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  • Datazione scientifica delle epoche preistoriche
    Svegliatevi! 1986 | 22 settembre
    • Datazione scientifica delle epoche preistoriche

      Gli “orologi” radioattivi indicano il tempo in milioni di anni, ma quanto sono accurati?

      Questo articolo e i due seguenti descrivono e valutano i vari mezzi di datazione radiometrica (basata sulla radioattività) usati dai geologi per misurare l’età delle rocce e dei resti di organismi un tempo viventi. Sono stati preparati da un fisico nucleare con molti anni di esperienza nel campo della radioattività, sia nel ramo della ricerca che in quello industriale.

      “La dolina è ricca di reperti archeologici. Secondo gli scienziati, resti di 10.000 anni fa indicano che nella Florida dell’era glaciale c’era l’uomo”.

      “È stata portata alla luce vicino a Osaka la più antica capanna dell’età della pietra in Giappone. Gli archeologi datano la capanna a circa 22.000 anni fa”.

      “Circa un milione di anni fa un fiume scorreva attraverso la parte orientale di Corona (California) e mastodonti, cammelli, cavalli e conigli erano alcuni degli animali preistorici che ne popolavano le rive”.

      LE SUCCITATE recenti dichiarazioni sono esempi tipici di come vengono annunciate le scoperte di archeologi e paleontologi. La prima cosa che la gente vuole sapere di un nuovo reperto è: Quanti anni ha? Lo scienziato che parla ai cronisti è sempre pronto a dare una risposta, sia che si basi su delle prove o che sia una semplice congettura.

      A volte, leggendo questi articoli, vi capita di chiedervi: Come fanno a saperlo? Come si fa a essere sicuri che gli uomini sono vissuti in Florida 10.000 anni fa e in Giappone 22.000 anni fa, o che mastodonti e cammelli scorrazzavano in California un milione di anni fa?

      Esistono svariati metodi scientifici per datare antichi resti. Alcuni sono più attendibili di altri, ma nessuno è così sicuro come le età basate sui documenti storici. I documenti storici di cui l’uomo dispone, però, risalgono al massimo a 6.000 anni fa. Oltre quel tempo, la datazione scientifica è tutto quello che abbiamo.

      Datazione col metodo basato sulla radioattività

      Dei vari metodi disponibili per la datazione scientifica, i più attendibili sono gli “orologi” radioattivi. Si basano sulla velocità dei processi di decadimento radioattivo. Mentre altri metodi si basano sui processi di invecchiamento che possono essere più o meno veloci a seconda delle diverse condizioni ambientali, come il cambiamento di temperatura, è stato mostrato che la velocità del decadimento radioattivo non risente degli estremi delle condizioni esterne.

      Il metodo del piombo

      Possiamo illustrare questo metodo con il primo “orologio” radioattivo ideato, quello che si basa sul decadimento dell’uranio in piombo. Il decadimento radioattivo segue rigorosamente una legge di probabilità statistica. La quantità di uranio che decade in una unità di tempo è sempre proporzionale alla quantità rimasta. Ne risulta una curva simile a quella del grafico (pagina 19), indicante la quantità rimasta dopo un qualsiasi dato tempo. Il tempo che la metà dell’uranio impiega a decadere è detto periodo di dimezzamento. Metà della restante metà si disintegrerà nel successivo periodo di dimezzamento, e rimarrà un quarto della quantità originale. Dopo tre periodi di dimezzamento, ne rimarrà un ottavo, e così via. Il periodo di dimezzamento dell’uranio è di 4 miliardi e mezzo di anni.

      Dato che l’uranio si trasforma in piombo, la quantità di piombo aumenta di continuo. La quantità accumulata fino a un qualsiasi dato tempo è indicata dalla curva tratteggiata. La curva del piombo è il complemento della curva dell’uranio, per cui il numero totale di atomi di piombo e di atomi di uranio è sempre lo stesso, uguale al numero con cui abbiamo cominciato.

      Supponiamo ora di avere una roccia contenente uranio ma non piombo e di sigillarla in modo tale che nulla possa uscire da quella roccia e nulla possa entrarvi. Poi, qualche tempo dopo togliamo il sigillo e misuriamo la quantità di entrambi gli elementi. Da questo possiamo stabilire per quanto tempo la roccia è rimasta sigillata. Ad esempio, se troviamo uguali quantità di piombo e di uranio, sappiamo che è trascorso un periodo di dimezzamento, vale a dire 4 miliardi e mezzo di anni. Se riscontriamo che solo l’1 per cento dell’uranio è decaduto in piombo, possiamo usare la formula matematica della curva per calcolare che sono passati 65 milioni di anni.

      Si noti che non abbiamo bisogno di sapere quanto uranio c’era nella roccia all’inizio perché non dobbiamo far altro che misurare la proporzione fra piombo e uranio alla fine del periodo, e dopo tutto nessuno di noi era presente a misurare alcunché all’inizio dell’esperimento.

      Forse ora pensate che stiamo parlando di periodi di tempo immensi, di milioni e miliardi di anni. A cosa può servire un orologio che va così piano? Ebbene, apprendiamo che la terra esiste da alcuni miliardi di anni e che in alcuni luoghi ci sono rocce che pare siano lì da buona parte di quel tempo. Quindi i geologi trovano che un orologio del genere è molto utile per studiare la storia della terra.

      Quanto sono sicuri?

      Dobbiamo ammettere che il processo di datazione non è proprio così semplice come l’abbiamo descritto. Abbiamo detto che all’inizio nella roccia non ci deve essere piombo. Di solito non è così; c’è un po’ di piombo all’inizio. Pertanto la roccia ha una certa età iniziale, qualcosa di più dello zero. Siamo anche partiti dal presupposto che l’uranio fosse attentamente sigillato nella roccia e che nulla potesse uscirne o entrarvi. A volte può essere così, ma non sempre. Durante lunghi periodi di tempo, parte del piombo o dell’uranio potrebbe uscire e finire nelle acque freatiche. O vi potrebbe entrare altro uranio o piombo, specie se si tratta di roccia sedimentaria. Per questa ragione il metodo del piombo funziona meglio con le rocce ignee.

      Altre complicazioni sorgono dal fatto che anche un altro elemento, il torio, il quale può essere presente nel minerale, è radioattivo e si disintegra lentamente in piombo. Per di più l’uranio ha un secondo isotopo, che chimicamente è lo stesso ma ha una massa diversa, il quale decade a diversa velocità, formando anch’esso piombo. Ciascuno di essi dà luogo a un diverso isotopo del piombo, per cui abbiamo bisogno non solo di un chimico con le sue provette, ma anche di un fisico con uno speciale strumento per classificare i vari isotopi, piombo di massa diversa.

      Senza scendere nei particolari a questo riguardo, possiamo capire che i geologi che usano il metodo del piombo devono stare attenti a varie trappole se vogliono ottenere un risultato abbastanza sicuro. Sono lieti di avere altri metodi basati sulla radioattività per verificare la loro misurazione delle età. Ne sono stati messi a punto altri due che si possono spesso impiegare con la stessa roccia.

      Il metodo potassio-argo

      Quello che è stato impiegato più largamente è il metodo potassio-argo. Il potassio è un elemento più comune dell’uranio; infatti il cloruro di potassio viene venduto in sostituzione del sale da cucina. Consiste sostanzialmente di due isotopi aventi massa 39 e 41, ma un terzo isotopo, avente massa 40, è debolmente radioattivo. Uno dei prodotti del suo decadimento è l’argo, un gas inerte presente nell’atmosfera in ragione dell’1 per cento. Il potassio avente massa 40 ha un periodo di dimezzamento di 1 miliardo e 400 milioni di anni, il che lo rende adatto per misurare intervalli di tempo che vanno da decine di milioni a miliardi di anni.

      In contrasto con l’uranio, il potassio è diffuso nella crosta terrestre. È un costituente di molti minerali presenti nelle rocce più comuni, sia ignee che sedimentarie. Perché il metodo potassio-argo dia risultati devono esistere le condizioni illustrate sopra: Il potassio non deve contenere argo quando si avvia l’“orologio”, ossia quando si forma il minerale. E il sistema deve rimanere sigillato per tutto quel tempo, non lasciando fuoriuscire o entrare né potassio né argo.

      In pratica come funziona l’“orologio”? A volte ottimamente, altre volte male. Talora fornisce età molto diverse da quelle ottenute col metodo del piombo. Di solito sono inferiori; questi risultati sono attribuiti alla perdita di argo. In altre rocce, però, le età ottenute con i due metodi sono molto simili.

      Fatto interessante, il metodo potassio-argo è stato usato per datare una roccia che gli astronauti dell’Apollo 15 avevano portato dalla luna. Usando un frammento di questa roccia, gli scienziati hanno misurato il potassio e l’argo e hanno determinato che quella roccia aveva 3 miliardi e 300 milioni di anni.

      Il metodo rubidio-stronzio

      Più recentemente è stato messo a punto un altro “orologio” radioattivo per la datazione dei minerali. Si basa sul decadimento del rubidio in stronzio. Il rubidio decade a una velocità incredibilmente bassa. Il suo periodo di dimezzamento è di 50 miliardi di anni! Se ne è disintegrato così poco perfino nelle rocce più antiche che sono necessarie misurazioni molto accurate per distinguere lo stronzio-87 aggiunto da quello originale. Nel minerale può esserci cento volte più stronzio che rubidio, e anche in un miliardo di anni solo poco più dell’1 per cento del rubidio decade. Malgrado queste difficoltà, in alcuni casi la minuscola quantità di stronzio prodotta dal decadimento è stata misurata. Questo “orologio” è prezioso per verificare le età ottenute con altri metodi.

      È stato fatto un emozionante impiego di questo metodo con un meteorite che gli astronomi credono possa essere come le rocce che teoricamente si unirono per formare i pianeti, un residuo del materiale primordiale con cui fu fatto il sistema solare. L’età indicata, 4 miliardi e 600 milioni di anni, era in armonia con questa idea.

      Un rimarchevole successo del metodo rubidio-stronzio si è avuto nel datare la stessa roccia lunare menzionata sopra. Sono stati sottoposti a esame cinque diversi minerali della roccia, e tutti gli esami hanno indicato un’età di 3 miliardi e 300 milioni di anni, la stessa indicata dal metodo potassio–argo.a

      In alcuni casi le età comparative ottenute con questi tre “orologi” geologici sono strettamente d’accordo e c’è motivo di credere che in tali casi le età siano molto probabilmente corrette. Si dovrebbe sottolineare, però, che questi casi mostrano quale tipo di accordo è possibile, ma solo in condizioni ideali. E le condizioni di solito non sono ideali. Si potrebbero fornire liste più lunghe di confronti che sono in contrasto fra loro.

      I paleontologi cercano di datare i fossili

      I paleontologi hanno tentato di imitare il successo dei geologi nel datare rocce che hanno appena alcuni milioni di anni. Alcuni dei loro fossili, credono, potrebbero rientrare in quella fascia di età. Purtroppo il metodo potassio-argo non funziona altrettanto bene per loro. Ovviamente i fossili non si trovano nelle rocce ignee ma solo in quelle sedimentarie, e di solito con queste la datazione radiometrica non è attendibile.

      Ne sono un esempio i fossili che sono rimasti sepolti sotto una spessa coltre di cenere vulcanica in seguito solidificatasi per formare il tufo. Si tratta in effetti di uno strato sedimentario, ma è fatto di materiale igneo che si è solidificato all’aria. Se lo si può datare, servirà a fornire l’età del fossile che vi è racchiuso.

      È il caso della gola di Olduvai in Tanzania, dove sono stati rinvenuti fossili di animali scimmieschi che hanno richiamato speciale attenzione perché chi li ha trovati asseriva avessero dei legami con l’uomo. Le prime misurazioni dell’argo contenuto nel tufo vulcanico in cui erano stati rinvenuti i fossili davano un’età di un milione e 750 mila anni. Ma successive misurazioni effettuate in un altro laboratorio qualificato davano un’età di mezzo milione di anni inferiore. Gli evoluzionisti rimasero molto delusi scoprendo che le età di altri strati di tufo, sopra e sotto, non erano compatibili. In certi casi lo strato superiore conteneva più argo di quello inferiore. In termini geologici, però, questo non è possibile: lo strato superiore doveva essere stato depositato dopo quello inferiore, per cui doveva contenere meno argo.

      La conclusione fu che le misurazioni dovevano essere alterate da “argo ereditato”. Non tutto l’argo formatosi in precedenza era stato espulso dalla roccia fusa per effetto del calore. L’“orologio” non era stato regolato sullo zero. Se solo un decimo dell’1 per cento dell’argo prodotto in precedenza dal potassio fosse stato presente nella roccia quando si era fusa nel vulcano, l’“orologio” sarebbe partito con un’età iniziale di quasi un milione di anni. Un esperto ha detto: “Alcune date devono essere sbagliate, e se alcune sono sbagliate forse sono sbagliate tutte”.

      Malgrado le opinioni degli esperti i quali affermano che queste date potrebbero essere del tutto prive di significato, l’originale età di un milione e 750 mila anni attribuita ai fossili di Olduvai continua a essere citata in popolari riviste che si occupano di evoluzione. Non avvertono minimamente il profano che queste età non sono altro che congetture.

  • Il metodo del radiocarbonio
    Svegliatevi! 1986 | 22 settembre
    • Il metodo del radiocarbonio

      Indica l’età di resti di organismi un tempo viventi. Oppure no?

      TUTTI i precedenti “orologi” sono così lenti che risultano di poco o di nessun aiuto nello studio dei problemi archeologici. Ci vuole qualcosa di molto più veloce per misurare la scala del tempo della storia umana. A questo si è provveduto con il metodo del radiocarbonio.

      Il carbonio 14, un isotopo radioattivo del comune carbonio 12, fu scoperto per la prima volta in esperimenti sull’accelerazione delle particelle effettuati con un ciclotrone. Fu poi scoperto anche nell’atmosfera terrestre. Emette deboli raggi beta, che possono essere misurati con un apposito strumento. Il carbonio 14 ha un periodo di dimezzamento di soli 5.700 anni, il che è adatto per datare cose aventi a che fare con la remota storia dell’uomo.

      Gli altri elementi radioattivi che abbiamo preso in esame sono di vita lunga in paragone con l’età della terra, per cui esistono dal tempo della creazione della terra fino al presente. Il radiocarbonio, però, ha una vita così breve, in rapporto all’età della terra, che può ancora esistere solo se in qualche modo la sua produzione è continuata. Quel modo è il bombardamento dell’atmosfera mediante i raggi cosmici, che trasformano gli atomi di azoto in carbonio radioattivo.

      Questo carbonio, sotto forma di anidride carbonica, viene impiegato dalle piante nel processo di fotosintesi e si trasforma in ogni sorta di composti organici nelle cellule viventi. Gli animali e, sì, anche gli uomini, si nutrono dei tessuti vegetali, per cui tutto ciò che vive contiene radiocarbonio nella stessa proporzione in cui è presente nell’aria. Finché un organismo vive, il radiocarbonio in esso contenuto, che decade, viene rimpiazzato da nuovo radiocarbonio. Quando però un albero o un animale muore, smette di assorbire radiocarbonio, e il suo livello del radiocarbonio comincia a calare. Se un pezzo di carbone di legna o un osso animale si preserva per 5.700 anni, conterrà solo metà di radiocarbonio che l’organismo aveva da vivo. Perciò, in linea di principio, se misuriamo la proporzione di carbonio 14 rimasto in qualcosa che un tempo era un organismo vivente, possiamo stabilire da quanto tempo è morto.

      Il metodo del radiocarbonio si può utilizzare con un’ampia varietà di cose di origine organica. È stato impiegato per datare molte migliaia di campioni. Bastano solo alcuni esempi per indicarne l’affascinante diversità:

      Il legno della barca funeraria rinvenuta nella tomba del faraone Sesostri III è stato datato al 1670 a.E.V.

      Il durame di una sequoia gigantesca della California, che quando fu abbattuta nel 1874 aveva 2.905 cerchi annuali, è stato datato al 760 a.E.V.

      Le fasce di lino in cui erano avvolti i rotoli del Mar Morto, i quali dallo stile della scrittura sono stati datati al primo o al secondo secolo a.E.V., dalla misurazione del contenuto di radiocarbonio risultano avere 1.900 anni.

      Un pezzo di legno trovato sul monte Ararat, e che secondo alcuni potrebbe provenire dall’arca di Noè, secondo le prove data solo dal 700 E.V.: un legno vecchio senz’altro, ma non abbastanza vecchio da risalire a prima del Diluvio.

      Sandali di corda intrecciata rinvenuti in una grotta dell’Oregon fra la pomice, una roccia vulcanica, avrebbero 9.000 anni.

      La carne di un piccolo mammut, rimasto congelato per migliaia d’anni in Siberia, avrebbe 40.000 anni.

      Sono attendibili queste date?

      Errori nel metodo del radiocarbonio

      Il metodo del radiocarbonio sembrò molto semplice e chiaro allorché ne fu fatta la prima dimostrazione, ma ora si sa che è soggetto a molti tipi di errori. Dopo avere usato per una ventina d’anni questo metodo, fu tenuta nel 1969 una conferenza a Uppsala, in Svezia, per prendere in esame la cronologia ottenuta col radiocarbonio e altri relativi metodi di datazione. Dalle conversazioni fatte tra i chimici che si servono del metodo e gli archeologi e i geologi che ne usano i risultati emersero una dozzina di difetti che potrebbero invalidare le date. Nei 17 anni trascorsi da allora, si è fatto poco per rimediare a queste limitazioni.

      Un problema seccante è sempre stato quello di essere certi che il campione esaminato non sia stato contaminato, né da carbonio recente (vivo) né da carbonio antico (morto). Ad esempio, un pezzo di durame di un vecchio albero potrebbe contenere linfa viva. Se invece è stato estratto con un solvente organico (fatto con petrolio [morto]), nella porzione analizzata potrebbe essere rimasta una traccia del solvente. Nel carbone di legna sepolto da molto tempo potrebbero essere penetrate piccole radici di piante viventi. O potrebbe essere stato contaminato da bitume molto più vecchio e difficile da togliere. Sono stati trovati crostacei vivi con carbonato proveniente da minerali rimasti sepolti a lungo o da acqua che sale dal fondo dell’oceano dov’era stata per migliaia d’anni. Cose del genere possono far apparire un campione più vecchio o più giovane di quanto non sia in realtà.

      La limitazione più grave della teoria della datazione col radiocarbonio sta nel presupposto che il livello del carbonio 14 dell’atmosfera sia sempre stato com’è ora. Quel livello dipende, in primo luogo, dalla velocità a cui è prodotto dai raggi cosmici. A volte l’intensità dei raggi cosmici varia in notevole misura, essendo fortemente influenzata da fluttuazioni nel campo magnetico terrestre. Tempeste magnetiche sul sole accrescono talora di mille volte, per poche ore, la quantità dei raggi cosmici. Il campo magnetico terrestre è stato sia più debole che più forte nei millenni passati. E dall’esplosione delle bombe nucleari, il livello mondiale di carbonio 14 è sensibilmente aumentato.

      Anche la quantità di carbonio stabile presente nell’aria influisce su questa concentrazione. Le grandi eruzioni vulcaniche accrescono sensibilmente la quantità di anidride carbonica stabile, diluendo così il radiocarbonio. Nel secolo scorso l’uomo ha accresciuto in maniera permanente la quantità di anidride carbonica dell’atmosfera bruciando in misura senza precedenti combustibili fossili, specie carbone e petrolio. (Ulteriori dettagli su queste e su altre limitazioni del metodo del radiocarbonio si trovano nel numero di Svegliatevi! del 22 settembre 1972).

      Dendrocronologia: datazione mediante i cerchi di accrescimento degli alberi

      Di fronte a tutte queste debolezze di base, i fautori della datazione radiometrica hanno deciso di standardizzare le loro date con l’aiuto di campioni di legno datati contando i cerchi annuali degli alberi, in particolare quelli dei Pinus aristata, alberi che vivono negli Stati Uniti sudoccidentali e che possono avere centinaia e persino migliaia di anni. Questo campo di ricerca è detto dendrocronologia.

      Il metodo del radiocarbonio perciò non è più considerato un mezzo per ottenere una cronologia assoluta, ma solo per misurare date relative. Per avere la data esatta, si deve correggere la data ricavata col radiocarbonio in base alla cronologia stabilita con gli anelli di accrescimento degli alberi. Di conseguenza, il risultato di una misurazione effettuata col radiocarbonio è detta “datazione al radiocarbonio”. Riportando questo risultato su una curva di taratura basata sui cerchi degli alberi, si deduce la data assoluta.

      Questo va bene sin dove il conteggio dei cerchi del Pinus aristata è attendibile. Il problema sorge in quanto il più vecchio albero vivente di cui si conosca l’età risale solo all’800 E.V. Per estendere la scala, gli scienziati cercano di far corrispondere i cerchi concentrici, sottili e grossi, dei pezzi di legno morto trovati in luoghi vicini. Mettendo insieme 17 pezzi di alberi caduti, affermano di risalire a oltre 7.000 anni fa.

      Neanche il metodo che si avvale dei cerchi degli alberi, però, è perfetto. A volte non sono sicuri di dove mettere un pezzo di legno morto, e allora cosa fanno? Chiedono una misurazione al radiocarbonio e se ne servono per sistemarlo al posto giusto. Questo fa venire in mente quei due zoppi che avevano solo una stampella e che la usavano a turno; uno si appoggiava per un po’ al compagno, poi lo aiutava a reggersi.

      È il caso di chiedersi se pezzetti sciolti di legno rimasti per tanto tempo all’aperto siano stati preservati miracolosamente. Avrebbero potuto essere portati via da un violento temporale o raccolti dai passanti come legna da ardere o per farne qualche altro uso. Cos’ha impedito che fossero attaccati dalla carie o dagli insetti? Si può credere che un albero vivo resista alle offese del tempo e degli elementi, e che ogni tanto uno viva mille anni o più. Ma che dire del legno morto? Addirittura da seimila anni? Non è credibile. Eppure le date più antiche ottenute col radiocarbonio si basano su questo.

      Ad ogni modo gli esperti della datazione radiometrica e i dendrocronologi sono riusciti a mettere da parte questi dubbi e a sminuire le lacune e le incoerenze, e sia gli uni che gli altri sono soddisfatti del compromesso. Che dire, però, dei loro clienti, gli archeologi? Non sono sempre felici delle date attribuite ai campioni che inviano. Uno presente alla conferenza di Uppsala si espresse in questi termini:

      “Se una data ottenuta col carbonio 14 sostiene le nostre teorie, la mettiamo nel testo principale. Se non le contraddice del tutto, la mettiamo in una nota in calce. E se è completamente sfasata, la lasciamo perdere”.

      Alcuni di loro la pensano ancora così. Scrivendo recentemente in merito a una data ottenuta col metodo del radiocarbonio, data che si supponeva indicasse il periodo più antico di addomesticazione degli animali, uno di loro ha scritto:

      “Gli archeologi cominciano a dubitare che le misurazioni dell’età col radiocarbonio siano da ritenersi attendibili per il semplice fatto che provengono da laboratori ‘scientifici’. Più aumenta la confusione su quale metodo, quale laboratorio, quale periodo di dimezzamento e quale taratura sia più attendibile, meno noi archeologi ci sentiremo obbligati ad accettare senza discutere qualsiasi ‘data’ propostaci”.

      Il radiochimico che aveva fornito la data ribatté: “Preferiamo occuparci di fatti basati su misurazioni valide, non di archeologia alla moda o che fa leva sulle emozioni”.

      Se gli scienziati dissentono così fortemente sulla validità di queste date relative all’antichità dell’uomo, non è comprensibile che dei profani siano scettici nei confronti di notizie di giornali basate su “fonti” scientifiche, come quelle citate all’inizio di questa serie di articoli?

      Conteggio diretto del carbonio 14

      Un recente sviluppo della datazione col radiocarbonio è un metodo per contare non solo i raggi beta emessi dagli atomi che decadono, ma tutti gli atomi di carbonio 14 presenti in un piccolo campione. Questo metodo è particolarmente utile nella datazione di esemplari molto antichi nei quali rimane solo una piccola frazione del carbonio 14. Su un milione di atomi di carbonio 14, solo uno, in media, decadrà ogni tre giorni. Per questo motivo, nell’analizzare campioni antichi, è molto noioso accumulare abbastanza conteggi per distinguere la radioattività dalla radiazione di fondo, i raggi cosmici.

      Se però possiamo contare ora tutti gli atomi di carbonio 14, senza aspettare che decadano, possiamo aumentare la sensibilità di un milione di volte. Lo si fa deflettendo in un campo magnetico un fascio di atomi di carbonio carichi positivamente per separare il carbonio 14 dal carbonio 12. Il carbonio 12, più leggero, è costretto a seguire un percorso circolare più stretto, mentre il carbonio 14, più pesante, entra attraverso una fenditura in un contatore.

      Questo metodo, benché più complicato e più costoso del metodo del conteggio dei raggi beta, ha il vantaggio che la quantità di materiale necessario per l’analisi è mille volte inferiore. Si prospetta la possibilità di datare manoscritti antichi e rari e altri manufatti di cui non si può proprio avere un campione di diversi grammi, perché nell’analisi andrebbe distrutto. Ora questi oggetti possono essere datati con un campione di qualche milligrammo.

      È stato suggerito di impiegare questo metodo per datare la Sacra Sindone, che alcuni credono sia il panno in cui venne avvolto Gesù per la sepoltura. Se la datazione col radiocarbonio dovesse dimostrare che il panno non è così antico, confermerebbe i sospetti di coloro che pensano che la Sacra Sindone sia una frode. Finora, l’arcivescovo di Torino si è rifiutato di donare un campione da datare perché ce ne vorrebbe un pezzo troppo grande. Ma con il nuovo metodo, ne basterebbe un centimetro quadrato per determinare se il materiale data dal tempo di Cristo o solo dal medioevo.

      In ogni caso, i tentativi di estendere gli intervalli di tempo hanno poco significato finché i problemi più grandi restano insoluti. Più antico è il campione, più è difficile assicurare la completa assenza di leggere tracce di carbonio recente. E più cerchiamo di andare oltre le poche migliaia di anni riguardo a cui abbiamo date attendibili, meno sappiamo del livello atmosferico del carbonio 14 in quei tempi antichi.

      Sono stati studiati vari altri metodi per datare eventi del passato. Alcuni di essi sono in diretta relazione con la radioattività, come la misurazione delle tracce di fissione e degli aloni radioattivi. Alcuni si servono di altri processi, come la formazione delle varve (strati di sedimenti) depositate dai corsi d’acqua che scendono da un ghiacciaio e l’idratazione dei manufatti di ossidiana.

      Racemizzazione degli amminoacidi

      Un altro metodo di datazione impiegato è la racemizzazione degli amminoacidi. Cosa significa “racemizzazione”?

      Gli amminoacidi appartengono al gruppo di composti del carbonio aventi quattro diversi gruppi di atomi legati a un atomo centrale di carbonio. La configurazione tetraedrica dei gruppi rende la molecola asimmetrica. Queste molecole esistono in due forme. Benché chimicamente identiche, una è in senso fisico l’immagine speculare dell’altra. Se ne può fare una semplice illustrazione con un paio di guanti. Sono della stessa grandezza e forma, ma uno va bene solo alla mano destra, l’altro solo alla sinistra.

      Una soluzione di una forma di un tale composto devia a sinistra un fascio di luce polarizzata; l’altro tipo lo fa ruotare a destra. Quando un chimico sintetizza un amminoacido da un composto più semplice, ottiene quantità uguali di entrambe le forme. Ciascuna forma annulla l’effetto dell’altra sulla luce polarizzata. Quando entrambi gli amminoacidi levogiri e destrogiri sono presenti in ugual quantità nella miscela, essa è detta miscela racemica.

      Allorché gli amminoacidi si formano nelle piante o negli animali viventi, si presentano in una forma soltanto, di solito nella forma levogira, o l- (che sta per levo-). Riscaldando un tale composto, l’agitazione termica delle molecole ne trasforma alcune, cambiando la forma levogira in destrogira. Questo cambiamento è detto racemizzazione. Se lo si protrae abbastanza a lungo, produce uguali quantità delle forme l- e d-. Questo fatto è di particolare interesse perché ha relazione con i viventi, come la datazione col radiocarbonio.

      A temperature più basse, la racemizzazione avviene a un ritmo più lento. Più lento di quanto? Dipende dall’energia che ci vuole per invertire la molecola. Segue una nota legge chimica, l’equazione di Arrhenius. Se l’amminoacido viene raffreddato sempre più, la reazione avviene sempre più lentamente finché, a temperature normali, non possiamo vederla affatto cambiare. Possiamo comunque usare ugualmente l’equazione per calcolare con che rapidità cambia. Risulta che ci vorrebbero decine di migliaia di anni perché un amminoacido tipico si avvicinasse allo stato di racemizzazione, quando entrambe le forme levogira e destrogira degli amminoacidi sono presenti in quantità uguali.

      Come metodo di datazione funzionerebbe così: Se, per esempio, un osso viene sepolto e lasciato indisturbato, l’acido aspartico (un amminoacido cristallizzato) presente nell’osso subisce lentamente il processo di racemizzazione. Parecchio tempo dopo dissotterriamo l’osso, estraiamo e purifichiamo l’acido aspartico restante e confrontiamo il suo grado di polarizzazione con quello dell’acido l-aspartico puro. In tal modo possiamo stimare quanto tempo fa l’osso faceva parte di una creatura viva.

      La curva di decadimento è simile a quella di un elemento radioattivo. Ciascun amminoacido ha la propria caratteristica velocità di decadimento proprio come l’uranio decade più lentamente del potassio. Si noti però questa importante differenza: le velocità di decadimento radioattivo non risentono della temperatura, mentre la racemizzazione, essendo una reazione chimica, dipende in misura notevole dalla temperatura.

      Tra le applicazioni del metodo della racemizzazione a cui si è fatta più pubblicità vi è stato il suo impiego per datare i resti di scheletri umani trovati lungo la costa della California. Uno, chiamato uomo Del Mar, avrebbe in base a questo metodo 48.000 anni. Un altro, lo scheletro di una femmina trovato in scavi effettuati vicino a Sunnyvale, sembra averne ancora di più, niente meno che 70.000 anni! Queste età hanno messo in subbuglio non solo la stampa ma specie i paleontologi, perché nessuno aveva mai creduto che nell’America del Nord ci fosse l’uomo da tanto tempo. Si cominciarono a fare delle supposizioni circa la possibilità che dall’Asia gli uomini avessero attraversato lo stretto di Bering ben centomila anni fa. Quanto sono sicure, comunque, le date ottenute con questo nuovo metodo?

      Per rispondere a questa domanda sono state fatte analisi con un metodo radiometrico su prodotti intermedi di decadimento fra l’uranio e il piombo che hanno periodi di dimezzamento adatti per questo intervallo di tempo. L’età ottenuta per lo scheletro di Del Mar era di 11.000 anni e solo di 8.000 o 9.000 anni per quello di Sunnyvale. Qualcosa non andava.

      La cosa più incerta nel metodo della racemizzazione è che la storia termica dei campioni è sconosciuta. Come abbiamo detto, la velocità di racemizzazione è molto sensibile alla temperatura. Se quest’ultima aumenta di 14° centigradi, la reazione avviene dieci volte più in fretta. Come si fa a sapere a quali temperature possono essere state esposte le ossa in un passato così lontano? Per quante estati sono rimaste allo scoperto sotto il caldo sole californiano? O non potrebbero anche essere state in un fuoco all’aperto o in un incendio nella foresta? Oltre alla temperatura, è stato riscontrato che altri fattori influiscono notevolmente sulla velocità di racemizzazione, come il pH (grado di acidità). Un rapporto dice: “Gli amminoacidi contenuti nei sedimenti hanno una velocità di racemizzazione iniziale di quasi un ordine di grandezza (dieci volte) maggiore della velocità osservata negli amminoacidi liberi con un pH e una temperatura simili”.

      E non finisce tutto qui. Uno delle ossa di Sunnyvale è stato esaminato col metodo del radiocarbonio, sia contando le particelle beta degli atomi che decadevano sia con il più recente metodo di conteggio degli atomi. Approssimativamente i valori ottenuti erano concordi. La media era di soli 4.400 anni!

      A cosa possiamo credere? È ovvio che alcune delle risposte sono completamente sbagliate. Dovremmo riporre più fiducia nella datazione col radiocarbonio, dal momento che si ha più esperienza nell’usare questo metodo? Anche con esso, diversi campioni dello stesso osso davano età che oscillavano fra i 3.600 e i 4.800 anni. Forse dovremmo semplicemente ammettere, usando le parole dello scienziato citato in precedenza, che “forse sono sbagliate tutte”.

      [Testo in evidenza a pagina 23]

      Ora si sa che il metodo del radiocarbonio è soggetto a molti tipi di errori

      [Riquadro a pagina 22]

      Solo quest’anno Science News, in un articolo intitolato “Nuove date per utensili ‘primitivi’”, diceva:

      “Quattro manufatti di osso che si pensava fornissero la prova che l’uomo occupò l’America del Nord circa 30.000 anni fa hanno, al massimo, solo 3.000 anni circa, riferiscono l’archeologo D. Earl Nelson della Simon Fraser University della Columbia Britannica e i suoi colleghi in SCIENCE del 9 maggio. . . .

      “La differenza nelle stime delle età fra i due tipi di campioni di carbonio dello stesso osso è a dir poco significativa. Per esempio, a uno ‘scarnatoio’ usato per staccare la carne dalle pelli animali era stata attribuita inizialmente, col metodo del radiocarbonio, un’età di circa 27.000 anni. Ora quell’età è stata riveduta e l’oggetto avrebbe circa 1.350 anni”. — 10 maggio 1986.

      [Diagramma a pagina 24]

      (Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

      La quantità di carbonio 14 (o di acido aspartico racemizzato) varia a seconda delle condizioni esterne

      Variazione di intensità dei raggi cosmici

      Carbonio 14

      Cambiamenti di temperatura

      Acido aspartico

      [Diagramma a pagina 26]

      (Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

      Acido l-aspartico

      COOH C NH2 H CH2COOH

      Acido d-aspartico

      HOOC C H2N H HOOCH2C

  • L’attendibilità delle date bibliche è indiscutibile
    Svegliatevi! 1986 | 22 settembre
    • L’attendibilità delle date bibliche è indiscutibile

      CHE effetto hanno sul nostro intendimento della Bibbia i risultati della datazione scientifica? Dipende dal nostro punto di vista. Se abbiamo accettato l’interpretazione fondamentalista che la terra, il sole, la luna e le stelle — non solo l’umanità — furono tutti creati in appena sei giorni di 24 ore, dobbiamo ammettere che le prove scientifiche ci turbano.

      Se invece comprendiamo che i giorni di Genesi furono lunghi periodi di migliaia d’anni, e che prima d’essi erano trascorsi miliardi di anni per la formazione del pianeta Terra, non c’è nessun problema.

      Sorge un contrasto, però, quando alcune date ottenute col metodo del radiocarbonio indicano che c’erano uomini che accendevano fuochi all’aperto, fabbricavano utensili o costruivano case oltre 6.000 anni fa. Queste date contraddicono la cronologia biblica. A cosa dovremmo credere?

      Dal tempo in cui fu creato Adamo, la Bibbia fornisce un calcolo del tempo, anno per anno, che si collega con l’attendibile storia secolare di circa 25 secoli fa. Gli anni erano contrassegnati dall’annuale cammino del sole dal solstizio estivo a quello invernale e via di seguito, un segno che Dio aveva messo nel cielo a tal fine. Uomini intelligenti annotavano e registravano gli anni consecutivi da un avvenimento storico all’altro. Le registrazioni vennero incorporate nei primi libri della Bibbia e preservate poi come parte del sacro tesoro del popolo giudaico finché esso continuò a esistere come nazione. Questa storia di ineguagliata accuratezza e autorevolezza ci dice che l’umanità è sulla terra da circa 6.000 anni soltanto.

      In contrasto con questa fonte precisa e sicura, si guardi la datazione col metodo del radiocarbonio. Parte da presupposti che sono stati tutti messi in discussione, riveduti e modificati e molti dei quali sono ancora oggetto di seri dubbi. Come può veramente sfidare la cronologia biblica basata sulla storia?

      Cosa possiamo dunque concludere? Abbiamo visto che i geologi trovano in genere nella datazione radiometrica una buona conferma per le loro teorie sulla storia della terra, benché la maggioranza delle date sia tutt’altro che sicura.

      I paleontologi, la maggior parte dei quali sono, a motivo della loro formazione e dell’ambiente che frequentano, favorevoli alla teoria dell’evoluzione, continuano a chiedere aiuto alla datazione radiometrica per avvalorare le loro asserzioni che i presunti fossili di uomini-scimmia abbiano milioni di anni. Ma la loro ricerca è deludente.

      Da un lato, gli “orologi” geologici, l’uranio e il potassio, sono così lenti che non si prestano allo scopo. D’altro lato, l’“orologio” al radiocarbonio, che funziona abbastanza bene solo quando si va indietro di alcune migliaia d’anni, oltre quel tempo rimane irrimediabilmente impegolato in varie difficoltà. Comunque sia, la stragrande maggioranza delle misurazioni al radiocarbonio rientrano nel periodo di 6.000 anni indicato dalla Bibbia. Le poche date più antiche, a cui gli evoluzionisti si aggrappano disperatamente, danno tutte motivo di dubitare.

      Altri metodi di datazione scientifica — fra cui quello della racemizzazione degli amminoacidi è stato il più critico nei confronti della storia della creazione dell’uomo narrata dalla Bibbia — sono stati una grande delusione per gli evoluzionisti.

      Possiamo fiduciosamente sostenere questo: La cronologia biblica non è intaccata da alcun tipo di datazione scientifica.

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