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TarsisAusiliario per capire la Bibbia
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In Cronache però viene detto che le navi di Salomone impiegate per i viaggi triennali “andavano a Tarsis” (II Cron. 9:21); e inoltre che le navi di Giosafat erano state fatte “per andare a Tarsis” e che, quando fecero naufragio, non avevano più “la forza di andare a Tarsis”. (II Cron. 20:36, 37) Ciò indicherebbe che Ofir non era l’unico porto in cui facevano scalo le “navi di Tarsis” israelite, ma che queste navigavano anche nel Mediterraneo. Si pone naturalmente, un problema, dal momento che almeno alcune di queste imbarcazioni erano state varate a Ezion-Gheber nel golfo di ‘Aqaba. (I Re 9:26) Per entrare nel Mediterraneo le navi avrebbero dovuto attraversare un canale per raggiungere il Nilo e quindi il Mediterraneo dal Mar Rosso oppure circumnavigare il continente africano. Anche se ora non è assolutamente possibile determinare i particolari delle rotte (inclusi i canali) seguite all’epoca di Salomone e di Giosafat, non è però necessario considerare inattuabile la descrizione delle loro imprese marittime.
IAFETICO, NON SEMITICO NÈ CAMITICO
Alcuni studiosi cercano di dimostrare che il termine “Tarsis” sia di origine accadica (assiro-babilonese) e che nella lingua fenicia significasse “fonderia o raffineria di metalli”. Sulla base di questa teoria sostengono che le “navi di Tarsis” fossero semplicemente navi dirette in località dove si trovavano queste raffinerie e che il nome “Tarsis” si riferisse a qualsiasi fonderia del genere. Tuttavia Genesi (10:2, 4) presenta “Tarsis” come una popolazione iafetica e quindi non imparentata con i popoli di lingua accadica (semiti), né con i fenici (di origine camitica), e il nome “Tarsis” è usato altrove nella Bibbia per indicare una località o regione precisa (e, in quell’epoca, ovviamente ben nota). Sembra più verosimile che la successiva notorietà dei discendenti di Tarsis nel raffinare metalli, o la ricchezza mineraria della regione da loro occupata, col tempo abbia fatto sì che il nome “Tarsis” diventasse se mai sinonimo di “raffinare metalli”.
NELLE PROFEZIE
Sembra che per la città di Tiro Tarsis fosse un importante sbocco commerciale, forse la fonte di maggiore ricchezza durante parte della sua storia. Sin dall’antichità la Spagna ha avuto miniere per la lavorazione dei ricchi giacimenti di argento, ferro, stagno e altri metalli. (Confronta Geremia 10:9; Ezechiele 27:3, 12). Infatti la dichiarazione profetica di Isaia circa la caduta di Tiro descrive le navi di Tarsis che ‘urlano’ una volta giunte a Chittim (Cipro, forse l’ultimo approdo della loro rotta orientale) e avuta la notizia che il ricco porto di Tiro è stato spogliato. — Isa. 23:1, 10, 14.
Altre profezie predicevano che Dio avrebbe mandato qualcuno del suo popolo a Tarsis per proclamarvi la sua gloria (Isa. 66:19), e che “navi di Tarsis” avrebbero portato i figli di Sion da molto lontano. (Isa. 60:9) I “re di Tarsis e delle isole” avrebbero dovuto pagare un tributo al re di Geova. (Sal. 72:10) Viceversa, in Ezechiele 38:13 viene detto che “i mercanti di Tarsis” insieme ad altri popoli dediti al commercio avrebbero mostrato interesse egoistico per il saccheggio dei radunati di Geova proposto da Gog di Magog. Incluse fra altre cose che simboleggiano autoesaltazione, superbia e alterigia, le navi di Tarsis saranno umiliate e solo Geova sarà esaltato nel “giorno appartenente a Geova degli eserciti”. — Isa. 2:11-16.
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TarsoAusiliario per capire la Bibbia
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Tarso
Principale città e capitale della provincia romana della Cilicia; luogo di nascita dell’apostolo Paolo. (Atti 9:11; 22:3) La città era situata a circa 16 km dalla foce del Cidno, che si versa nel Mediterraneo orientale meno di 130 km a N dell’estremità orientale di Cipro.
Tarso sorgeva in una fertile pianura costiera coltivata a lino, coltivazione che a sua volta sosteneva fiorenti industrie come la tessitura del lino e la fabbricazione di tende. Tessuto di pelo di capra detto cilicium pure trovava largo impiego nella fabbricazione di tende. Ma un fattore più importante che contribuì alla fama e ricchezza di Tarso era l’ottimo porto situato in posizione strategica lungo un’importante arteria commerciale che attraversava il paese in direzione E-O. Verso oriente portava in Siria e a Babilonia; per raggiungere le regioni settentrionali e occidentali dell’Asia Minore, questa strada attraversava le Porte Cilicie, stretta gola nei monti del Tauro meno di 50 km a N della città.
Nel corso della sua storia diversi personaggi famosi visitarono Tarso, fra cui Giulio Cesare, Marco Antonio e Cleopatra, e anche imperatori. Cicerone fu governatore della città dal 51 al 50 a.E.V. Nel I secolo E.V. Tarso era famosa anche come centro culturale, e, secondo il geografo greco Strabone, come tale superava persino Atene e Alessandria.
Quindi, per tutte queste ragioni, Paolo poté ben dire che Tarso era “una non oscura città”. E disse questo nell’informare un comandante militare di essere cittadino di Tarso, non egiziano. — Atti 21:37-39.
Ogni tanto nel corso del suo ministero Paolo tornò a Tarso, sua città nativa (Atti 9:29, 30; 11:25, 26), e senza dubbio vi passò durante alcuni dei suoi viaggi missionari. — Atti 15:23, 41; 18:22, 23.
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Tartan
(tàrtan o tartàn) [forse, comandante in capo].
Sono stati scoperti elenchi di eponomi assiri in cui è menzionato il titolo tartanu. A proposito dell’ordine in cui i titoli compaiono in questi elenchi, James B. Pritchard (Ancient Near Eastern Texts, III ed., 1974) osserva: “In seguito, la posizione all’interno della gerarchia era determinante per la sequenza, infatti il più alto ufficiale (tartanu) veniva immediatamente dopo il re, mentre importanti funzionari di palazzo . . . e i governatori delle principali province si avvicendavano in ordine ben stabilito”.
Un’iscrizione del re assiro Assurbanipal, ora nel British Museum, dice in parte: “Mi adirai molto a motivo di questi avvenimenti, la mia anima era in fiamme. Chiamai l’ufficiale-tartan, i governatori, e anche i loro assistenti e diedi immediatamente l’ordine”. Queste iscrizioni assire indicano che il titolo Tartan si applicava a un ufficiale di alto rango, probabilmente secondo solo al re.
Il re Sennacherib mandò il Tartan, insieme ad altri funzionari, fra cui Rabsache, capo coppiere del re, che fungeva da portavoce, a consegnare un ultimatum per la capitolazione di Gerusalemme. Il Tartan è elencato per primo, forse a motivo della sua posizione superiore. (II Re 18:17, 28-35) Ai giorni del profeta Isaia Sargon II re d’Assiria mandò un Tartan ad assediare la città di Asdod. — Isa. 20:1.
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TartaroAusiliario per capire la Bibbia
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Tartaro
(Tàrtaro).
Termine che ricorre una sola volta nelle Scritture ispirate, in II Pietro 2:4. L’apostolo scrive: “Certamente se Dio non si trattenne dal punire gli angeli che peccarono, ma, gettandoli nel Tartaro, li consegnò a fosse di dense tenebre per esser riservati al giudizio . . .” L’espressione “gettandoli nel Tartaro” traduce una forma del verbo greco tartaròo.
La versione filosseniana-eracleense di II Pietro 2:4 la traduce semplicemente “i luoghi più bassi”.
Un pensiero parallelo si trova in Giuda 6: “E gli angeli che non mantennero la loro posizione originale ma abbandonarono il proprio luogo di dimora egli li ha riservati al giudizio del gran giorno con legami sempiterni, sotto dense tenebre”. Un’indicazione di quando questi angeli “abbandonarono il proprio luogo di dimora” la dà Pietro parlando di “spiriti in prigione, che una volta erano stati disubbidienti quando la pazienza di Dio aspettava ai giorni di Noè, mentre era costruita l’arca”. — I Piet. 3:19, 20; vedi FIGLIO (FIGLI) DI DIO, NEFILIM.
Da questi versetti è evidente che il termine Tartaro rappresenta o si riferisce a una condizione degradata, simile a una prigione, in cui Dio gettò quegli angeli disubbidienti. Deve indicare una condizione più che un posto particolare in quanto Pietro, d’altra parte, dice che quegli angeli disubbidienti sono in “fosse di dense tenebre”, mentre Paolo dice che sono “nei luoghi celesti” di dove esercitano un’autorità delle tenebre come malvage forze spirituali. (II Piet. 2:4; Efes. 6:10-12) Similmente le dense tenebre non sono una letterale mancanza di luce ma il risultato di essere esclusi dalla luce di Dio, essendo rinnegati e proscritti dalla sua famiglia con solo una prospettiva tetra per il loro destino eterno.
Il Tartaro dunque non è la stessa cosa dell’ebraico Sceol o del greco Ades, che si riferiscono entrambi alla comune tomba terrena di tutto il genere umano. Questo è evidente dal fatto che l’apostolo Pietro spiega che Gesù Cristo predicò a quegli “spiriti in prigione”, ma spiega pure che Gesù lo fece non nei tre giorni durante i quali era sepolto nell’Ades (Sceol), ma dopo la sua risurrezione dall’Ades. — I Piet. 3:18-20.
Inoltre la condizione degradata rappresentata dal Tartaro non va confusa con l’“abisso” in cui Satana e i demoni saranno alla fine scagliati nel “giudizio del gran giorno”. (Riv. 20:1-3; Giuda 6) A quanto pare gli angeli disubbidienti erano stati gettati nel Tartaro “ai giorni di Noè” (I Piet. 3:20), ma circa duemila anni dopo troviamo che supplicano Gesù “di non ordinar loro di andare nell’abisso”. — Luca 8:26-31; vedi ABISSO.
Il termine Tartaro ricorre anche nella mitologia pagana precristiana. Nell’Iliade di Omero questo mitologico Tartaro è descritto come una prigione sotterranea ‘tanto al di sotto dell’Ades quanto la terra è al di sotto del cielo’. Vi erano imprigionati dèi minori, Crono e gli altri Titani. Come si è visto il Tartaro biblico non è un luogo ma una condizione e, perciò, non è la stessa cosa del Tartaro della mitologia greca. Tuttavia, si noti che il Tartaro mitologico non è presentato come un posto per esseri umani ma per creature sovrumane. Quindi in questo c’è un’analogia, dal momento che il Tartaro scritturale chiaramente non serve per la detenzione di anime umane (confronta Matteo 11:23) ma solo per sovrumani spiriti malvagi ribelli a Dio.
La condizione di estrema degradazione rappresentata dal Tartaro è un’anticipazione dell’inabissamento che Satana e i demoni subiranno prima dell’inizio del regno millenario di Cristo. Ciò, a sua volta, sarà seguito dopo la fine dei mille anni dalla loro completa distruzione nella “seconda morte”. — Matt. 25:41; Riv. 20:1-3, 7-10, 14.
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Tassazione
Forme di tassazione sono sempre servite per sostenere le spese del governo, dei funzionari pubblici e anche dei sacerdoti. Anticamente le tasse includevano la decima, tributi, pedaggi, una tassa ‘pro capite’, e imposte sui consumi, le esportazioni e importazioni e sui beni trasportati attraverso un paese dai mercanti.
TASSE PER SOSTENERE IL SANTUARIO DI GEOVA
Il servizio del santuario veniva sostenuto mediante tassazione. La decima obbligatoria costituiva il maggiore introito per i sacerdoti aaronnici e i leviti e, almeno in un’occasione, essi ricevettero parte del bottino di guerra come tassa stipulata da Geova. (Num. 18:26-29; 31:26-47; vedi DECIMA). Geova inoltre ordinò a Mosè che, quando si faceva un censimento, ogni persona registrata doveva versare mezzo siclo come “contribuzione per Geova”, a favore della tenda di adunanza. (Eso. 30:12-16) Sembra che gli ebrei avessero la consuetudine di dare annualmente una somma stabilita, anche se il censimento non veniva fatto ogni anno. Ioas per esempio richiese “la tassa sacra ordinata da Mosè”. (II Cron. 24:6, 9) Al tempo di Neemia gli ebrei si impegnarono a versare ogni anno la terza parte di un siclo per il servizio del tempio. (Nee. 10:32) E all’epoca del ministero terreno di Gesù gli ebrei davano due dramme al tempio. Quando gli fu chiesto se Gesù pagava questa tassa, Pietro rispose affermativamente. Più tardi, tornato sull’argomento, Gesù fece notare che i re non richiedono tasse dai propri figli, poiché questi fanno parte della casa reale per cui si esige la tassa. Tuttavia, pur essendo l’unigenito Figlio di Colui che veniva adorato nel tempio, Gesù, per evitare di far inciampare altri, provvide affinché la tassa venisse pagata. — Matt. 17:24-27.
TASSE IMPOSTE DAI SOVRANI
Con l’istituzione del potere regale in Israele furono imposte tasse, corrispondenti alla decima parte del gregge e del prodotto, per il mantenimento del re, della sua famiglia e dei vari servitori e funzionari del governo. (I Sam. 8:11-17; I Re 4:6-19) Verso la fine del regno di Salomone la coscrizione per i lavori forzati e il mantenimento del governo erano diventati così gravosi per la popolazione che venne chiesto a Roboamo, figlio e successore di Salomone, di alleggerire ‘il duro servizio e il pesante giogo’. Il rifiuto di Roboamo provocò la rivolta di dieci tribù. — I Re 12:3-19; vedi LAVORI FORZATI
Caduti sotto la dominazione straniera, gli israeliti furono assoggettati anche ad altre forme di tassazione. Per esempio quando il faraone Neco rese Ioiachim suo vassallo e impose a Giuda una pesante multa o tributo, Ioiachim raccolse i fondi necessari imponendo ai sudditi di versare una certa somma “secondo l’aliquota di tassa di ciascun individuo”. — II Re 23:31-35; vedi TRIBUTO.
Durante la dominazione persiana, gli ebrei (fatta eccezione per i sacerdoti e altri che prestavano servizio nel santuario, esonerati da Artaserse Longimano) dovevano pagare una tassa (middàh o mindàh), un tributo (belòh) e un pedaggio (halàkh). (Esd. 4:13, 20; 7:24) Si pensa che middàh fosse una tassa ‘pro capite’; belòh un’imposta sui consumi; e halàkh un pedaggio pagato dai viaggiatori alle stazioni di posta sulle strade o ai guadi dei fiumi. La middàh (“tributo” in Neemia 5:4, CEI, NM, VR) doveva essere assai alta; infatti molti ebrei dovevano ricorrere a prestiti per pagarla. Oltre a dover pagare le tasse riscosse dai persiani, gli ebrei normalmente dovevano anche pensare al mantenimento del governatore. — Nee. 5:14, 15.
Nel I secolo E.V., gli ebrei erano molto restii a pagare le tasse, non solo a motivo della corruzione prevalente fra gli esattori di tasse, ma anche perché questo li costringeva a riconoscere la propria sottomissione a Roma. (Vedi
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