Visita al Tofet di Sulcis
Dal corrispondente di “Svegliatevi!” in Italia
SULCIS: questo fu il nome dato dai Fenici a una delle principali città da essi fondate in Sardegna, quando vi approdarono verso il nono secolo a.E.V. L’importante centro marittimo venne creato con l’evidente scopo di favorire sia lo sviluppo commerciale che la penetrazione fenicia nel territorio. Sorgeva su quella che oggi è chiamata isola di Sant’Antioco, nella fascia costiera sudoccidentale della Sardegna. La città ottenne maggior forza e accresciuto prestigio allorché i Cartaginesi cominciarono a insediarsi nella zona al posto dei Fenici, verso il sesto secolo a.E.V., divenendo forse la maggiore delle città puniche (i Romani usavano il termine “Punici” per indicare i Fenici occidentali, i Cartaginesi).
Il periodo fenicio-punico vi lasciò profondi segni delle proprie istituzioni politiche, dell’organizzazione della vita urbana e, in modo ancor più marcato, della propria religione. Gli archeologi hanno ritrovato numerose statue religiose, fra cui il pingue ed allegro Bes, ma soprattutto la potente Tanìt, protettrice dello Stato cartaginese, “dea cosmica, signora del cielo e della terra, dei vivi e dei morti, dea vergine e madre”. Gli studiosi affermano che a lei venivano dedicati i luoghi chiamati dagli archeologi col termine biblico “Tofet”. Nel posto dell’antica Sulcis, in Sardegna, si trovano i resti di quello che forse fu il principale Tofet dell’isola. Si pensa che i riti ivi praticati dal nono al settimo secolo a.E.V. fossero cananei, rivelando così la sorprendente analogia con quanto viene dichiarato nella Bibbia.
Tofet nella Bibbia
La parola Tofet ha radici antiche e probabilmente significa “luogo dell’arsione”. A Gerusalemme era una parte della valle di Innom fuori della città, vicino alla Porta dei Cocci. (Ger. 19:2, 6, 14) Gli Israeliti infedeli vi praticarono riti pagani che includevano il sacrificio di bambini, attirando su di sé la disapprovazione del vero Dio Geova al quale una tal cosa ‘non era mai salita in cuore’. (Ger. 7:31-33) Perfino i re di Giuda Acaz e Manasse si macchiarono dell’orrendo delitto! (2 Cron. 28:1-3; 33:1, 6, 9) Il buon re Giosia provvide infine a purificare il luogo. (2 Re 23:10, 16) Immaginando tali scene dell’antichità, ci accingiamo a fare una visita al Tofet di Sulcis per ‘toccare con mano’, per verificare cioè quali fossero le tristi realtà di quel tempo.
Visita al Tofet
Gli scavi hanno portato alla luce tre strati: 1) fenicio; 2) punico; 3) tardo punico, periodo questo in cui ai sacrifici umani cominciarono a sostituirsi quelli animali. I sacrifici avvenivano quasi sempre di notte e solo i primogeniti maschi delle famiglie aristocratiche della città potevano essere immolati. Essi venivano offerti in olocausto a Baal, ma ancor più alla dea Tanìt, nella credenza che, oltre a rigenerare la natura, con la loro morte divenissero parte della divinità. Essere così sacrificati rappresentava un grande privilegio riservato a pochi eletti! Le cerimonie avevano luogo per placare la divinità in caso di calamità naturali, nella convinzione che si potessero prevenire disastri, oppure per propiziarsi l’assistenza divina in caso di guerra o altro. La vittima passava per altre due fasi dopo essere stata sgozzata: la cremazione e la tumulazione.
Giungiamo alla parte più bassa del santuario e ci troviamo al cospetto dell’altare, una vera e propria ara sacrificale ricavata dalla viva roccia, quasi nascosta dalle piante che la circondano. In alto si possono ancora scorgere le sporgenze rocciose sulle quali venivano poste le quattro lampade votive in onore della dea Tanìt la cui immagine sovrastava l’altare medesimo. La vittima destinata al sacrificio veniva spogliata dei suoi abiti e lavata nella nicchia a sinistra e subito dopo rivestita con la “tunica dell’immortalità” e adornata con monili e altri oggetti.
Un po’ a destra rispetto alla nicchia, proprio al di sotto dell’immagine della dea Tanìt, il giovane veniva disteso su di un piano leggermente inclinato e quindi sgozzato dal sacerdote officiante. Il sangue schizzava fuori con violenza ed ancor caldo irrorava la terra nel significato magico di fertilizzarla. Un canaletto scavato nel punto dove veniva appoggiata la testa della vittima permetteva di raccogliere una parte del sangue in una cavità pure scavata nella roccia, per bagnare la base della stele votiva da mettersi nel posto della tumulazione. Dopo essere stata sgozzata, agonizzante, la vittima veniva portata lentamente al luogo della cremazione e la processione veniva accompagnata da canti rituali.
Attraversiamo anche noi lo stretto passaggio fra le rocce, giungendo così alla parte più alta del santuario. Questo era il posto più sacro e nemmeno i familiari della vittima vi potevano accedere, ma soltanto i sacerdoti. Notiamo un grande masso di roccia di trachite in mezzo al quale si osserva una fenditura abbastanza profonda. In questa crepa i corpi delle vittime venivano interamente bruciati e il vento che soffiava da maestrale spingeva in alto il fumo del sacrificio in direzione della città i cui abitanti godevano, per così dire, di una sorta di partecipazione. Dopo la cremazione le ossa frantumate venivano poste in urne di terracotta e inumate.
Facendo qualche altro passo in salita arriviamo nel punto in cui le urne venivano tumulate. Qui sono stati trovati i resti di duemila sacrifici! Le urne che vediamo variano nelle dimensioni in base alla grandezza della vittima e diverse di esse contengono ancora i resti ossei. È accertato che i primogeniti partecipavano al sacrificio in tutta coscienza e non si ribellavano. A chiusura dell’urna si poneva un piattello sul quale venivano collocati oggetti personali della vittima. Su tali piattelli sono stati trovati amuleti, il simbolo magico dello scarabeo, minuscoli giocattoli e poppatoi dell’epoca. Quest’ultimo particolare fa pensare che le vittime potevano essere giovanissime, si ritiene dai due anni in su. In ogni caso si poneva il sigillo di famiglia.
Qualche volta una lampada votiva accompagnava l’inumazione. La sepoltura delle urne oppure la loro collocazione nelle rocce si faceva di fronte al sole nascente, con evidente riferimento al riguardo che si aveva per i corpi celesti.
Divinità e simboli
Su numerose stele votive ritrovate appare scolpita l’immagine della dea Tanìt con i suoi simboli: il disco o la falce lunare e la forma di un triangolo sormontato da una barra ed un cerchio. Tanìt corrisponde alla fenicia Astarte, all’egiziana Iside, alla greco-romana Afrodite-Venere e alla babilonese Ishtar. Quale diffusione ha avuto il culto di questa divinità femminile considerata dai popoli la dea madre, la terra madre, la progenitrice di tutti i viventi, la “dea vergine e madre”! Come si sono propagate dall’antica Babele le false idee religiose!
Su altre stele troviamo anche l’immagine del dio Baal (Moloc) e immagini di animali. Osserviamo anche un certo riferimento all’adorazione fallica per il fatto che su diverse di queste stele votive furono scolpite immagini raffiguranti l’organo sessuale maschile quale “simbolo della vita”.
Terminiamo la visita al Tofet che è quasi buio. Un ultimo colpo d’occhio ci mostra l’immensa zona archeologica nella quale gli scavi sono tutt’ora in corso. Proviamo un profondo senso di orrore al pensiero di quelle giovani vite stroncate in base ai dettami di quella terribile, falsa forma di adorazione, come falsi erano i suoi idoli rappresentativi di chiara origine babilonica.
E non possiamo non rivolgere pensieri di gratitudine al vero e vivente Dio Geova che, secondo il Suo immutabile proposito, prossimamente libererà l’umanità dalla malvagia influenza esercitata per millenni dalle religioni da Lui disapprovate. Dirigendoci verso il moderno agglomerato di Sant’Antioco siamo sorpresi nel leggere il nome della strada che stiamo percorrendo, “Via Tanìt”, la dea sanguinaria!
[Diagramma/Immagine a pagina 10]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
Altare del Tofet di Sulcis
1. Nicchia dove la vittima veniva spogliata e lavata
2. Cavità dove veniva raccolto il sangue per bagnare la stele votiva
3. Piano dell’altare dove veniva distesa la vittima per essere sgozzata
4. Passaggio fra le rocce che conduceva al posto della cremazione
5. Luogo dove era posta l’immagine della dea Tanìt
6. Una parte del sangue bagnava il terreno come simbolo di fertilità
[Cartina a pagina 9]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
ITALIA
Sardegna
Sulcis
Cartagine
FENICIA
Babilonia
[Immagine a pagina 11]
Urne giacenti nello stesso luogo dove sono state ritrovate