Parliamo con lo “stesso pensiero” riguardo al servizio che rendiamo a Dio
Vi diamo alcune notizie anticipate sulle informazioni che La Torre di Guardia del 15 maggio 1976 dà sui termini “ministro” e “ministero”. Come influirà questa considerazione scritturale sul servizio che rendiamo a Dio?
In realtà, il servizio che rendiamo a Dio continua a essere come è sempre stato. Le informazioni degli articoli de La Torre di Guardia ci aiutano solo a considerare questo servizio in una luce alquanto più chiara, accrescendone il nostro intendimento. Ci aiutano pure a capire più accuratamente il significato di certi termini biblici e a usarli in modo da metterne maggiormente in evidenza il senso e la “sfumatura” originali. Eviteremo di far sorgere malintesi nelle persone del mondo a causa delle nostre parole e non useremo termini italiani in un modo contrario al senso che è generalmente attribuito loro nella lingua moderna. E, infine, aiutano a rendere più armonioso il modo di pensare e di parlare di tutti noi in ogni parte del mondo, qualunque lingua parliamo, poiché avremo lo “stesso pensiero” basato sul solido fondamento delle Scritture. — 1 Cor. 1:10.
Come noterete, il nome della pubblicazione mensile chiamata per anni “Ministero del Regno” è stato cambiato in “Il servizio del Regno” a cominciare da questo numero di febbraio del 1976. In tal modo si esprime più perfettamente il pensiero del servizio espresso dal termine delle Scritture Greche di·a·ko·niʹa. Questo cambiamento riguarda soprattutto alcune lingue: inglese, spagnolo, francese, italiano e portoghese. Perché queste? Perché nelle altre lingue in cui si stampa questa pubblicazione mensile il titolo contiene già la parola corrispondente a “servizio”, per il fatto che in quelle lingue era sorto un problema per tradurre accuratamente “ministero”. Nella nostra lingua questo nuovo titolo metterà dunque il nome della pubblicazione più in armonia con quello usato in altre parti del mondo.
Da ora in poi, invece di “Scuola di Ministero Teocratico” la Scuola sarà chiamata semplicemente “Scuola Teocratica”. Questo semplificherà il nome della Scuola anche in altre lingue oltre alle cinque menzionate prima. In tedesco, ad esempio, non avendo un termine corrispondente a “ministero” che avesse un senso religioso, i fratelli hanno dovuto escogitare un’espressione sostitutiva e così l’hanno chiamata “Scuola teocratica del servizio di predicazione” (Theokratische Predigtdienstschule).
La “Scuola di Ministero del Regno” continuerà a essere chiamata in italiano con questo nome. Quelli che ora vi sono invitati sono anziani e quindi persone sulle quali, in effetti, sono state ‘poste le mani’, essendo stato assegnato loro un servizio o “ministero” da compiere nella congregazione. (Atti 13:2, 3; 1 Tim. 4:14; 5:22) Quindi il nome della Scuola è ancora appropriato in italiano.
Uso del termine “ministro” nel servizio di campo
Che dire di come usiamo il termine “ministro” nell’attività di predicazione che svolgiamo nel campo? Poiché il significato della parola “ministro” è quello di “servitore”, il proclamatore del Regno non sbaglia a chiamarsi “ministro” nel senso che è “servitore” di Dio. Ma coloro ai quali portiamo il messaggio del Regno, capiranno correttamente l’uso che facciamo del termine? Oppure sorgeranno nella loro mente domande che altrimenti non sorgerebbero, specialmente se donne o forse giovani si presentano come “ministri”? Servirà realmente ad aprire loro la mente e il cuore perché accettino il messaggio che rechiamo? Dobbiamo considerare queste domande per decidere che cosa è opportuno fare.
Per esempio, in Grecia, dove fu scritta parte delle Scritture Greche Cristiane, un Testimone non andrebbe alle porte chiamandosi di·a΄ko·nos. Perché no? Perché la gente penserebbe che vuol dire che è un “diacono” della chiesa, dato che la parola è usata in tal senso nella Grecia moderna.
Anche se nella loro lingua c’è una parola equivalente a “ministro”, in certi paesi i fratelli hanno ritenuto inopportuno usarla. Per esempio, nella maggioranza dei paesi dell’America Latina le persone sono prevalentemente di religione cattolica. Dal momento che la parola spagnola e portoghese ministro è di solito riferita a un predicatore protestante o evangelico, il proclamatore del Regno che la usa potrebbe far nascere nei cattolici un pregiudizio nei suoi riguardi.
Dobbiamo anche tenere a mente la dichiarazione dell’apostolo Paolo sul modo in cui egli si sforzava di recare la verità alle persone. In I Corinti 9:20-23 egli dice: “Ai Giudei divenni come un Giudeo, per guadagnare i Giudei; a quelli sotto la legge divenni come sotto la legge, benché io stesso non sia sotto la legge, per guadagnare quelli che sono sotto la legge. A quelli senza legge divenni come senza legge, benché io non sia senza legge verso Dio ma sotto la legge verso Cristo, per guadagnare quelli senza legge. Ai deboli divenni debole, per guadagnare i deboli. Son divenuto ogni cosa a persone di ogni sorta, per salvare a tutti i costi alcuni. Ma faccio tutto per amore della buona notizia, per divenirne partecipe con altri”.
Quando parliamo alle persone nelle loro case, non vogliamo soprattutto presentarci come loro simili, vicini che si interessano di loro e del loro benessere? Così si sentiranno, per così dire, “sul nostro stesso piano”, e, speriamo, si esprimeranno liberamente con noi. Se ci presentiamo col termine “ministro”, non potrebbe questo far loro pensare che siamo superiori, come se fossimo su un piano più alto? Sappiamo che nel mondo gli ecclesiastici chiamati “ministri” ricevono questa designazione come titolo di notevole prestigio, titolo che dà loro un senso di superiore distinzione e li apparta dal resto del gregge che è nella loro chiesa. Vorremo, dunque, considerare anche questo fattore decidendo se l’uso del termine “ministro” sarà davvero utile nell’opera di testimonianza che compiamo tra le persone del nostro territorio o se è preferibile un’altra forma di presentazione.
Il suo uso nei contatti coi funzionari
A volte ci sarà chiesto di rispondere a funzionari che ci fanno domande sulla nostra posizione in relazione alla congregazione cristiana. Forse sarà chiesto alla persona se è un “ministro” e, in tal caso se è “ordinato”. Come spiega La Torre di Guardia del 15 maggio, al paragrafo 23 del terzo articolo di studio: “Col termine ‘ministro’ tali organi governativi non descrivono o non intendono il servizio che ogni singolo cristiano può compiere quando si sforza personalmente di far conoscere ad altri la buona notizia. Quindi, rispondendo alle domande dei funzionari sarebbe ragionevole rispondere in armonia con ciò che desiderano sapere, anziché imporre la propria definizione di tali termini”.
Essere “ordinato” secondo il significato accettato del termine, non si riferisce a quando si diventa un discepolo cristiano al battesimo. L’ordinazione si riferisce alla nomina della persona per adempiere una responsabilità nella congregazione, per servire gli altri discepoli cristiani della congregazione. Si applica specialmente a quelli che compiono l’opera pastorale nella congregazione, sebbene notiamo che la parola greca di·aʹko·nos, resa spesso “ministro”, si applica anche a quelli che sono “servitori di ministero”.
Come abbiamo detto prima, su quelli che prestano servizio come anziani e servitori di ministero sono state ‘poste le mani’ nel senso che sono nominati per servire nella congregazione in incarichi di responsabilità. (1 Tim. 3:1-10, 12, 13; 5:22) A questo riguardo si può dire che sono “ordinati”, nel senso in cui oggi è generalmente intesa l’ordinazione. Non li consideriamo una classe di “ecclesiastici” o superiori al resto della congregazione come se quest’ultima fosse formata da una classe di “laici”. Piuttosto, sono servitori della congregazione, ai quali è stato assegnato del lavoro da fare per la congregazione, per servire negli interessi dei suoi componenti. Quindi, sebbene tutti i cristiani battezzati siano servitori di Dio, non a tutti nella congregazione sono assegnati tali compiti o incarichi di servizio.
Per illustrare questo principio, considerate l’opera di insegnamento svolta dai componenti della congregazione. La Parola di Dio comanda a tutti i genitori cristiani di ammaestrare i propri figli. (Efes. 6:4) Le donne anziane devono essere “maestre di ciò che è bene” affinché facciano “tornare in sé le giovani”. (Tito 2:3, 4) E i cristiani in generale servono quali “illuminatori del mondo”, e per compiere questo servizio devono insegnare i propositi di Dio alle persone del mondo che li vogliono conoscere, come facciamo nella nostra attività di studi biblici. (Filip. 2:15) Tutti i servitori di Dio sono pertanto invitati a compiere l’insegnamento. Ma vuol dire questo che debbano essere tutti chiamati “maestri” nella congregazione, o che debbano essere considerati insegnanti “ordinati”?
Sappiamo che non è così, non è vero? Infatti, il discepolo Giacomo dice, in Giacomo 3:1: “Non molti di voi divengano maestri, fratelli miei, sapendo che riceveremo un più grave giudizio”. Egli si riferiva a quelli che sono maestri nella congregazione, ai quali è stata assegnata tale opera di insegnamento. (Si vedano Efesini 4:11, 12; I Corinti 12:28, 29). Fu a questo riguardo che l’apostolo Paolo scrisse: “Non permetto alla donna d’insegnare né di esercitare autorità sull’uomo”. (1 Tim. 2:11, 12) Quindi, mentre l’attività d’insegnamento era qualcosa che tutti i cristiani potevano svolgere, in un modo o nell’altro, non tutti ricevevano nella congregazione un compito o incarico di servizio come “maestri”.
Questo ci aiuta a capire perché l’apostolo Paolo poté chiamare Febe di·aʹko·nos, della congregazione di Cencrea. (Rom. 16:1, 2) Come mostra la Traduzione Interlineare del Regno (inglese), egli dichiarava in tal modo che era una “servitrice” della congregazione. Questo evidentemente non significa che fosse una servitrice nominata della congregazione, come un anziano o un servitore di ministero, ma solo che rendeva un servizio volontario alla congregazione in modo lodevole e degno di nota. Essa rendeva senz’altro un servizio simile a quello delle donne che in precedenza avevano ‘servito [di·a·ko·neʹo] coi loro averi Gesù e i suoi apostoli’. (Luca 8:1-3) Sempre a questo proposito, possiamo notare che Filippo l’evangelizzatore aveva quattro figlie che “profetizzavano”. (Atti 21:8, 9; si paragoni I Corinti 11:5; 13:8). Questo non significa, comunque, che fossero chiamate “profeti”, venendo così dopo gli “apostoli” per l’importante servizio reso entro la disposizione della congregazione. (1 Cor. 12:28, 29) Solo gli uomini sono chiamati “profeti” cristiani, come si può vedere da versetti come Atti 11:27, 28; 13:1; 15:32.
Vediamo dunque che tutti i cristiani rendono un servizio, ma non tutti ricevono un incarico da svolgere nella congregazione, come avviene nel caso degli anziani e dei servitori di ministero. Questo non produce una divisione nella congregazione, come la divisione tra “clero e laici” che si trova in molte religioni della cristianità. Si tratta piuttosto di imitare fedelmente la struttura della congregazione dei veri cristiani del primo secolo e le disposizioni ispirate dallo spirito allora prevalenti, come rivelano le Scritture. Non c’è nulla di errato nelle disposizioni che Gesù Cristo prese in merito alla congregazione dando “doni negli uomini” e stabilendo la procedura mediante cui alcuni sarebbero stati incaricati o nominati per adempiere certi doveri di servizio nella congregazione. (Efes. 4:8, 11) È il modo in cui si comportano quelli che ricevono l’incarico a determinare se la disposizione produrrà un buon effetto unificatore o un cattivo effetto divisivo. (Si veda Ebrei 13:7). L’apostasia che produsse la cristianità derivò in larga misura dal fatto che si fece un errato uso della struttura della congregazione e se ne pervertì lo scopo per conseguire vantaggi egoistici. — Atti 20:29, 30.
Giacché talora le autorità chiedono una prova dell’“ordinazione” a coloro che prestano servizio in tali incarichi, nei paesi dove i testimoni di Geova sono riconosciuti quali ministri è stato preparato un “Certificato di ministro ordinato” che sarà fornito dietro richiesta agli anziani e ai servitori di ministero che ne hanno bisogno. Esso conterrà la data non del battesimo, ma di quando furono nominati per tali incarichi di servizio e quindi del tempo in cui ‘furono poste su di loro le mani’.
Quando un anziano o servitore di ministero si trasferisce, è consigliabile che il corpo degli anziani di dove prestava servizio scriva al corpo degli anziani della congregazione dove si è trasferito, raccomandando che continui a essere impiegato nell’incarico in cui prestava servizio, anziché aspettare che quel corpo degli anziani scriva chiedendo tali informazioni. Pertanto se le autorità mettono in dubbio l’“ordinazione” di questa persona, e se il corpo degli anziani ritiene opportuno raccomandare che continui a prestare servizio nell’incarico di anziano o di servitore di ministero (tenendo conto della raccomandazione del corpo degli anziani di dove serviva in precedenza), forse è possibile evitare qualsiasi apparente interruzione del suo servizio di “ministro ordinato”.
Ma che dire di quelli che sono impegnati nel servizio continuo come pionieri o membri di famiglie Betel? Dalle Scritture si vede chiaramente che essere anziano o servitore di ministero non è qualcosa per cui si può fare domanda compilando un modulo, come il modulo di domanda di pioniere o il modulo di domanda di servizio alla Betel. Né è primariamente il numero di ore che si dedicano all’opera di far conoscere ad altri la buona notizia che rende qualificati per tali responsabilità di congregazione come quelle di anziani o di servitori di ministero. Invece coloro che ricevono tali nomine devono soddisfare i requisiti esposti nelle Scritture in I Timoteo 3:1-10, 12, 13; Tito 1:5-9 e in altri versetti.
Molti di quelli che sono pionieri o che prestano servizio come membri di famiglie Betel hanno i requisiti per essere riconosciuti come anziani o servitori di ministero. Quelli che non soddisfano tali requisiti, certo fanno ancora volontariamente del diretto servizio a Dio la loro vocazione, prodigandosi in tale servizio di continuo. La loro nomina di pionieri o membri della famiglia Betel è il riconoscimento di tale servizio volontario. Tale nomina, comunque, non corrisponde al significato di “ordinazione” com’è generalmente inteso questo termine. E il fatto che sorelle e giovani ancora adolescenti siano accettati per il servizio di pioniere e il servizio alla Betel pure renderebbe non appropriata l’applicazione di tale termine. Poiché la Bibbia stessa indica solo due posizioni di responsabilità nella congregazione, quella di anziani e quella di servitori di ministero, limitiamo la nostra applicazione del termine “ministro ordinato” a quelli che rientrano in questa disposizione scritturale.
Ciò nondimeno, oltre al termine “ministro ordinato”, negli Stati Uniti, per esempio, alcuni organi governativi, come le commissioni di leva, hanno impiegato il termine “ministro regolare” per descrivere uno che non è “ordinato”, ma che predica e insegna come sua vocazione il credo di una religione. Per tale ragione, negli Stati Uniti, chi è pioniere o membro di una famiglia Betel e non è anziano o servitore di ministero, ma desidera presentare la prova che la sua vocazione è quella del servizio continuo di Dio, può chiedere a tal fine un certificato. Il certificato conterrà la data in cui è divenuto pioniere o membro della famiglia Betel e la dichiarazione che, avendo fatto del servizio continuo la sua vocazione, è qualificato per essere incluso nella definizione data dal governo di “ministro regolare”.
Le informazioni considerate apportano alcun effettivo cambiamento nella posizione che occupiamo scritturalmente come individui? No. Come potrebbe dal momento che i fratelli che parlano lingue diverse dalle cinque menzionate sopra prestano lo stesso servizio che prestiamo noi e tuttavia non hanno mai applicato a sé termini corrispondenti al moderno uso di “ministro” e “ministro ordinato”? In realtà, il nostro modo di parlare sarà ora maggiormente in armonia con il loro. Pertanto, anziché influire su ciò che siamo, con questo cambiamento non facciamo altro che rendere il nostro uso dei termini “ministro” e “ministro ordinato” conforme al significato che gli dà la maggioranza di quelli che parlano l’italiano e altre lingue latine, e si elimina anche la distinzione fra il nostro modo di parlare e quello dei nostri fratelli in altri paesi. Ognuno di noi continua a essere quello che egli o ella è: un servitore di Dio, avente in alcuni casi una nomina di servizio nella congregazione, in altri casi no.
Pertanto, ci sia concesso di servire unitamente, avendo lo “stesso pensiero” che hanno i nostri fratelli in ogni parte del mondo, e il nostro amore “abbondi sempre più in accurata conoscenza e pieno discernimento”. (Filip. 1:9) Riconosciamo che è Dio a rendere le persone qualificate per particolari incarichi di responsabilità e di servizio nella congregazione. (2 Cor. 3:4-6) Se riceviamo questi incarichi adempiamo il nostro ministero o incarico di servizio senza lamentarci e senza motivi egoistici né desiderio di gloria personale, dipendendo dalla “forza che Dio fornisce”. (1 Piet. 4:11; 5:2; 2 Cor. 4:1, 5; Rom. 12:6-8) Quelli che hanno tali incarichi diano prova d’essere come l’apostolo Paolo e i suoi collaboratori i quali si preoccupavano che ‘non si trovasse da ridire’ sul ministero o servizio loro assegnato, e che subirono perciò umilmente e volontariamente ogni sorta di avversità per ‘raccomandarsi veramente come ministri o servitori di Dio’. — Si legga II Corinti 6:3-10; 11:23-28.
Sì, continuiamo tutti unitamente a rendere “sacro servizio” a Geova Dio e al nostro Signore Gesù Cristo da ora in poi e per sempre. — Rom. 12:1; Riv. 7:15.