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  • Giovanni 1:14
    Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture
    • 14 E la Parola è diventata carne+ e ha vissuto fra noi, e noi abbiamo visto la sua gloria, la gloria che un figlio unigenito*+ riceve da suo padre; e in lui abbondavano favore divino* e verità.

  • Giovanni 1:14
    Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture con riferimenti
    • 14 E la Parola è divenuta carne+ e ha risieduto* fra noi, e abbiamo visto la sua gloria, una gloria tale che appartiene a un figlio unigenito+ da parte di un padre; ed era pieno di immeritata benignità e verità.+

  • Giovanni
    Indice delle pubblicazioni Watch Tower 1986-2025
    • 1:14 it-1 320, 435-436, 927-928, 1064, 1070; it-2 490, 1135-1136, 1162, 1188; lff 15; w05 15/1 13; w93 1/4 12; w92 15/1 20-21; w91 15/9 23; w89 1/9 11; ti 15-16

  • Giovanni
    Indice delle pubblicazioni Watch Tower 1945-1985
    • 1:14 ad 536, 1258; w80 15/9 21; w79 15/2 29; w79 15/4 25-26; gh 118; hs 88; w76 281; w74 651, 660; g73 22/8 29; w72 458; w66 199; im 232; w63 141, 144; w62 134, 363, 600; w57 326, 382, 447; w55 677; w54 360; w53 24; tf 47, 247

  • Giovanni
    Guida alle ricerche per i Testimoni di Geova — Edizione 2019
    • 1:14

      Puoi vivere felice per sempre, lez. 15

      Perspicacia, vol. 1, pp. 435-436

      Perspicacia, pp. 320, 490, 927-928, 1064, 1070, 1135-1136, 1162, 1188

      La Torre di Guardia,

      15/1/2005, p. 13

      1/4/1993, p. 12

      15/1/1992, pp. 20-21

      15/9/1991, p. 23

      1/9/1989, p. 11

      Trinità, pp. 15-16

  • Giovanni — Approfondimenti al capitolo 1
    Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture (edizione per lo studio)
    • 1:14

      carne O “un essere umano”. Il termine greco sàrx qui si riferisce a una creatura fisica, un essere vivente fatto di carne. Quando Gesù nacque come uomo, non era più uno spirito; non assunse semplicemente un corpo fisico, come avevano fatto in passato degli angeli (Gen 18:1-3; 19:1; Gsè 5:13-15). Quindi Gesù poté giustamente definire sé stesso “Figlio dell’uomo” (Gv 1:51; 3:14; vedi approfondimento a Mt 8:20).

      la Parola è diventata carne Dalla nascita alla morte, Gesù fu in tutto e per tutto un uomo. Gesù spiegò il motivo per cui era diventato carne quando disse: “Il pane che darò è la mia carne, che offrirò per la vita del mondo” (Gv 6:51). Inoltre, solo perché era interamente umano poté provare ciò che provano gli uomini fatti di carne e sangue e diventare così un Sommo Sacerdote compassionevole (Eb 4:15). Gesù non poteva essere umano e allo stesso tempo divino; le Scritture dicono che fu “fatto di poco inferiore agli angeli” (Eb 2:9; Sl 8:4, 5; vedi l’approfondimento carne in questo versetto). Non tutti, comunque, concordavano sul fatto che Gesù fosse venuto nella carne. Per esempio gli gnostici, che erano convinti che si potesse pervenire alla conoscenza (in greco gnòsis) per vie mistiche, avevano fuso la filosofia greca e il misticismo orientale a insegnamenti cristiani apostati. Concepivano tutta la materia come male, e per questo motivo insegnavano che Gesù non era venuto nella carne ma aveva solo dato l’impressione di avere un corpo umano. A quanto pare una prima forma di gnosticismo era assai diffusa alla fine del I secolo; forse fu per questo che Giovanni scrisse specificamente: “La Parola è diventata carne”. Nelle sue lettere Giovanni mise in guardia dal falso insegnamento secondo cui Gesù non era venuto “nella carne” (1Gv 4:2, 3; 2Gv 7).

      ha vissuto Lett. “si è attendata”. Per alcuni dire che la Parola “ha vissuto [o “si è attendata”] fra noi” significa che Gesù non era un essere umano vero e proprio, ma un’incarnazione. Comunque, è interessante notare che Pietro usò un sostantivo affine, reso “tenda” o “tabernacolo”, quando parlò del suo corpo fisico come di una dimora temporanea (2Pt 1:13; nt.). Ma Pietro non stava dicendo di essere un’incarnazione, pur sapendo che dopo la sua imminente morte sarebbe stato risuscitato con un corpo spirituale e non fisico (2Pt 1:13-15; vedi anche 1Co 15:35-38, 42-44; 1Gv 3:2).

      abbiamo visto la sua gloria Durante la vita e il ministero di Gesù, Giovanni e gli altri apostoli videro una gloria, uno splendore o magnificenza, che avrebbe potuto mostrare soltanto qualcuno che rifletteva alla perfezione le qualità di Geova. Inoltre l’apostolo Giovanni, insieme a Giacomo e Pietro, fu testimone della trasfigurazione di Gesù (Mt 17:1-9; Mr 9:1-9; Lu 9:28-36). È possibile che Giovanni alludesse non solo al fatto che Gesù rispecchiava le qualità di Dio, ma anche alla trasfigurazione che era avvenuta più di 60 anni prima. Questo avvenimento aveva lasciato un’impronta indelebile anche sull’apostolo Pietro, che scrisse le sue lettere circa 30 anni prima che Giovanni scrivesse il suo Vangelo. Pietro si riferì in modo specifico alla trasfigurazione come a una straordinaria conferma delle “parole profetiche” (2Pt 1:17-19).

      un figlio unigenito Il termine greco monogenès, di solito tradotto “unigenito”, potrebbe descrivere qualcuno unico nel suo genere, solo, senza pari. Nella Bibbia è usato per definire la relazione tra un figlio o una figlia e i genitori. (Vedi approfondimenti a Lu 7:12; 8:42; 9:38.) Negli scritti dell’apostolo Giovanni questo termine è utilizzato esclusivamente in riferimento a Gesù (Gv 3:16, 18; 1Gv 4:9), ma mai in relazione alla sua nascita o esistenza come essere umano. Giovanni usa il termine per descrivere l’esistenza preumana di Gesù in qualità di Logos, o Parola, colui che “era in principio con Dio”, anche “prima che il mondo esistesse” (Gv 1:1, 2; 17:5, 24). Gesù è “figlio unigenito” in quanto fu Primogenito di Geova e l’unico a essere creato direttamente da lui. Sebbene anche altri esseri spirituali siano chiamati “figli del vero Dio” o “figli di Dio” (Gen 6:2, 4; Gb 1:6; 2:1; 38:4-7), questi furono creati da Geova tramite il suo Figlio primogenito (Col 1:15, 16). In conclusione, il termine monogenès si riferisce sia alla natura di Gesù, in quanto essere unico e incomparabile, sia al fatto che è l’unico generato direttamente ed esclusivamente da Dio (1Gv 5:18; vedi approfondimento a Eb 11:17).

      favore divino O “immeritata bontà”. Il termine greco chàris ricorre più di 150 volte nelle Scritture Greche Cristiane e, a seconda del contesto, può trasmettere diverse sfumature di significato. Quando si riferisce all’immeritata bontà che Dio mostra agli uomini, denota un dono gratuito che Dio fa in modo generoso, senza aspettarsi nulla in cambio. È espressione della sua grande liberalità, nonché della sua bontà e del suo immenso amore. Si tratta di qualcosa di non guadagnato e non meritato da chi riceve, motivato unicamente dalla generosità del donatore (Ro 4:4; 11:6). Il termine non sottolinea necessariamente che chi è oggetto di questa bontà ne sia indegno, motivo per cui anche Gesù può essere oggetto del favore, o bontà, di Dio. In contesti che riguardano Gesù, chàris è appropriatamente reso “favore divino”, come in questo versetto, o “favore” (Lu 2:40, 52). In altri casi ancora, il termine greco è reso “favore” e “generoso dono” (Lu 1:30; At 2:47; 7:46; 1Co 16:3; 2Co 8:19).

      in lui abbondavano favore divino e verità “La Parola”, Gesù Cristo, godeva del favore di Dio e diceva sempre la verità. Ma il contesto indica che questa espressione implica molto di più; Geova scelse proprio suo Figlio perché spiegasse e dimostrasse appieno cosa fossero la Sua immeritata bontà e la verità (Gv 1:16, 17). Gesù manifestò in modo così completo queste qualità di Dio che poté dire: “Chi ha visto me ha visto anche il Padre” (Gv 14:9). Gesù fu lo strumento di Dio per estendere l’immeritata bontà e la verità a chiunque le avrebbe accolte favorevolmente.

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