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  • Perché lo sport ci entusiasma?
    Svegliatevi! 1982 | 22 settembre
    • Perché lo sport ci entusiasma?

      Lo sport: perché aumenta la violenza?

      ERANO le 10,38 del 25 ottobre 1981. Oltre quattordicimila persone equipaggiate per la corsa erano allineate all’ingresso del ponte Giovanni da Verrazzano, sulla Staten Island (New York). All’improvviso un colpo di cannone ruppe il silenzio e due fiumi di gente cominciarono ad attraversare il ponte uno a fianco dell’altro. Quale occasione aveva attirato una partecipazione così massiccia? La maratona di New York, edizione 1981.

      Secondo i calcoli circa due milioni di persone videro la maratona lungo i 42 chilometri di percorso e milioni d’altre la videro in televisione. Vi parteciparono atleti di cinquantasette paesi. Tutta New York partecipò all’avvenimento e milioni di nuovaiorchesi e di altri furono presi dall’entusiasmo.

      Lo sport appassiona persone di ogni parte del mondo. Per esempio, recenti notizie di cronaca parlano del crescente entusiasmo suscitato in Cina dallo sport. Il New York Times (18 nov. 1981) riferiva: “Decine di migliaia di cinesi sono affluiti la settimana scorsa nella vasta zona centrale [di Pechino] per chiassosi festeggiamenti . . . L’euforia era stata provocata dalla vittoria ottenuta su Stati Uniti . . . e Giappone . . . dalla squadra femminile di pallavolo cinese che aveva conquistato il suo primo titolo mondiale”. Anche i cinesi, di norma tranquilli, si fecero trascinare dall’entusiasmo. La pallavolo divenne una notizia da prima pagina nella stampa di Pechino.

      Un altro rimarchevole caso di entusiasmo suscitato da uno sport è quello delle finali di calcio valevoli per la Coppa del Mondo del 1982 disputate in Spagna fra il 13 giugno e l’11 luglio 1982 tra le 24 nazioni qualificatesi. Negli scorsi due anni oltre cento paesi si sono disputati il privilegio d’essere tra le ultime 24 squadre che hanno giocato in finale. Centinaia di milioni di tifosi in tutto il mondo hanno seguito queste partite di calcio con vivo interesse. A Lagos, in Nigeria, una folla numerosa gremì lo stadio per otto ore prima del calcio d’inizio nella partita fra Nigeria e Algeria. Analogamente, folle di tifosi cinesi celebrarono il successo della Cina sul Kuwait in una partita di qualificazione ai mondiali di calcio.

      Non c’è dubbio che gli sport attirano ed eccitano le masse. Ma perché?

      Un fatto fondamentale della vita moderna è che nella nostra società regolata dai computer milioni di persone sono costrette a condurre un’esistenza monotona. Di conseguenza molti vogliono uscire dalla loro noiosa routine per entrare nel mondo eccitante e illusorio dello sport. La minoranza si realizza partecipando. La maggioranza, stando a guardare. Ma vogliono tutti provare eccitazione, ed essa deriva dall’incertezza. L’incertezza è la chiave dello sport: chi vincerà? Così moltitudini di persone corrono a vedere manifestazioni sportive o restano incollate al televisore.

      Ma gli sport sono utili o nocivi? Possono recarvi beneficio, sia che partecipiate o che siate spettatori? Che dire dello sport a vari livelli: scolastico, universitario e professionistico? Perché gli sport sono sempre più violenti, e perché la violenza si è propagata alle tribune degli stadi?

  • Perché la violenza nello sport?
    Svegliatevi! 1982 | 22 settembre
    • Perché la violenza nello sport?

      Lo sport: perché aumenta la violenza?

      QUI sotto sono riprodotti solo alcuni titoli comparsi negli ultimi anni nella pagina sportiva e sulla prima pagina dei giornali di diverse nazioni. Lo sport è ora caratterizzato dalla violenza, sia nel campo da gioco che fuori. Ma perché?

      La violenza è aumentata?

      Stanley Cheren, assistente di psichiatria presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Boston, ha scritto recentemente: “Man mano che la popolazione si abitua alla violenza, cresce il bisogno di una violenza più estrema per appagare il desiderio di uno stimolo violento. . . . Pagheranno una fortuna per vedere qualcuno farsi male. . . . Aumenta via via che la gente è più annoiata. Negli anni trenta gli spettatori si scandalizzarono vedendo sullo schermo James Cagney schiaffeggiare una donna. Ora questo è niente; ci vogliono atti di violenza molto più gravi per scatenare l’entusiasmo. . . . Così, malgrado il fatto che dei pugili abbiano perso la vita sul ring, i tifosi volevano più azione. . . . Annoiati come siamo, arriviamo al punto di permettere ai nostri atleti di rischiare la vita”.

      Citiamo come esempio uno sport popolare nell’America del Nord, il football (da non confondere con il calcio). Il football americano è stato sempre riconosciuto come uno sport piuttosto rude, analogo al rugby inglese, ma più rude ancora. Negli ultimi tempi, però, il gioco violento è diventato una cosa normale. L’equipaggiamento protettivo diventa spesso un’arma d’offesa. Per esempio, i giocatori usano i durissimi caschi di plastica per infliggere gravi colpi agli avversari.

      La violenza del gioco è riassunta dai seguenti commenti del giocatore professionista Jack Tatum (della squadra di football degli Oakland Raiders) nel suo recente libro They Call Me Assassin (Mi chiamano assassino):

      “Il football professionistico è spietato e brutale; non c’è molto posto per i sentimentalismi”.

      “Non faccio mai un placcaggio solo per abbattere qualcuno. Voglio colpire l’uomo a cui sto dietro e voglio sappia che si farà male ogni volta che intralcia il mio cammino”.

      “Ho usato la parola ‘sopprimere’ e quando colpisco qualcuno cerco veramente di sopprimere, ma non intendo per sempre. Voglio dire che tento di sopprimere il gioco o il passaggio, ma non l’uomo . . . la struttura del football è tale che si deve colpire l’avversario”.

      “Mi piace credere che i miei colpi migliori rasentino l’aggressione, ma nello stesso tempo tutto quello che faccio è secondo le regole”.

      L’ultimo commento di Tatum merita attenzione. È stato “secondo le regole” che un suo placcaggio ha paralizzato permanentemente un uomo. Ciò che in qualsiasi altro posto sarebbe aggressione sul campo da gioco è legittimo. Non è strano che un cronista sportivo abbia scritto: “Con indosso la divisa si è sotto la protezione della legge”.

      Le osservazioni di Tatum non sono l’opinione di un particolare giocatore. George Perles, viceallenatore dei Pittsburgh Steelers, ha detto: “[Il football americano] è un gioco molto, molto violento, cattivo, brutale, mascolino”. William B. Furlong ha scritto in un articolo pubblicato dal Times Magazine di New York: “Il gioco al centro della linea di mischia è sempre stato violento, così violento a volte come un combattimento col coltello in una stanza oscura . . . spesso si ricorre a pugni, imprecazioni, dita negli occhi, calci”.

      Jerry Kramer, segnalinee della squadra di football dei Green Bay Packers, ha scritto nel suo libro Instant Replay: “Cominciavo la giornata deciso a essere cattivo e a fare sul serio durante la partita. Non è una cosa che si possa fare solo il sabato o la domenica [prima della partita]. Bisogna cominciare lunedì o martedì [una settimana prima della partita] . . . Si comincia a provare ira, poi odio, e il sentimento diventa sempre più forte finché, la domenica, le emozioni sono così eccitate che si è pronti per esplodere. . . . Quando voglio odiare qualcuno, mi prefiggo di non guardare l’altra squadra prima della partita . . . Ritengo che se non vedo [l’avversario], potrò odiarlo un po’ di più”.

      Questo stesso spirito violento viene manifestato sempre più anche nel calcio. Heitor Amorim, ex portiere dei Corinthians, squadra di calcio di San Paolo, in Brasile, fa questi commenti: “Ho abbandonato il calcio nel 1970 e a quell’epoca era in una fase di transizione. Stava cambiando da gioco di abilità a gioco di forza. Bravura e abilità cominciarono a cedere il posto alla violenza. Credo che se Pelé [forse il più grande calciatore di tutti i tempi] giocasse oggi non potrebbe vincere la metà delle meravigliose partite giocate negli anni sessanta. La violenza glielo impedirebbe. E i tifosi si farebbero trascinare da essa. Sembra che amino la violenza”.

      Anche in quegli sport considerati un tempo l’essenza del fair play e del comportamento cavalleresco, come il tennis e il cricket, si è infiltrata la violenza, sia verbale che fisica. Il tennis era un tempo il gioco di gente educata che aveva imparato a manifestare uno spirito sportivo. Nell’ultimo decennio questo spirito ha ceduto il posto a una serie di invettive, accessi d’ira e oscenità da parte di alcuni dei principali professionisti.

      Che dire delle scuole?

      Dato che gli sport sono diventati così violenti a livello professionistico, è strano che uno spirito simile si sia infiltrato nelle università e nelle scuole superiori? Marvin Vickers, un robusto giovanotto di ventiquattro anni del New Jersey, giocava nella squadra di football della sua scuola superiore di North Brunswick e gli era stato proposto di giocare a livello universitario. Cosa dice egli della violenza nello sport a livello scolastico? “Gli allenatori ci insegnavano a fare un gioco sleale. Per esempio, se sapevamo che un avversario si era fatto male alle costole l’ordine era di picchiare su quelle costole. Anzi, se non ferivamo due o tre loro giocatori mettendoli fuori combattimento, non era una vera partita”.

      Anche nelle squadre delle scuole superiori viene instillato nei giovani uno spirito di odio e di violenza. Fred F. Paulenich, che insegna presso istituti superiori, ha scritto: “Si insegna ai giovani a ferire, imbrogliare, ingannare in nome della dea della Vittoria. Gli allenatori fanno vedere alle squadre delle scuole superiori e delle università film violenti per renderle più aggressive con gli avversari”.

      Dave Schultz, giocatore canadese di hockey su ghiaccio, famoso per il suo gioco turbolento, ha detto recentemente: “Mi scuso con i giovani giocatori che hanno visto il mio stile o il mio gioco e ne hanno seguito l’esempio. . . . Giocavo così perché pareva che tutti — allenatori, tifosi, mezzi d’informazione — se lo aspettassero da me”.

      Perché la violenza è aumentata?

      “Allenatori, tifosi, mezzi d’informazione”. Questi sono alcuni degli elementi che hanno maggiormente contribuito a introdurre la violenza nello sport. Essi fanno funzionare la legge della domanda e dell’offerta. I tifosi vogliono azione ed eccitazione. Questa è la domanda. Gli allenatori sono spesso impiegati dai magnati dell’industria che vogliono far fruttare il denaro che hanno investito. Questo serve a far contenti i tifosi. Così gli allenatori sono spinti a soddisfare la domanda del pubblico. Dal canto loro, i mezzi d’informazione, specie la televisione, fanno la propria parte, a volte esaltando e a volte condannando la violenza.

      Alcuni anni fa Vince Lombardi, allenatore della squadra americana di football dei Green Bay Packers, ha espresso la sua filosofia sportiva con la seguente frase ormai trita e ritrita: “Vincere non è tutto; è l’unica cosa”. Certo l’idea non ha avuto origine da lui. Egli ha semplicemente sintetizzato in poche parole la mentalità prevalente negli sport professionistici.

      Ma perché è così importante vincere? Il succitato articolo di cronaca fornisce la risposta: “Le università americane investono molti milioni di dollari nei loro programmi atletici di prima categoria (soprattutto per atleti che hanno ricevuto una borsa di studio) per molte ragioni, una delle quali e non certo la minore è la possibilità di trarre immensi profitti da valide squadre di pallacanestro e di football americano”.

      Grossi affari e profitti sono la molla degli sport, essendo divenuti un’enorme fonte di denaro. Il combattimento fra Sugar Ray Leonard e Thomas Hearn nel settembre del 1981 “è stato l’avvenimento sportivo più redditizio della storia con un approssimativo guadagno lordo di 37 milioni di dollari”. Recentemente otto giocatori americani di baseball hanno firmato contratti “che vanno in media da 500.000 a 926.000 dollari all’anno”. Fernando Valenzuela, il famoso lanciatore messicano dei Dodgers di Los Angeles, avrebbe guadagnato da 300.000 a 500.000 dollari in una stagione solo facendo la pubblicità a certi prodotti. Secondo il quotidiano argentino La Nacion, il club calcistico Boca Juniors ha depositato l’equivalente di un milione di dollari in “pagamento della prima parte del prezzo d’acquisto di Diego Armando Maradona”, uno dei più famosi calciatori argentini. Dall’Australia apprendiamo: “Ora non c’è più limite e il football è un grosso affare: ciascuno dei 12 club della Lega di Football del Victoria ha un annuale giro di affari di circa un milione di dollari [australiani]”.

      Qual è il risultato finale di tutto questo? Accresciuta violenza. Perché? Perché a questo punto lo sport ha bisogno di ricavare immense entrate dagli spettatori e dai canali televisivi. Ciò significa che per garantire un costante enorme afflusso di denaro bisogna trasformare l’utente in un patito dello sport. Come si ottiene questo? Provvedendo ciò che il cliente richiede: eccitazione. E l’eccitazione di solito significa violenza. Così si stabilisce un circolo vizioso. Gli allenatori devono insegnare ed esigere la violenza perché i tifosi o “fans” (abbreviazione di “fanatics”, cioè “fanatici”) la vogliono. E i pezzi grossi del commercio vogliono i loro profitti. E i mezzi d’informazione, per incrementare le loro stesse vendite, a volte adulano e a volte accusano. Presi nel mezzo di questo circolo vizioso ci sono i giocatori che devono essere all’altezza della situazione, fornendo azione, eccitazione e violenza.

      Perché la violenza fra gli spettatori?

      Gli esorbitanti guadagni e premi accordati oggi ai giocatori hanno dato origine a un secondo motivo di violenza. Come mai? Lo spettatore paga caro il biglietto per vedere giocatori professionisti pagati straordinariamente bene. Di conseguenza esige sempre la perfezione. Non è ammesso né fallimento né giorno di libertà. Questo fatto è ben spiegato dal professor John Cheffers dell’Università di Boston: “C’è stata una sostanziale diminuzione di rispetto per i giocatori che i tifosi sportivi considerano pagati troppo bene, a volte bizzosi, sicuramente viziati. Di conseguenza, il presentare dei giocatori professionisti come foche ammaestrate, da cui si esige in ogni atto la perfezione, li disumana e li rende simili a merce agli occhi dei direttori tecnici e degli spettatori”.

      Qual è la logica conseguenza di questo processo? La violenza degli spettatori. Ma perché? Ebbene, cosa fate se avete comprato un prodotto al supermercato e vi accorgete che è difettoso? Protestate con il gestore o il fabbricante ed esigete un risarcimento. E come vi lamentate in uno stadio se la prestazione non è ciò che vi aspettate? Dato che non esiste un canale ufficiale per ottenere il risarcimento, i tifosi delusi si sfogano con atti di violenza.

      Negli scorsi due decenni la violenza degli spettatori è stata favorita da altri due elementi: droga e alcool. Molti tifosi arrivano allo stadio già ubriachi o sotto l’effetto della droga, o sono a buon punto in quella direzione, e provvisti di ulteriori quantità di birra e marijuana per sostenersi durante la partita. Man mano che la partita procede la folla diventa tumultuosa, le inibizioni scompaiono, e nei titoli dei giornali del giorno dopo compariranno le parole “violenza insensata”.

      In Europa la violenza degli spettatori ha raggiunto livelli tali che molti paesi non vogliono certi tifosi alle loro partite. “Tifosi inglesi, non tornate!” era lo slogan a Basilea, in Svizzera, dopo che i tifosi inglesi si erano scatenati in quella tranquilla città svizzera. Gli abitanti del centro di Barcellona, in Spagna, rabbrividiscono quando pensano ai tifosi dei Rangers di Glasgow che nel 1972 seminarono il panico nelle loro strade. Il fatto che la situazione peggiora è confermato da ciò che un tifoso inglese ha detto con imbarazzo: “Sono andato alle nostre partite all’estero per tredici anni e ho visto la situazione peggiorare sempre più. Ora teppisti di Chelsea, West Ham e Manchester vengono solo per sfogare la loro aggressività. Non guardano neppure le partite”.

      Esiste una soluzione?

      La violenza nello sport, sia nel campo da gioco che fuori, è ora una piaga mondiale. Viene proposta e tentata ogni forma di soluzione approssimativa. In molti stadi del mondo i tifosi sono ora trattenuti dietro un fossato, come animali selvaggi in uno zoo. In alcuni stadi i tifosi delle due squadre sono tenuti separati in settori diversi. Le squadre di polizia sono rinforzate. Alcuni esperti hanno proposto leggi e sanzioni severe per i giocatori e gli spettatori violenti. Alcuni sportivi hanno addirittura incoraggiato l’abolizione di certe azioni violente in alcuni sport, come l’hockey su ghiaccio. “Ma i proprietari delle squadre, temendo l’effetto che questo potrebbe avere sulla vendita dei biglietti, non hanno mai agito in tal senso”.

      Ovviamente, lo spirito cavalleresco e il fair play non possono essere inculcati nel cuore e nella mente degli uomini con le leggi. Devono essere insegnati come parte integrante di un modo equilibrato di vedere la vita. Ma è possibile insegnarli? E se sì, come può questo recare beneficio a voi e ai vostri figli? Cosa si può fare affinché lo sport divenga uno svago sano anziché una questione di vita o di morte?

      [Immagine a pagina 4]

      The New York Times, 18 ott. 1981”

      “Lo sport e la violenza

      The Guardian, 7 nov. 1981”

      “Ripensando a un’orgia di violenza

      The Australian, 15 sett. 1980”

      “Partita violenta: muore un giocatore di football

      The New York Times 27 lug. 1980”

      “Violenza dei tifosi

      Daily News, 16 ott. 1981”

      “I tifosi diventano violenti

      The Express, 2 mar. 1981”

      “Guantoni d’Oro muore dopo aver perso l’incontro a Easton

      [Immagini a pagina 5]

      QUESTO ha causato QUESTO

  • Lo sport, la famiglia e il buon senso
    Svegliatevi! 1982 | 22 settembre
    • Lo sport, la famiglia e il buon senso

      Lo sport: perché aumenta la violenza?

      “QUELLA donna è venuta verso di me correndo e urlando parolacce. Io mi sono scansata, ma lei mi ha preso a calci e mi ha graffiato”. La versione dell’altra donna: “Sono andata lì e quella donna mi ha dato un pugno, allora io le ho dato un calcio, ma entrambe abbiamo mancato il bersaglio. Mi dispiace di averlo mancato. Gliene avrei dato un altro”.

      Di che si trattava? Di un incontro femminile di lotta? No, erano due madri canadesi che a un torneo calcistico litigavano violentemente per i loro figli di dieci anni.

      Forse questo illustra uno dei problemi che si presentano ad alcuni ragazzi che fanno dello sport: i loro genitori. Una madre ha scritto riguardo a suo figlio che gioca a baseball nella categoria iuniores: “L’abbiamo proposto ai nostri ragazzi come un divertimento, un privilegio . . . E siamo stati noi a esserne trascinati. Abbiamo imposto il nostro spirito competitivo a quei poveri ragazzi, e poi ci siamo accorti che giocavano a baseball non per loro soddisfazione ma per vedere noi contenti”.

      In Australia “bambini di appena cinque o sei anni sono costretti a vivere in un’atmosfera altamente stressante e competitiva, nonostante la posizione ufficiale di molte organizzazioni — rugby, calcio e cricket — secondo cui non dovrebbero cominciare prima dei 10 o 12 anni”. Il dott. W. W. Ewens del Nuovo Galles del Sud ha detto che esistono prove “ragionevolmente conclusive secondo cui, sul piano fisiologico, psicologico e sociologico, i ragazzi non erano preparati a praticare uno sport di un certo livello”.

      Perché allora genitori e allenatori fanno tanta pressione sui ragazzi? “I genitori oltrepassano i limiti quando tentano di identificarsi nei figli o di vivere attraverso loro”, ha detto il dott. Leonard Reich, esperto nuovaiorchese di psicologia infantile. “Per alcuni genitori rappresenta l’opportunità di tornare ai giorni della loro giovinezza”. Il solo problema è che hanno la tendenza ad applicare criteri da adulti alle partite dei figli. Come risultato, ciò che potrebbe essere un divertimento diventa uno smodato desiderio di vittoria.

      Buon senso

      Ovviamente i genitori dovrebbero interessarsi degli svaghi dei loro figli, ma la loro partecipazione dovrebbe essere costruttiva e rivelare buon senso. Il famoso giocatore di hockey su ghiaccio Bobby Orr spiega: “Mio padre non mi ha mai spinto a giocare. Giocavo perché mi piaceva”. L’allenatore nuovaiorchese Vincent Chiapetta ha detto riguardo a suo figlio: “Anche se mi occupavo di atletica non ho cercato di costringere mio figlio a correre. . . . Assistevo alle sue gare perché era mio figlio ed era mia responsabilità. Ma quando ho visto che l’allenatore faceva pressione sui ragazzi gli ho detto che avrei fatto ritirare mio figlio. Gli ho fatto sapere che, per quanto mi riguardava, vincere non era l’unica cosa. Dopo tutto, un gioco è solo un gioco”.

      E cosa pensano i ragazzi quando mamma e papà partecipano insieme a loro a qualche gioco all’aperto? Rick Rittenbach, uno di sei figli, rammenta: “Essendo in sei giocavamo spesso a softball o a pallavolo. E so che faceva piacere a tutti quando mamma e papà si univano a noi. E ovviamente anche loro si divertivano. Sono sicuro che questo è uno dei molti fattori che hanno contribuito a tenere unita la nostra famiglia”.

      La partecipazione a qualche sport può essere uno stimolo per tutti, indipendentemente dall’età. Ma specie i ragazzi considerano lo svago un avvenimento importante e quando c’è anche una buona relazione con i genitori i benefici sono molteplici. Allora la famiglia è felice, sana e unita. Ma qual è il segreto? Il buon senso. Lo svago e lo sport dovrebbero essere un passatempo, non un’attività agonistica o un divisivo campo di battaglia.

      Addestramento fisico: utile?

      La Bibbia offre qualche suggerimento pratico nel campo dello sport?

      In primo luogo notiamo il prezioso consiglio che la Bibbia dà: “La vostra ragionevolezza divenga nota a tutti gli uomini”. (Filippesi 4:5) Questo indica subito che è necessario usare buon senso in tutte le cose. Per esempio, l’apostolo Paolo, nel mondo greco del suo giorno dove si dava tanta importanza all’atletica, scrisse a un giovane cristiano: “Allenati continuamente ad amare Dio. Allenare il corpo serve a poco; amare Dio, invece, serve a tutto”. (I Timoteo 4:7, 8, Parola del Signore, Il Nuovo Testamento) Un’altra traduzione dice così: “La ginnastica del corpo è utile a ben poco”. — Versione di Garofalo.

      Se dunque lo sport serve a poco, è saggio dedicarvi tutto il proprio tempo? I veri valori della vita si basano sullo sport? E che dire se lo sport va contro i fondamentali principi cristiani, come quello di ‘amare il prossimo come se stessi’ o di ‘fare agli altri come si vorrebbe facessero a noi’? Che dire se attività sportive extrascolastiche portano ad avere contatti non necessari con persone che non seguono i principi cristiani? La spiritualità ne sarà indebolita? Primo Corinti 15:33 non risponde forse di sì? “Non siate sviati. Le cattive compagnie corrompono le utili abitudini”.

      Anche se gli sport, praticati per ragioni di svago, sono di una certa utilità, bisogna essere consapevoli degli eventuali pericoli quando vengono presi troppo sul serio. La Bibbia fornisce una norma a questo riguardo: “Non diveniamo egotisti, suscitando competizione gli uni con gli altri, invidiandoci gli uni gli altri”. (Galati 5:26) L’articolo precedente mostrava come l’accresciuta competizione può condurre alla violenza. Uno spirito eccessivamente competitivo priva in gran parte del piacere che il gioco può dare dal momento che l’obiettivo finale, la vittoria, diventa l’unica cosa importante.

      Altre traduzioni di questo versetto dicono: “Non cerchiamo la vanagloria”. (Versione della CEI) I giovani sono attratti dall’illusione del successo nello sport. Sognano di diventare famosi, di vincere, d’essere là in mezzo alla mischia. Per la stragrande maggioranza questo è un sogno impossibile. Per i pochi “privilegiati” il prezzo è alto, spesso terribilmente alto. Darryl Stingley, ex giocatore americano di football, lo sa anche troppo bene. In seguito a un micidiale placcaggio nell’agosto del 1978 è rimasto paralizzato dal collo in giù.

      Heitor Amorim, famoso calciatore brasiliano, mette a fuoco la cosa dicendo: “Non bisogna mai dimenticare che sono pochissimi quelli che diventano famosi e ricevono tutti gli onori che accompagnano il successo. Per ognuno che ce la fa ce ne sono migliaia che soffrono per la delusione. Hanno interrotto gli studi, hanno fallito nello sport e cosa gli rimane? Sono trattati con disprezzo. Nessuno vuol conoscere un perdente oggigiorno”.

      In sostanza, qual è dunque il miglior consiglio da seguire riguardo allo sport? Lasciamo che a rispondere a questa domanda sia l’australiano Peter Hanning, ex giocatore di football (professionista dal 1964-1975 per i Swan Districts): “Il consiglio che do ai giovani è questo: Fate esercizio per puro piacere. Lo sport è uno svago che vi aiuterà ad essere sani e felici, se lo praticate per passatempo. Ma lo sport professionistico è un’altra cosa. Richiede dedizione completa, un impegno che esclude qualsiasi altra cosa. E il prezzo che si paga è alto: ogni relazione, sia con i propri simili che con Dio, ne soffrirà. Entrate a far parte di un mondo chiuso di adulazione, immoralità, invidia, orgoglio e avarizia. E si corre il perenne rischio di farsi male con conseguente invalidità. O, forse ancor peggio per chi ha una coscienza, di danneggiare gravemente altri. In quanto a me, la lista dei miei incidenti include un braccio rotto, frattura del naso (quattro volte) e di uno zigomo, asportazione della cartilagine di un ginocchio, due lesioni alla schiena e due commozioni cerebrali. E in paragone ad alcuni, me la sono cavata con poco!”

      Pertanto, anche se è vero che la “gloria dei giovani è la loro forza” (Proverbi 20:29, Mariani), bisogna anche ricordare che le relazioni della vita non si basano sulla forza ma sulla sapienza. Nel dedicarvi a qualche sport usate dunque buon senso. Sia una distrazione per voi, ma non lasciate che diventi un’ossessione. Traetene nuovo vigore, ma non diventatene mai schiavi.

      [Immagine a pagina 11]

      “L’addestramento corporale è utile per un poco”. — I Timoteo 4:8

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