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  • Adamo
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • “Poiché come in Adamo tutti muoiono, così anche nel Cristo tutti saranno resi viventi”. — Giov. 3:16, 18; Rom. 6:23; I Cor. 15:22, 45, 47.

      Dopo esser stato espulso dall’Eden il peccatore Adamo visse abbastanza da vedere l’assassinio di uno dei suoi figli, l’allontanamento del figlio omicida, la violazione della disposizione matrimoniale e la profanazione del sacro nome di Geova. Fu testimone della costruzione di una città, dello sviluppo di strumenti musicali e della fabbricazione di arnesi di ferro e rame. Osservò e fu condannato dall’esempio di Enoc, “il settimo uomo nella discendenza da Adamo”, che “continuò a camminare col vero Dio”. Visse fino alla nona generazione, al tempo di Lamec, padre di Noè. Infine, dopo 930 anni che, tranne una piccolissima parte, trascorse nel lento processo di morire, nel 3096 a.E.V. Adamo tornò alla terra da cui era stato tratto, proprio come aveva detto Geova. — Gen. 4:8-26; 5:5-24; Giuda 14.

  • Adar
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    • Adar

      (adàr).

      Nome dato dopo l’esilio al dodicesimo mese lunare ebraico del calendario sacro, e sesto mese del calendario secolare. (Est. 3:7) Corrisponde a parte di febbraio e di marzo. Alcuni ritengono che il nome significhi “scuro” o “nuvoloso”. Dopo il mese di adar, negli anni bisestili, veniva aggiunto il mese intercalare, chiamato veadar o adar sheni, secondo adar.

      Durante questo mese finiva la stagione invernale e iniziava la primavera, in alcune parti della Palestina cominciavano a fiorire i carrubi, e nelle pianure calde si raccoglievano arance e limoni.

  • Adassa
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    • Adassa

      Vedi ESTER.

  • Ades
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    • Ades

      (àdes).

      Questa è la comune traslitterazione italiana del corrispondente termine greco hàides che letteralmente significa “luogo non visto”. Il termine ricorre in tutto dieci volte nei più antichi manoscritti delle Scritture Greche Cristiane. — Matt. 11:23; 16:18; Luca 10:15; 16:23; Atti 2:27, 31; Riv. 1:18; 6:8; 20:13, 14.

      I traduttori della Settanta, traducendo in greco le Scritture Ebraiche (da Genesi a Malachia), usarono settantatré volte il termine “Ades”, sessanta per tradurre il termine ebraico she’òhl, reso comunemente “Sceol”. Luca, scrittore di Atti divinamente ispirato, nel tradurre la citazione che Pietro fa di Salmo 16:10, indica chiaramente che Ades è l’equivalente greco di Sceol. (Atti 2:27) Inoltre nove traduzioni ebraiche moderne delle Scritture Greche Cristiane usano la parola “Sceol” per tradurre Ades in Rivelazione 20:13, 14; e la traduzione siriaca usa l’analogo termine shiul.

      Ogni volta che ricorre nelle Scritture Greche Cristiane il termine Ades ha relazione con la morte, nel versetto stesso o nell’immediato contesto, in tutti i casi tranne i due menzionati nel paragrafo seguente. Ades non si riferisce a un singolo sepolcro (gr. tàphos), né a una singola tomba (gr. mnèma), né a una singola tomba commemorativa (gr. mnemèion), ma al comune sepolcro di tutto il genere umano, dove i morti e sepolti non si possono vedere. Quindi ha lo stesso significato del termine corrispondente Sceol, come risulta esaminando i dieci casi in cui ricorre.

      Nel primo caso, in Matteo 11:23, Gesù Cristo, rimproverando Capernaum per la sua mancanza di fede, usa Ades per indicare la profonda degradazione di Capernaum, in contrasto con l’altezza del cielo a cui aveva voluto esaltarsi. Un versetto corrispondente è quello di Luca 10:15. Si noti l’uso simile di Sceol in Giobbe 11:7, 8.

      LIBERATI GESÙ E LA CONGREGAZIONE

      A proposito della congregazione cristiana, in Matteo 16:18 Gesù disse che “le porte dell’Ades [“la potenza della morte”, PS] non la sopraffaranno”. Similmente, in punto di morte, il re Ezechia aveva detto: “Nel mezzo dei miei giorni per certo andrò alle porte dello Sceol”. (Isa. 38:10) È dunque evidente che promettendo la vittoria sull’Ades Gesù voleva dire che le sue “porte” si sarebbero aperte per lasciarli liberi mediante la risurrezione, come è avvenuto per Cristo Gesù stesso.

      Poiché Ades si riferisce al comune sepolcro di tutto il genere umano, un luogo più che una condizione, Gesù passò per le “porte dell’Ades” quando venne sepolto da Giuseppe d’Arimatea. Alla Pentecoste del 33 E.V. Pietro disse di Cristo: “Non fu abbandonato nell’Ades e . . . la sua carne non vide la corruzione. Questo Gesù ha Dio risuscitato, del quale fatto noi siamo tutti testimoni”. (Atti 2:25-27, 29-32; Sal. 16:10) Mentre le “porte dell’Ades” (Matt. 16:18) ai giorni di Pietro avevano ancora in loro potere Davide (Atti 2:29), si erano aperte per Cristo Gesù quando il Padre lo risuscitò dall’Ades. Da allora, grazie al potere della risurrezione impartitogli (Giov. 5:21-30), Gesù è il Detentore delle “chiavi della morte e dell’Ades”. — Riv. 1:17, 18.

      USO ILLUSTRATIVO

      In Rivelazione 6:8 l’Ades è descritto in modo figurativo mentre segue da vicino il cavaliere del cavallo pallido, la morte personificata, per accogliere le vittime di mortiferi strumenti: guerra, carestia, piaghe e bestie selvagge.

      Il mare (che a volte è per alcuni un sepolcro acqueo) è menzionato oltre all’Ades come comune sepolcro terreno, per sottolineare che sono inclusi tutti i morti quando Rivelazione 20:13, 14 dice che il mare, la morte e l’Ades dovranno esser svuotati o rendere i loro morti. Dopo di che la morte e l’Ades (ma non il mare) sono scagliati nel “lago di fuoco”, “la seconda morte”. In tal modo scompaiono e questa è la fine dell’Ades (Sceol), il comune sepolcro del genere umano, e anche della morte ereditata da Adamo.

      Il restante brano in cui compare Ades è quello di Luca 16:22-26, nel racconto del “ricco” e di “Lazzaro”. Il linguaggio è chiaramente quello di una parabola e non può essere preso alla lettera in considerazione di tutti i versetti precedenti. Si noti però che del “ricco” della parabola viene detto che è “sepolto” nell’Ades, a riprova che l’Ades è il comune sepolcro del genere umano.

  • Adonai
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    • Adonai

      Vedi GEOVA.

  • Adonia
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    • Adonia

      (Adonìa) [Iah è il mio Signore].

      Quarto figlio di Davide, nato a Ebron da Agghit. (II Sam. 3:4) Pur essendo figlio di un’altra madre, Adonia assomigliava molto ad Absalom in quanto era “molto bello di forme” e ambizioso. (I Re 1:5, 6; confronta II Samuele 14:25; 15:1). Nonostante l’esplicita dichiarazione di Geova che il regno sarebbe passato a Salomone (I Cron. 22:9, 10), Adonia cominciò a vantarsi di essere il prossimo re d’Israele. Poiché Amnon e Absalom, e forse anche Chileab, erano morti, Adonia basava senz’altro la sua pretesa al trono sul fatto che era il figlio maggiore. Come Absalom, ostentò le sue pretese e non fu corretto dal padre. Trovò dei sostenitori conquistando il favore del capo dell’esercito, Gioab, e del sommo sacerdote, Abiatar. (I Re 1:5-8) Fece poi dei sacrifici e tenne una festa presso En-Roghel, poco distante da Gerusalemme, invitando quasi tutta la famiglia reale, tranne Salomone, il profeta Natan e Benaia, con lo scopo evidente di farsi proclamare re. — I Re 1:9, 10, 25.

      Il profeta Natan agì con prontezza per sventare il progetto di Adonia. Consigliò a Betsabea, madre di Salomone, di ricordare a Davide che aveva giurato di dare il regno a Salomone; poi si presentò lui stesso al re per confermare le parole di lei e avvertire Davide della gravità della situazione, facendogli pure capire che secondo lui agiva all’insaputa dei suoi intimi amici. (I Re 1:11-27) Ciò indusse il vecchio re ad agire e a dare prontamente gli ordini per l’unzione di Salomone come coreggente e successore al trono. Quest’azione provocò le gioiose acclamazioni del popolo, che furono udite al banchetto di Adonia. Di lì a poco giunse un messaggero, il figlio del sacerdote Abiatar, con l’inquietante notizia che Davide aveva proclamato re Salomone. I sostenitori di Adonia si dispersero rapidamente ed egli fuggì nel cortile del tabernacolo per cercare rifugio. Salomone gli concesse allora la grazia, a patto che si comportasse bene. — I Re 1:32-53.

      Dopo la morte di Davide, Adonia si rivolse però a Betsabea e la persuase a intercedere per lui presso Salomone onde gli desse in moglie Abisag, la giovane infermiera e compagna di Davide. Le parole di Adonia, “il regno doveva divenire mio, e verso di me tutto Israele aveva volto la faccia perché io divenissi re”, indicano che pensava di esser stato defraudato del suo diritto, anche se pretendeva di riconoscere la mano di Dio nella cosa. (I Re 2:13-21) La richiesta sembrava dettata unicamente dal desiderio di esser compensato in qualche modo per la perdita del regno, ma suggeriva decisamente che in Adonia covava sempre il fuoco dell’ambizione, poiché secondo il costume orientale le mogli e le concubine di un re potevano passare solo al suo successore legale. (Confronta II Samuele 3:7; 16:21). Salomone prese in tal senso la richiesta fatta per mezzo di sua madre e ordinò che Adonia fosse messo a morte, ordine prontamente eseguito da Benaia. — I Re 2:22-25.

  • Adorazione
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    • Adorazione

      Il rendere omaggio o onore riverente. La vera adorazione del Creatore abbraccia ogni aspetto della vita. L’apostolo Paolo scrisse ai corinti: “Sia che mangiate o che beviate o che facciate qualsiasi altra cosa, fate ogni cosa alla gloria di Dio”. — I Cor. 10:31.

      Quando creò Adamo, Geova Dio non prescrisse una particolare cerimonia o un modo in cui l’uomo perfetto poteva avvicinarsi a lui in adorazione. Tuttavia Adamo era in grado di servire o adorare il suo Creatore e Padre celeste facendo fedelmente la Sua volontà. In seguito Geova indicò alla nazione d’Israele un modo di avvicinarlo nell’adorazione, che includeva sacrifici, un sacerdozio e un santuario materiale. Tutto questo però era solo “un’ombra delle buone cose avvenire, ma non la sostanza stessa delle cose”. (Ebr. 10:1) Si è sempre dato in primo luogo risalto all’esercitare fede, al fare la volontà di Geova Dio, e non a cerimonie o a riti. — Matt. 7:21; Giac. 2:17-26; confronta Salmo 50:8-15, 23; Michea 6:6-8.

      Quasi tutti i termini che si riferiscono all’adorazione nelle lingue originali si possono applicare anche ad atti di altro genere. Tuttavia il contesto determina in che modo si devono intendere i rispettivi vocaboli.

      Uno dei verbi ebraici che rendono l’idea di adorare (ʽavàdh) significa fondamentalmente ‘servire’. (Gen. 14:4; 15:13; 29:15) Per servire o adorare Geova bisognava ubbidire a tutti i suoi comandi, fare la sua volontà essendo devoti esclusivamente a lui. (Eso. 19:5; Deut. 30:15-20; Gios. 24:14, 15) Perciò partecipare a qualsiasi rito o atto di devozione per qualsiasi altro dio significava abbandonare la vera adorazione. — Deut. 11:13-17; Giud. 3:6, 7.

      Un altro verbo ebraico che può significare adorare è shahhàh, che fondamentalmente vuol dire ‘inchinarsi’ (Prov. 12:25) o rendere omaggio. (Vedi OMAGGIO). Un inchino poteva essere un semplice atto di rispetto o di cortese riguardo verso un’altra persona (Gen. 19:1, 2; 33:1-6; 37:9, 10), ma poteva anche essere un’espressione di adorazione, indicante la propria riverenza e gratitudine a Dio, e sottomissione alla sua volontà. In relazione al vero Dio o a false divinità, il verbo shahhàh a volte si riferisce a sacrifici e preghiere. (Gen. 22:5-7; 24:26, 27; Isa. 44:17) Ciò indicherebbe che nel pregare o nell’offrire un sacrificio era abituale inchinarsi. — Vedi PREGHIERA.

      La radice ebraica saghàdh (Isa. 44:15, 17, 19; 46:6) significa fondamentalmente ‘prostrarsi’; un simile termine aramaico è seghìdh. Pur essendo di solito associato all’adorazione (Dan. 3:5-7, 10-15, 18, 28), in Daniele 2:46 seghìdh si riferisce all’atto del re Nabucodonosor che rese omaggio a Daniele, prostrandosi davanti al profeta.

      Come l’ebraico ʽavàdh così il verbo greco latrèuo (Luca 1:74; 2:37; 4:8; Atti 7:7) e il sostantivo latrèia (Giov. 16:2; Rom. 9:4) danno l’idea di servizio o rendere servizio. E il verbo greco proskynèo corrisponde esattamente all’ebraico shahhàh, poiché entrambi esprimono il pensiero di rendere omaggio e adorazione.

      Il verbo proskynèo è usato a proposito di uno schiavo che rende omaggio a un re (Matt. 18:26) e dell’atto per cui Satana offrì a Gesù tutti i regni del mondo e la loro gloria. (Matt. 4:8, 9) Se avesse reso omaggio al Diavolo, Gesù avrebbe indicato di sottomettersi a Satana e ne sarebbe diventato il servitore. Ma Gesù rifiutò dicendo: “Va via, Satana! Poiché è scritto: ‘Devi adorare [forma del verbo greco proskynèo o, nel brano di Deuteronomio che Gesù citava, dell’ebraico shahhàh] Geova il tuo Dio, e a lui solo devi rendere sacro servizio [forma del verbo greco latrèuo o dell’ebraico ʽavàdh]’”. (Matt. 4:10; Deut. 5:9; 6:13) Similmente l’adorazione o l’omaggio reso inchinandosi alla “bestia selvaggia” e alla sua “immagine” ha relazione col servizio, poiché gli adoratori vengono identificati come sostenitori della “bestia selvaggia” e della sua “immagine” dal marchio sulla mano (con cui si serve) o sulla fronte (visibile a tutti). Dal momento che il Diavolo dà la sua autorità alla bestia selvaggia, adorare la bestia selvaggia significa in realtà adorare o servire il Diavolo. — Riv. 13:4, 15-17; 14:9-11.

      Altri termini greci relativi all’adorazione derivano da eusebèo, threskèuo e sèbomai. Il verbo eusebèo significa ‘essere pio’, ‘rendere santa devozione’ o ‘venerare, adorare o riverire’. In Atti 17:23 questo verbo è usato a proposito della santa devozione o venerazione che gli ateniesi avevano per un ‘Dio sconosciuto’. (Vedi SANTA DEVOZIONE). Dal verbo threskèuo deriva il sostantivo threskèia, che si riferisce a una “forma di adorazione”, vera o falsa. (Atti 26:5; Col. 2:18) La vera adorazione praticata dai cristiani era contrassegnata da sincero interessamento per i poveri e completa separazione dal mondo empio. (Giac. 1:26, 27) Il verbo sèbomai (Matt. 15:9; Mar. 7:7; Atti 18:7; 19:27) e la relativa forma sebàzomai (Rom. 1:25) significano ‘aver timore di’, ‘riverire, venerare o adorare’. Oggetti di

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