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  • “Non è possibile!”
    Svegliatevi! 1987 | 8 agosto
    • “Non è possibile!”

      “IL 31 MAGGIO 1982 era una bella giornata. C’era il sole, il cielo era azzurro, e io pensai che quella sarebbe stata l’occasione ideale per dare una pulita al giardino. Avevamo da poco tagliato il vecchio olmo e c’erano ancora degli stecchi e dei rami sul prato. Poi ricordai che il nostro amico George aveva un attrezzo che avrebbe facilitato il lavoro, così gli telefonai.

      “George era un abile pilota e amava volare. Perciò non mi sorpresi quando mi disse che avrebbe fatto fare un giro in aereo ad alcuni amici e chiese se volevamo andare anche noi. Mia moglie Dianne ed io decidemmo che sarebbe stato un gradevole cambiamento dopo aver pulito il giardino. Portammo con noi la nostra bambina di tre anni. Maria, una bella bambina vivace con i capelli e gli occhi castano scuri, era tutta eccitata.

      “Quando arrivammo all’aeroporto, un altro amico stava aspettando il suo turno per fare un giro, così ci stipammo tutti nell’aereo a quattro posti. Sorvolammo il lago e puntammo verso i monti. Era bello. Guardando fuori del finestrino si vedevano punti di riferimento ben noti. Delle persone stavano facendo un picnic su una collina. Maria era elettrizzata. Poi, mentre stavamo sorvolando la cresta del colle, l’aereo fu investito da un’improvvisa corrente d’aria discendente. Il motore andò in stallo e si spense, e l’aereo precipitò!

      “L’unica cosa che riuscii a pensare fu di cercare di mettermi fra mia moglie, che teneva Maria sulle ginocchia, e il sedile di fronte, ma non feci a tempo: l’aereo urtò contro il fianco del monte.

      “Feci per alzarmi ma non potevo muovermi. Sentivo Dianne gridare aiuto ma non potevo fare nulla. Potevo solo gridare aiuto.

      “Alla fine giunsero squadre di soccorritori per portarci giù dal monte. Benché avessimo fatto un atterraggio di emergenza perfetto, George e l’amico erano morti. Noi avevamo riportato gravi ferite. Maria aveva riportato ferite alla testa e lesioni interne. Mio suocero ebbe il penoso compito di venire all’ospedale per dirmi che era morta: fu come una pugnalata al cuore. ‘Perché lei? Perché non io? Non è giusto che una bambina come lei sia morta’, pensai. Se solo non avessi accettato di fare quel giro . . .

      “Dianne era in gravissime condizioni, e aveva la schiena rotta. Tre settimane dopo la sciagura anche lei morì. Avevo perso mia figlia e mia moglie in un sol colpo. Pensai di avere perso tutto. Come avrei fatto a continuare a vivere?” — Narrato da Jess Romero, New Mexico (USA).

      “Mio figlio Jonathan era andato a Long Island a trovare degli amici. Mia moglie Valentina non era contenta che ci andasse. Era sempre nervosa per via del traffico. Ma a lui piaceva l’elettronica e i suoi amici avevano un laboratorio dove poteva farsi un’esperienza pratica. Io ero a casa a West Manhattan. Mia moglie era andata a trovare i parenti a Puerto Rico.

      “Stavo sonnecchiando davanti al televisore. ‘Jonathan sarà presto di ritorno’, pensai. Poi suonò il campanello. ‘È lui senz’altro’. Non era lui. Era la polizia.

      “‘Riconosce questa patente di guida?’, chiese l’agente. ‘Sì, è di mio figlio Jonathan’. ‘Dobbiamo darle una cattiva notizia. C’è stato un incidente, e . . . suo figlio, . . . suo figlio è rimasto ucciso’. La mia prima reazione fu: ‘No puede ser! No puede ser!’ Non è possibile!

      “Quella sconvolgente notizia aprì nel nostro cuore una ferita che non si è ancora rimarginata, anche se sono passati quasi due anni”. — Narrato da Agustín Caraballoso, New York (USA).

      “Eravamo una famiglia felice, nonostante che negli anni ’60 in Spagna fossimo oggetto di persecuzione religiosa perché eravamo Testimoni. La famiglia era formata da me, da mia moglie María, e dai nostri tre figli, David, Paquito e Isabel, rispettivamente di 13, 11 e 9 anni.

      “Un giorno del marzo 1963 Paquito tornò a casa da scuola accusando un forte mal di testa. Non riuscivamo a capire quale potesse essere la causa, ma non rimanemmo all’oscuro per molto. Tre ore dopo era morto. Un’emorragia cerebrale lo aveva stroncato.

      “Paquito morì 24 anni fa. Nonostante ciò, sentiamo ancora il profondo dolore provocato da quella perdita. È impossibile che dei genitori perdano un figlio senza sentire di aver perso qualcosa di sé, indipendentemente dal tempo che passa o dal numero di altri figli che possono avere”. — Narrato da Ramón Serrano, Barcellona (Spagna).

      Queste sono soltanto alcune dei milioni di tragedie che si abbattono sulle famiglie in ogni parte del mondo. Come confermerà la maggioranza dei genitori, quando la morte si prende un figlio, è davvero una nemica. — 1 Corinti 15:25, 26.

      Ma come hanno fatto le persone dei casi appena citati a continuare a vivere? È possibile riprendere una vita normale dopo una simile perdita? C’è qualche speranza di rivedere i nostri cari morti? Se c’è, dove e come? Queste e altre domande attinenti saranno prese in esame negli articoli che seguono.

      [Fonte dell’immagine a pagina 3]

      The Daily Herald, Provo (Utah)

  • “Come posso sopportare il mio dolore?”
    Svegliatevi! 1987 | 8 agosto
    • “Come posso sopportare il mio dolore?”

      LA TRAGEDIA risale a diciotto anni fa. Bob e Diane Krych avevano un bambino di sei anni, David, con un difetto cardiaco congenito. Diane narra la storia:

      “Un medico ci aveva consigliato di sottoporlo a un esame entro un anno circa, e fummo d’accordo. David era pieno di vita, quasi iperattivo. Ricordo che era il 25 gennaio, e David aveva infastidito la sorella, mettendo sottosopra la sua stanza. Quando mi chiese se poteva andar fuori a giocare, lo lasciai andare.

      “Qualche tempo dopo sentii la sirena di un’ambulanza e poi una vicina giunse di corsa per il vialetto gridando: ‘Diane, vieni, è David!’ Uscii e lo vidi steso sopra il cofano dell’auto che lo aveva investito. Non riuscivo a muovermi. Mi sentivo come paralizzata. Lo portarono via con l’ambulanza. Ma fu tutto inutile. Il suo cuoricino cedette e cessò di vivere”.

      Svegliatevi!: “Che effetto ebbe su di te questa terribile perdita?”

      Diane: “Passai attraverso una serie di reazioni: stordimento, incredulità, senso di colpa e ira verso mio marito e verso il medico che non si erano resi conto della gravità della sua condizione. Mi ero arrabbiata così tanto con David quel giorno. Avevo ospiti a pranzo e dovevo accudire un bambino di dieci settimane. Era troppo. Dopo di che so solo che portavano il mio David all’ospedale.

      “Non volevo credere che fosse morto. Non volevo accettare le parole ‘morto’ e ‘morte’. Per quanto mi riguardava, era partito per un viaggio. ‘È vivo nella memoria di Dio e tornerà’, pensavo. Così circa sette settimane dopo che era morto, cominciai a scrivergli lettere. Gli ho scritto per tredici anni!”

      Quanto dura il dolore?

      Che il dolore di Diane sia durato così a lungo conferma quanto dice il dott. Arthur Freese in un suo libro sull’argomento (Help for Your Grief): “Quasi tutti gli esperti ritengono che la perdita di un figlio produca nei genitori, specie nella madre, un vuoto permanente”.

      “Il dolore si rinnova col volgere dell’anno”, pensava il poeta Shelley. Le cose che col passar dell’anno ricordano la persona deceduta riacutizzano il tormento. Oggi milioni di persone possono confermarlo e chiedere in effetti: ‘Come posso sopportare il mio dolore?’ Tuttavia dal dolore si guarisce, anche se forse non del tutto. Il dolore acuto diminuisce, sebbene il senso di vuoto rimanga.

      Questa opinione è confermata da due inglesi, Harold e Marjorie Bird, che dieci anni fa hanno perso il loro figlio di diciannove anni, Stephen, morto per annegamento. A peggiorare le cose, era figlio unico e il suo corpo non fu mai trovato. Harold afferma: “Si dice che il tempo è un gran medico, ma in effetti affievolisce solo il ricordo della persona cara. La ferita sarà veramente sanata solo quando lo rivedremo nella risurrezione”.

      Uno studio scientifico dell’argomento spiega a questo proposito: “Il familiare del defunto può passare penosamente e rapidamente da uno stato all’altro, alternando momenti in cui evita ciò che gli ricorda il morto a momenti in cui si culla di proposito nei ricordi. Si passa in genere da uno stato di incredulità alla graduale accettazione della realtà della perdita”.

      Il dott. Freese introduce una nota luminosa in questo triste argomento. “Bisogna sempre vedere le cose nella giusta prospettiva, riconoscere che la stragrande maggioranza di coloro che soffrono per la perdita di una persona cara . . . supereranno quel brutto momento, si riprenderanno e continueranno a vivere più o meno nelle stesse condizioni fisiche in cui erano quando la loro pena e la loro sofferenza ebbe inizio”.

      Anzi, in molti casi la persona ne uscirà rafforzata. Perché? Perché l’esperienza le ha insegnato ad avere empatia, a capire meglio chi ha subìto una perdita simile, a immedesimarsi in lui. E dal momento che l’empatia è molto più della simpatia, chi sopravvive al dolore diviene prezioso, essendo in grado di consigliare, di consolare altri che perdono un loro caro. Per citare un esempio, Bob, il cui figlio David morì di collasso cardiaco, ha detto: “Riscontriamo che aiutando altri a sopportare il loro dolore abbiamo alleviato il nostro”.

      Senso di colpa, ira e recriminazioni: perché?

      Gli esperti in materia ammettono che il senso di colpa, l’ira e le recriminazioni che spesso accompagnano la perdita di una persona cara sono reazioni normali in questa situazione. I superstiti cercano di trovare delle ragioni quando spesso non ce n’è nessuna valida o logica. ‘Perché è accaduto proprio a me? Cos’ho fatto per meritarmelo? Se solo avessi . . .’ sono alcune reazioni comuni. Altri se la prendono con Dio pensando: ‘Perché Dio ha permesso che accadesse? Perché mi ha fatto questo?’

      Viene in mente a questo riguardo la risposta della Bibbia: “Il tempo e l’avvenimento imprevisto capitano a tutti loro”. Incidenti possono capitare dappertutto, in qualsiasi momento, e la morte è imparziale. Certo un Dio d’amore non tormenterebbe nessuno portandogli via un figlio. — Ecclesiaste 9:11; 1 Giovanni 4:8.

      Agustín e Valentina, menzionati nell’articolo iniziale, sono scoppiati in lacrime parlando con il corrispondente di Svegliatevi! della morte di Jonathan. Avevano recriminazioni da fare? Valentina ha risposto: “Non ero mai stata d’accordo che andasse a Long Island nella macchina di altri. Devo essere sincera. Incolpai Agustín. Ora mi rendo conto che fu una reazione irrazionale, ma a quell’epoca continuavo a pensare: ‘Se solo suo padre non l’avesse lasciato andare sarebbe ancora vivo’. Continuavo a dare la colpa a lui. E dovetti dirglielo perché mi faceva male tenerlo dentro”.

      L’ira di Diane Krych per la morte prematura di David si manifestò anche col suo risentimento verso gli animali. Ha detto a Svegliatevi!: “Se vedevo un cane o un gatto per strada, pensavo: ‘Quell’animale ha un cuore che batte efficientemente. Perché mio figlio non poteva avere un cuore efficiente? Perché un animale deve potersene andare ancora in giro e mio figlio David no?’”

      Gli esperti ci assicurano che tutte queste reazioni, anche se spesso irrazionali, sono naturali. Fare domande è un modo per razionalizzare e fa parte del processo con cui ci rassegniamo alla realtà. Infine si riesce a pensare in modo abbastanza equilibrato e prevale il buon senso. Il dott. Freese dice: “Si può dire che il dolore ha fatto il suo corso — cioè sono stati adeguatamente risolti i problemi emotivi causati dal cordoglio e dal dolore, la morte è stata accettata e si guardano onestamente tutti i sentimenti che l’accompagnano — quando infine il familiare del defunto è in grado di tollerare questi brutti momenti con una sofferenza passeggera o solo con pensieri di lieve tristezza”.

      Si raggiunge così un certo equilibrio. Il dott. Freese continua: “L’ideale è che nostalgia e pensieri piacevoli, la capacità di parlare del morto con sincerità e affetto, prendano infine il posto del dolore cocente, della pena e del tormento”. A questo punto, i ricordi generano un sentimento di affetto più che di dolore.

      La perdita di un bambino nato morto

      Anche se aveva già altri figli, Monna non vedeva l’ora di mettere al mondo la bambina che portava in grembo. Anche prima della nascita, era una “bambina con cui giocavo, a cui parlavo e che sognavo”.

      Il legame fra la madre e la figlia non ancor nata era forte. Monna continua: “Rachel Anne era la bambina che mi faceva saltar via i libri dal grembo, che mi teneva sveglia la notte. Ricordo ancora i primi calcetti, come delicate e affettuose gomitate. Ogni volta che si muoveva mi sentivo piena d’amore. La conoscevo così bene che sapevo quando soffriva, quando stava male”.

      Monna prosegue il suo racconto: “Il medico non mi credette finché non fu troppo tardi. Mi disse di smettere di preoccuparmi. Credo di aver sentito quando stava morendo. Si rigirò all’improvviso e con violenza. Il giorno dopo era morta”.

      L’esperienza di Monna non è un avvenimento isolato. Secondo quanto dicono Friedman e Gradstein in un loro libro (Surviving Pregnancy Loss), solo negli Stati Uniti circa un milione di donne all’anno portano avanti una gravidanza che non si conclude felicemente. Spesso non ci si rende conto che un aborto spontaneo o il parto di un feto morto è una tragedia per una donna ed essa si affligge, forse per tutta la vita. Ad esempio, Veronica, di New York, ora sulla cinquantina, rammenta gli aborti spontanei che ebbe e ricorda in particolare il bambino nato morto che portò in grembo fino al nono mese e che alla nascita pesava cinque chili e 800 grammi. Lo portò in grembo morto per le ultime due settimane. Essa ha detto: “Partorire un bambino morto è una cosa terribile per una madre”.

      Le reazioni di queste donne frustrate non sono sempre comprese, neppure dalle altre donne. Una psichiatra che ha avuto un aborto spontaneo ha scritto: “Quello che ho appreso in modo molto penoso è che prima che accadesse a me non avevo veramente idea di ciò che le mie amiche avevano dovuto passare. Ero stata così insensibile e ignorante con loro come ora penso che gli altri siano con me”.

      Un altro problema della donna che ha perso un bambino è l’impressione che suo marito non soffra come lei. Una moglie si è espressa così: “A quell’epoca ero profondamente delusa di mio marito. Si comportava come se non fossi neppure stata incinta. Non poteva provare il dolore che provavo io. Comprendeva le mie paure ma non il mio dolore”.

      Questa reazione, forse, è naturale per un marito, visto che fra lui e il nascituro non si instaura quel legame fisico ed emotivo che si stabilisce fra la moglie e il nascituro. Ciò nondimeno, egli sente la perdita. Ed è essenziale che marito e moglie si rendano conto che soffrono insieme, anche se in modi diversi. Dovrebbero parlare del loro dolore. Se il marito lo nasconde, la moglie può pensare che sia insensibile. (Vedi pagina 12). Perciò piangete insieme, scambiatevi pensieri, abbracciatevi. Mostrate che avete bisogno l’uno dell’altro come non mai.

      Il dolore causato dalla misteriosa morte neonatale improvvisa

      Milioni di madri vivono ogni giorno con una segreta paura. Una madre ha detto: “Prego ogni sera di trovare il mio bambino vivo la mattina dopo”. Temono di trovarlo morto nella culla, per sindrome di morte infantile improvvisa. Marie Valdes-Dapena, docente di patologia all’Università di Miami (USA), dice che solo negli Stati Uniti ci sono da 6.000 a 7.000 casi del genere all’anno. E aggiunge: “Questo è senza dubbio un grave problema sanitario”.

      La morte sopravviene di notte, spesso tra il secondo e il quarto mese di vita. La scienza non ha ancora trovato una spiegazione soddisfacente, e neppure con l’autopsia si riesce a scoprire una ragione della morte improvvisa. Resta un mistero.a

      Quando una madre trova il suo bambino morto nella culla prova spesso un terribile senso di colpa. Cosa aiuterà dunque i genitori in casi del genere? Anzitutto, devono riconoscere che non avrebbero potuto evitare la tragedia. Questa sindrome è imprevedibile e di solito inevitabile. Perciò non vi è ragione di sentirsi in colpa. In secondo luogo, se i genitori si sostengono a vicenda, se hanno fiducia e comprensione nei confronti l’uno dell’altro saranno aiutati entrambi a sopportare il loro dolore. Parlate con altri del vostro bambino. Esprimete i vostri sentimenti.

      Anche i nonni provano dolore

      Anche i nonni soffrono, in un modo tutto particolare. Un padre che ha perso un figlio ha detto: “Soffrono non solo per la morte del nipote ma anche per il dolore del loro figlio”.

      Ci sono tuttavia dei modi per alleviare il dolore dei nonni. Anzitutto, teneteli in considerazione. Il nipote faceva parte anche della loro vita. Perciò si dovrebbe permettere ai nonni di partecipare al dolore come desiderano. Naturalmente questo non significa che debbano prendere iniziative senza il consenso dei genitori. Ma se vogliono fare qualcosa, e di solito lo vogliono, si dovrebbe essere contenti che lo facciano.

      In questa breve trattazione del soggetto del dolore, abbiamo cercato di capire i sentimenti di chi perde un figlio. Ma c’è un altro aspetto da considerare. Come possono rendersi utili gli altri, specie con quello che dicono? E come possono i mariti esprimere il loro dolore? Leggete il prossimo articolo.

      [Nota in calce]

      a In un futuro numero di Svegliatevi! sarà presa in esame in modo più particolareggiato la sindrome di morte infantile improvvisa.

      [Riquadro a pagina 7]

      Il dolore

      Non intendiamo dire che il dolore segua uno schema fisso. Le varie reazioni possono sovrapporsi ed essere di varia durata, a seconda dell’individuo.

      Le prime reazioni:

      Shock iniziale, incredulità, diniego della realtà, stordimento, senso di colpa, ira

      La sofferenza acuta può essere accompagnata da:

      Perdita della memoria e insonnia, estrema stanchezza, bruschi cambiamenti d’umore, alterazioni della capacità di giudicare e di pensare, accessi di pianto, cambiamenti nell’appetito con conseguente diminuzione o aumento di peso, sintomi di vari disturbi, apatia, ridotta capacità lavorativa, allucinazioni: sentire, udire e vedere il morto

      Periodo di assestamento:

      Tristezza accompagnata da nostalgia, ricordi del defunto più piacevoli, anche con una punta di umorismo

      (Da Help for Your Grief, del dott. Arthur Freese, pagine 23-6).

      [Riquadro a pagina 9]

      Cosa potete fare per vincere il dolore

      Ciascuno deve vincere il dolore a modo suo. L’essenziale è evitare di diventare egocentrici, pensando solo a se stessi e autocommiserandosi. Alcuni suggerimenti basati sull’esperienza dei genitori intervistati da Svegliatevi! sono:

      ◼ Tenetevi occupati e continuate il vostro lavoro e la vostra attività come di consueto. Coloro che sono testimoni di Geova hanno dato particolare risalto all’importanza di assistere alle adunanze cristiane e di impegnarsi nel ministero. Molti hanno detto di essere stati aiutati parecchio dalla preghiera.

      ◼ Manifestate il vostro dolore; non cercate di tenerlo dentro. Prima riuscite a esprimere il vostro dolore e a piangere, prima il periodo di sofferenza acuta passerà.

      ◼ Non isolatevi; state in mezzo alla gente e permettete agli altri di stare con voi. Se vi può essere d’aiuto, parlate liberamente della persona che avete perso.

      ◼ Appena possibile, interessatevi di altri e dei loro problemi. Cercate di aiutare altri e aiuterete voi stessi.

      [Riquadro a pagina 10]

      Cosa possono fare gli altri?

      In diversi paesi i corrispondenti di Svegliatevi! hanno fatto molte interviste a genitori che avevano perso un figlio. Seguono alcuni dei suggerimenti che sono stati dati per aiutare le famiglie nel loro dolore. Ovviamente bisogna essere flessibili nell’applicarli, tenendo conto dei sentimenti dei familiari del defunto.

      1. Andate a trovare la famiglia sin dal primo giorno, e invitateli anche a casa vostra. Preparate da mangiare per loro. Continuate a farlo per tutto il tempo necessario, non solo nelle prime settimane.

      2. Lasciate decidere ai genitori se vogliono che gli abiti e altri oggetti del figlio morto siano tenuti o conservati altrove.

      3. Parlate del morto chiamandolo per nome, se il familiare del defunto fa capire che lo desidera. Rammentate i tratti allegri e umoristici della personalità e della vita del figlio. Non state zitti. Forse i genitori vogliono parlare del loro caro.

      4. Se siete troppo lontani per dare aiuto di persona, scrivete lettere di incoraggiamento e di conforto. Non evitate di parlare del morto.

      5. Quando è il caso, incoraggiate i genitori a mantenersi attivi e a continuare la loro vita di sempre. Fateli uscire di casa e persuadeteli a fare qualcosa per altri.

      [Riquadro a pagina 10]

      Una nonna scrive:

      “Avendo perso i miei cari genitori, un fratello, una sorella, il mio Jim, devoto compagno della mia vita e mio amico-fidanzato-marito, che conoscevo e amavo dall’età di 13 anni, nonché il mio adorato nipotino Stuart Jamie, posso dire che nessun dolore, nessuna pena, nessun tormento, che mi sommerge anche mentre scrivo, è paragonabile a ciò che si prova quando muore un figlio”.

      — Edna Green, Inghilterra, a proposito della morte del nipotino di due anni e nove mesi.

      [Immagine a pagina 8]

      Manifestando apertamente il vostro dolore, vi aiutate a vicenda

  • Parole che non sempre confortano
    Svegliatevi! 1987 | 8 agosto
    • Parole che non sempre confortano

      SE AVETE avuto un profondo dolore, è successo che qualcuno vi ferisse con le sue parole? Benché la maggioranza delle persone sappia cosa dire per dare conforto, molti ricordano commenti che non sono stati loro d’aiuto. Ursula Mommsen-Henneberger, scrivendo su un quotidiano tedesco (Kieler Nachrichten), dice che alcuni genitori “rimangono profondamente feriti quando qualcuno dice: ‘Ma hai ancora gli altri figli, non ti pare?’” Lei risponde: “Gli altri possono consolarti ma non sostituiscono quello che hai perso”.

      Kathleen Capitulo, che dà consigli a coloro che sono stati colpiti da un grave lutto, ha detto al corrispondente di Svegliatevi!: “Un’altra frase da evitare è: ‘So come ti senti’. Il fatto è che nessuno sa veramente quello che prova un altro. Si può tuttavia parlare di quello che sentono. Gli si può assicurare che i loro sentimenti sono naturali”.

      Abe Malawski, come riferisce in un suo libro (Recovering From the Loss of a Child), “è profondamente convinto che solo chi ha perso un figlio sa cosa vuol dire veramente”. Egli dice: “Si possono avere quindici figli, ma non farà nessuna differenza. Ogni figlio è insostituibile”.

      Nel caso di un aborto o di un bambino nato morto, altre frasi poco felici, anche se sincere, sono: “Presto rimarrai incinta di nuovo e dimenticherai tutto”. “È stato meglio così. Il bambino sarebbe stato comunque deforme”. “Non tutti i mali vengono per nuocere”. Nel crudele momento della perdita, questi luoghi comuni, per quanto bene intenzionati, non possono alleviare la pena.

      Anche certe banalità dette da ecclesiastici irritano i familiari del defunto. Dire che ‘Dio voleva un altro angelo’ è come dire che Dio è crudele ed egoista, ed equivale a una bestemmia. Inoltre, non è confermato né dalla logica né dalla Bibbia.

      È giusto che un cristiano faccia cordoglio?

      Che dire dei cristiani a cui muore un figlio? Alcuni citano a volte le parole che Paolo scrisse ai Tessalonicesi: ‘Non continuate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza’. (1 Tessalonicesi 4:13, CEI) Proibì Paolo di addolorarsi e di fare cordoglio? No, disse semplicemente che i cristiani che hanno una speranza non si affliggono allo stesso modo di quelli che non hanno speranza. — Giovanni 5:28, 29.

      Per illustrare il punto, come reagì Gesù quando Maria gli disse che Lazzaro era morto? Il racconto ci dice: “Gesù, perciò, vedendola piangere e vedendo piangere i giudei venuti con lei, gemé nello spirito e si turbò”. Poi, condotto al luogo dove giaceva il morto, “Gesù cedette alle lacrime”. È dunque sbagliato affliggersi? Si mostra mancanza di fede nella promessa divina della risurrezione? No, si dimostra piuttosto di avere profondo amore per il defunto. — Giovanni 11:30-35; confronta Giovanni 20:11-18.

      Un altro modo di affrontare il problema che può irritare è quello di assicurare con tono condiscendente: ‘Il tempo è un gran medico’. Evitate anche la domanda: ‘Non ti sei ancora ripreso?’ Una madre inglese ha detto: “Coloro che chiedono: ‘Non ti sei ancora ripresa?’ non capiscono veramente cosa vuol dire perdere qualcuno che ti è così vicino come un figlio. Non ci riprenderemo finché non ci sarà restituito nella risurrezione”. Forse quella di Shakespeare è una frase che si adatta bene a questa situazione: “Tutti possono vincere un dolore tranne chi ce l’ha”.

      A volte è il padre l’oggetto di scarsa considerazione. Un uomo che aveva perso un figlio si arrabbiava quando gli chiedevano: “Come sta tua moglie?” Disse: “Non chiedevano mai come stava il marito. . . . È sbagliato, ingiusto. Il marito soffre tanto quanto la moglie. Anche lui si affligge”.

      ‘Stringere i denti’?

      In molte culture si insegna che gli uomini specialmente non dovrebbero manifestare le loro emozioni e il loro dolore, ma che dovrebbero ‘stringere i denti’. Oliver Goldsmith, scrittore inglese del XVIII secolo, parlò della ‘silenziosa virilità del dolore’. Ma questa silenziosa virilità è necessariamente il modo migliore per lenire il proprio dolore?

      In un suo libro (The Bereaved Parent), Harriet Sarnoff Schiff cita il caso di suo marito: “Ecco un uomo, un padre, che ha visto seppellire suo figlio e al quale la società, secondo la consuetudine, ha chiesto di ‘stringere i denti’”. E aggiunge: “Gli è costato caro stringere i denti. Col passar del tempo, invece di uscire dal suo stato di prostrazione, è sprofondato sempre più nel dolore”.

      Il marito ha descritto i suoi sentimenti, e forse altri li condivideranno. “Mi sento come se stessi attraversando la calotta polare artica. Sono molto stanco. So che se mi sdraio per riposare mi addormenterò. So che se mi addormento morirò assiderato. Non me ne importa. Non posso più lottare contro la mia stanchezza”.

      Qual è dunque il consiglio di Harriet Schiff? “Dimenticare la buona, vecchia etica anglosassone dello stoicismo e piangere. Lasciate venir fuori le lacrime. . . . Aiutano a lavar via il dolore”. Gli autori di Surviving Pregnancy Loss danno un consiglio che vale sia per le donne che per gli uomini: “Lo stoicismo può essere molto ammirato da alcuni, ma solo venendo alle prese con il dolore è possibile infine liberarsene”. (Il corsivo è nostro). Altrimenti c’è pericolo di non sfogare debitamente il dolore, con conseguenze disastrose negli anni avvenire.

      Quando il dolore viene soffocato, gli si impedisce di fare il debito corso, che è quello di condurre ad accettare la separazione. Può avvenire in almeno tre modi: reprimendo il dolore, rimandandolo, e non smettendo mai di fare cordoglio. Cosa si può fare per aiutare la persona?

      Forse bisogna chiedere consiglio a un esperto. La soluzione può essere quella di chiedere appoggio morale al medico di famiglia o a un consigliere spirituale. Anche familiari comprensivi possono essere d’aiuto. La persona ha bisogno d’aiuto per non tenere dentro di sé il suo dolore.

      Jess Romero, infatti, ammette che quando perse sua figlia e sua moglie nella sciagura aerea pianse senza ritegno. Al corrispondente di Svegliatevi! ha detto: “Dopo alcune settimane le mie sorelle mi portarono a casa dall’ospedale; entrato, vidi la foto di mia figlia sul muro. Mio cognato vide che ne ero turbato e mi disse: ‘Non trattenerti, piangi’. Così feci, e potei sfogare il mio dolore represso”.

      Anche se quando il dolore fa il suo corso la ferita almeno in parte si rimargina, per la maggioranza di quelli che hanno perso un loro caro esiste solo una soluzione definitiva: rivederlo. C’è dunque una speranza per i morti? Ci sarà una risurrezione? Leggete l’ultimo articolo di questa serie.

  • Speranza per i morti, conforto per chi fa cordoglio
    Svegliatevi! 1987 | 8 agosto
    • Speranza per i morti, conforto per chi fa cordoglio

      JESS Romero, menzionato nell’articolo iniziale, infine si è risposato. In quanto ad Agustín e Valentina Caraballoso, soffrono ancora per la morte di Jonathan, ma hanno trovato la serenità. Gli spagnoli Ramón e María Serrano piangono ancora la morte di Paquito nonostante siano passati 24 anni. Ma in tutti questi casi, che cosa li ha aiutati ad andare avanti? Essi rispondono: “La speranza della risurrezione”.

      Cosa intendiamo esattamente per “risurrezione”? Chi sarà risuscitato? Quando? E come possiamo esserne sicuri?

      Speranza per i morti, come la insegnò Gesù

      Durante il suo ministero terreno Gesù risuscitò diverse persone. (Marco 5:35-42) Fu un esempio della risurrezione che avrà luogo su vasta scala quando la terra tornerà ad essere interamente sotto il dominio di Dio, come chiedono milioni di persone quando pregano: “Venga il tuo regno. Si compia la tua volontà, come in cielo, anche sulla terra”. — Matteo 6:9, 10.

      Un esempio del potere di Dio a questo riguardo si ebbe allorché Gesù risuscitò il suo amico Lazzaro. Allo stesso tempo il racconto chiarisce qual è la condizione dei morti. Gesù disse ai suoi discepoli: “Lazzaro, il nostro amico, è andato a riposare, ma io vado a svegliarlo dal sonno”. Non afferrando il significato delle sue parole, i discepoli dissero: “Signore, se è andato a riposare, sarà sanato”. Immaginavano dicesse che Lazzaro era solo addormentato, quando in effetti era morto. Perciò Gesù tolse loro ogni dubbio dicendo: “Lazzaro è morto”.

      Si noti che Gesù non fece nessun riferimento a una qualche anima immortale passata a un altro stato o a un’altra sfera. Non era sotto l’influenza della filosofia greca ma del chiaro insegnamento biblico contenuto nelle Scritture Ebraiche. Lazzaro dormiva nella morte e quando arrivò Gesù era già da quattro giorni nella tomba commemorativa. Quale speranza c’era dunque per lui?

      Allorché parlò a Marta, sorella di Lazzaro, Gesù le disse: “Tuo fratello sorgerà”. Come rispose lei? Disse forse che la sua anima era già in cielo o altrove? La sua risposta fu: “So che sorgerà nella risurrezione, nell’ultimo giorno”. Anche lei credeva nell’insegnamento biblico della risurrezione alla vita sulla terra. Gesù le diede un motivo ancor più valido d’aver fede dicendo: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi esercita fede in me, benché muoia, tornerà in vita”. Poi, per avvalorare l’argomento, si recò alla tomba di Lazzaro e gridò ad alta voce: “Lazzaro, vieni fuori!” Cosa accadde?

      Il racconto storico dice: “L’uomo che era stato morto venne fuori con i piedi e le mani avvolti in fasce, e il viso avvolto in un panno. Gesù disse loro: ‘Scioglietelo e lasciatelo andare’”. — Giovanni 11:1-44.

      Ecco in che cosa consiste la speranza che ha aiutato molti di quelli che sono stati intervistati da Svegliatevi! Questa stessa speranza dà loro motivo di attendere con ansia il prossimo futuro quando il paradiso sarà ristabilito sulla terra e quando si adempiranno le incoraggianti parole di Gesù: “Non vi meravigliate di questo, perché l’ora viene in cui tutti quelli che sono nelle tombe commemorative udranno la sua voce e ne verranno fuori, quelli che hanno fatto cose buone a una risurrezione di vita, quelli che hanno praticato cose vili a una risurrezione di giudizio”. — Giovanni 5:28, 29.

      “Il mio versetto preferito è...”

      Svegliatevi! ha intervistato alcuni che avevano perso un figlio o un fratelloa. Parecchi, spiegando come hanno sopportato il loro dolore, hanno detto: “Vorrei dirvi qual è il mio versetto preferito”. Se vi è morta una persona cara, forse questi versetti potranno aiutare anche voi.

      La quattordicenne Yunhee di Seoul, nella Corea del Sud, è morta di leucemia nel 1985. Suo padre Chun Kwang-kook ha spiegato al corrispondente di Svegliatevi! come consolava Yunhee nelle sue ultime settimane di vita: “Le parlavo di Lazzaro. Gesù disse che Lazzaro dormiva, e, come accadde a lui, quando Gesù chiamerà: ‘Yunhee, svegliati!’, anche lei si desterà dal sonno”.

      L’inglese Janet Hercock aveva tredici anni quando nel 1966 morì di cancro. Lasciò i genitori e due fratelli, David e Timothy. David ha detto al corrispondente di Svegliatevi! quale versetto lo ha maggiormente aiutato: “È stato quello di Atti 17:31, che dice: ‘Poiché [Dio] ha stabilito un giorno in cui si propone di giudicare la terra abitata con giustizia mediante un uomo che ha costituito, e ne ha fornito garanzia a tutti in quanto lo ha risuscitato dai morti’. Nel discorso funebre fu messo in evidenza che la risurrezione di Gesù è una garanzia della futura risurrezione. Ne ho tratto tanta forza”.

      Nel dicembre del 1975 George, appena quattordicenne, prese il fucile di suo padre e si sparò. Come reagì Russell, il padre di George, alla perdita del figlio suicidatosi?b

      “Certe scritture sono state un’àncora per me. Ad esempio, le parole di Proverbi 3:5: ‘Confida in Geova con tutto il tuo cuore e non ti appoggiare al tuo proprio intendimento’. Mi appoggiavo in certo qual modo al mio proprio intendimento, cercando di trovare una spiegazione dell’accaduto”.

      La famiglia inglese Morgan si trovava in Svezia quando il figlio Darrall si ammalò all’improvviso. Fu operato d’urgenza a Stoccolma. Infine fu riportato in aereo in Inghilterra dove morì poco prima di compiere 24 anni. La madre Nell dice: “Una scrittura che ho bene in mente è Matteo 22:32, dove Gesù cita queste parole di Dio: ‘Io sono l’Iddio di Abraamo e l’Iddio di Isacco e l’Iddio di Giacobbe’. Poi continua dicendo: ‘Egli non è l’Iddio dei morti, ma dei viventi’. So che queste parole significano che Darrall è nella memoria di Dio e tornerà nella risurrezione”.

      La speranza per i morti diverrà presto realtà

      La profezia biblica indica che siamo vicini al tempo in cui Dio agirà per ristabilire la pace e dare la vita eterna all’umanità ubbidiente. Dio promette: “Cambierò il loro cordoglio in esultanza, e li conforterò e li farò rallegrare dalla loro mestizia”. “‘Trattieni la tua voce dal pianto, e i tuoi occhi dalle lacrime, poiché esiste una ricompensa per la tua attività’, è l’espressione di Geova, ‘ed essi certamente torneranno dal paese del nemico [la morte]’”. — Geremia 31:13-17.

      A quel tempo Geova riporterà progressivamente in vita mediante la risurrezione coloro che sono morti nel corso della storia umana. Sotto il governo celeste del nuovo sistema di Dio, avranno l’opportunità di scegliere la vita eterna ubbidendo ai comandi di Dio per la vita in quel tempo. Pertanto, se ci rivolgiamo alla Bibbia, vi troveremo una vera speranza per i morti e conforto per i vivi. — Atti 24:15; Rivelazione 20:12-14; 21:1-4.

      [Note in calce]

      a In un prossimo numero di Svegliatevi! sarà presa in esame la reazione alla perdita di un fratello o di una sorella.

      b Il soggetto del suicidio e del dolore dei genitori sarà trattato in un prossimo numero di Svegliatevi!

      [Riquadro a pagina 14]

      Diane Krych, che parla della morte di suo figlio David nel nostro secondo articolo, ha sofferto profondamente e si rifiutava di accettare la realtà. Lo dimostrano le lettere che ha scritto a David, e che ha conservato, per 13 anni. Ha smesso di scrivergli quando ha affrontato la realtà della morte del proprio padre, che aveva assistito. (Svegliatevi! non intende suggerire di scrivere lettere come modo per trarre sollievo. Riportiamo tuttavia la prima lettera per illustrare come la speranza della risurrezione è stata un’àncora per lei e l’ha sorretta sin da allora).

      Carissimo David,

      Ora dormi da quarantasei giorni. Mi sembra siano passati anni dall’ultima volta che ti ho visto e che ti ho stretto fra le braccia. Ma i giorni del tuo sonno sono limitati. Vorrei sapere quanti sono perché comincerei il conto alla rovescia. Per noi l’attesa è lunga, difficile e triste, ma per te sembrerà come se fossero pochi minuti. Ne sono grata. Attendiamo il giorno in cui Geova ti sveglierà dal sonno nel nuovo ordine. Faremo la più grande festa che tu abbia mai visto. Durerà almeno tre giorni. Inviteremo tutti quelli che conosciamo. Sarà la tua festa. Spero solo che non dobbiamo attendere troppo a lungo. Non vedo l’ora di riabbracciarti, David. Sentiamo tutti terribilmente la tua mancanza. La casa è vuota senza di te. Nulla sarà più come prima finché non sarai di nuovo con noi. Perciò, mio diletto figlio, cercheremo d’essere pazienti e di confidare in Geova fino al tuo ritorno; e intanto ti scriveremo dei bigliettini per informarti di quello che succede mentre dormi.

      Con tutto il mio affetto

      La mamma

      [Immagini a pagina 15]

      La Bibbia promette che i morti, come Maria e David, saranno risuscitati

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