’anno.

Finita la scuola andai a lavorare in banca. Ma dovetti affrontare una prova quando mi fu negato il permesso di partecipare all’assemblea internazionale dei testimoni di Geova che si teneva a New York nel 1950. Avevo qualche risparmio da parte, per cui decisi di licenziarmi e di intraprendere il ministero a tempo pieno. Fu così che Elaine ed io ci trasferimmo nella città di Regina. Alcuni, in tono di scherno, dicevano: “Vedrai che a primavera tornerà a casa chiedendo l’elemosina”. Invece riuscii a mantenermi lavorando come domestica a mezza giornata. Da allora in poi Geova mi ha sempre benedetto riccamente, e non ho più smesso di servirlo a tempo pieno.

Raggiungiamo la nostra meta

Nel 1955 Elaine ed io fummo invitate a far parte della 26ª classe della Scuola di Galaad e fummo poi assegnate alla Bolivia, nell’America Meridionale. Che emozione! A quell’epoca in tutto il paese c’erano solo circa 160 Testimoni. In seguito ci dirigemmo a Tarija per raggiungere due altri missionari in quella che era la prima città a cui eravamo assegnate.

Tarija era una città bellissima. Era molto interessante vedere le donne nel loro costume tradizionale portare carichi sulla testa. Le persone erano gentili e non ci dicevano mai di non essere interessate. Evidentemente ritenevano più educato dirci di tornare in un orario in cui sapevano che non sarebbero state in casa. Ci volle un bel po’ prima di abituarsi a questo modo di fare.

Un giorno, mentre stavamo parlando con un uomo alla porta, si fermò una jeep dalla quale saltò fuori un sacerdote furibondo con la faccia paonazza. “Se non smette di parlare con quelle ragazze, sarà scomunicato!”, gridò all’uomo. Poi, rivolgendosi a noi, minacciò: “Voi non avete alcun diritto di predicare qui. Se non la smettete, prenderò altri provvedimenti”. A questo punto molti vicini erano usciti a vedere cosa stava succedendo, così non facemmo altro che continuare la nostra opera, e lasciammo molti libri e Bibbie agli astanti incuriositi.

Dopo aver trascorso due anni in questa ridente vallata in cui prosperano peschi, arachidi e viti, sulle prime non eravamo felici quando fummo assegnate a Potosí, una città mineraria molto fredda situata a oltre 4.000 metri d’altezza. Eravamo abituate ai rigidi inverni canadesi, ma la differenza era che a Potosí le case di norma non avevano riscaldamento. Tuttavia a Potosí c’era il calore di una congregazione cristiana, mentre a Tarija non era stata formata ancora alcuna congregazione.

Predichiamo in un territorio nuovo

Dopo ciò, Elaine ed io fummo assegnate a Villa Montes per iniziarvi l’opera di predicazione. Il camion che prendemmo per arrivare in quella zona era carico di zucchero di contrabbando, così per evitare problemi con la polizia alle barriere di pedaggio, l’autista non partì finché non si fece notte. Come avremmo voluto avere con noi una torcia elettrica quando all’improvviso vicino a noi, sotto il telone, qualcosa si mosse! Era l’aiutante del camionista.

Alle cinque del mattino ci fermammo. Nauseate dai fumi di scarico e tutte impolverate, strisciammo fuori dal camion. Una frana aveva bloccato la strada. Alla fine, dopo quattro ore di duro lavoro, il proprietario fece portare il camion dal suo aiutante attraverso lo stretto passaggio che avevamo sgombrato dai detriti, sul ciglio di un burrone che sembrava senza fondo. Il proprietario non osava nemmeno guardare: il camion aveva ruote doppie, e quelle più esterne giravano nel vuoto sopra il precipizio. Elaine ed io andammo a piedi. Mentre continuavamo il nostro viaggio in camion verso Villa Montes, i tornanti sui passi di montagna erano così stretti che più volte l’autista fu costretto a fare manovra. Infine, dopo 35 ore massacranti, arrivammo a destinazione.

Per Elaine e me, essere completamente da sole era un’esperienza nuova. Anche gli insetti tropicali erano una novità per noi. Grossi coleotteri ci cadevano addosso dopo essersi schiantati sulla lampada sopra la nostra testa. Piccole mosche ci procuravano punture dolorose che provocavano prurito e gonfiore, e da cui stillava un liquido incolore. La prima notte che eravamo nella nostra nuova dimora uscii per andare al gabinetto, che era all’esterno. Quando accesi la torcia elettrica, tutto il pavimento brulicava di scarafaggi. Agili lucertole scappavano via, mentre negli angoli c’erano grossi rospi che mi fissavano con gli occhi spalancati. Decisi che potevo aspettare fino al mattino.

In un’altra occasione, eravamo vicino a un fiume e pensavamo di riposarci su un tronco che avevamo visto. Tuttavia, decidemmo di andare a fare prima una visita ulteriore nelle vicinanze. Quando tornammo il tronco non c’era più, e dei passanti concitati ci dissero che in quel punto era passato un grossissimo serpente. Sono contenta che non abbiamo provato a sederci su quel “tronco”!

La cosa che più ci piaceva di Villa Montes era visitare le persone di sera. Le trovavamo sedute su sedie di vimini sul marciapiede, intente a sorseggiare una bevanda a base di erbe chiamata mate. Trascorremmo molte ore liete spiegando le promesse del Regno in circostanze del genere. Ma le cose si fecero più difficili dopo che Elaine si sposò e io fui spostata a Valle Grande con una nuova compagna.

Come nel Far West

Per raggiungere Valle Grande dovetti fare un altro viaggio spossante di tre giorni, e questa volta ero da sola. Le strade strette e non asfaltate sembravano snodarsi all’infinito nel paesaggio desolato. Finalmente arrivai a destinazione, quasi al tramonto. La corriera disturbò la quiete di una cittadina in cui i cavalli erano più comuni dei veicoli a motore. La gente osservava da sotto le gronde che si protendevano sopra i marciapiedi, sostenute da pali. Alcuni degli uomini appoggiati ai pali portavano il cinturone con la pistola. Pareva che quasi tutti vestissero di nero. ‘Sembra di essere nel Far West!’, dissi fra me e me.

Ed era proprio così. Le liti si risolvevano con la pistola. Anche se Valle Grande era una cittadina di appena diecimila abitanti, a quel tempo omicidi e violenze erano comuni. La popolazione era dominata da una banda che aveva preso il controllo della barriera di pedaggio all’entrata della città. I componenti della banda si guadagnavano da vivere fermando le corriere e rapinandole. Anche i contadini venivano rapinati mentre portavano i loro prodotti in città. Le ragazze venivano violentate sotto la minaccia della pistola sotto gli occhi dei loro genitori. Le madri non lasciavano che le figlie andassero da sole nemmeno a fare la spesa sotto casa.

Immaginate come ci sentimmo quando, un giorno, il capo della banda entrò nella Sala del Regno. Era ubriaco. Il sorvegliante di circoscrizione, che stava pronunciando il discorso, impallidì. “Io credo!”, urlò il capobanda colpendo la panchina con tale forza da rompere lo schienale. Poi afferrò il sorvegliante di circoscrizione. Improvvisamente, però, si calmò, e un suo vecchio amico di scuola che era nell’uditorio riuscì a portarlo via.

In seguito un generale dell’esercito sfidò a duello il capobanda. Il generale fece appendere nella piazza un cane morto con un cartello che diceva: “Vattene dalla città, o farai la stessa fine”. Il gangster se ne andò, e le condizioni di vita a Valle Grande migliorarono.

A volte cavalcavamo per 12 ore per predicare nei villaggi remoti. In uno di questi un’insegnante ci ricevette in maniera ospitale e in seguito divenne una testimone di Geova. Una volta, per andare in quei villaggi, presi a prestito un mulo, ma ogni volta che passava davanti alla casa di uno dei suoi precedenti proprietari il mulo si dirigeva lì, ed essi dovevano riportarci di nuovo sulla strada.

Una vita piena di sfide, ma ricca

Come molti altri missionari, ho riscontrato che la più grande sfida può non essere il caldo o gli insetti, il freddo o l’altitudine, e nemmeno le malattie e la povertà. A volte la più grande sfida sono i conflitti di personalità. Mi chiedevo perché sorgessero questi problemi nell’organizzazione di Geova, e cominciai persino a dubitare che Geova mi benedicesse riccamente. Poi ricordai il versetto di Proverbi 10:22 a proposito della benedizione di Geova. La seconda parte del versetto dice: “Ed egli non vi aggiunge nessuna pena”. Perciò non dobbiamo dare a Geova la colpa di questi problemi. Capii che fanno parte di quello che abbiamo ereditato da Adamo e che sono inclusi in ciò che Paolo descrive in Romani 8:22, quando dice: “Tutta la creazione continua a gemere insieme e ad essere in pena insieme”.

Ero in contatto epistolare con Walter Meynberg, della Betel canadese, e mentre ero in vacanza in Canada nel 1966 ci sposammo e fummo assegnati a La Paz, la città principale della Bolivia. Che benedizione è stata vedere le congregazioni in questa città moltiplicarsi da quell’unica che c’era quando arrivai in Bolivia a 24 sparse in ogni angolo della città! La stessa cosa è accaduta in altre città del paese. Quel gruppo di circa 160 proclamatori che predicavano la buona notizia in Bolivia quando arrivai la prima volta nel 1955 è cresciuto fino a contarne circa 7.000!

Grazie all’esempio deciso che mia madre ha dato tanto tempo fa, ora più di dieci miei parenti stretti sono nel servizio continuo. Sono felicissima di dire che mio padre è divenuto un Testimone dedicato, e che più di 30 persone con le quali ho avuto il privilegio di studiare la Bibbia si sono battezzate. Non sono ricchezze queste? Io sono convinta di sì. Posso davvero dire che ‘la benedizione di Geova mi ha resa ricca’.

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