Un dipinto biblicamente corretto
ALCUNI testimoni di Geova della città italiana di Piacenza svolgevano la loro consueta opera biblica nel vicino centro di Cortemaggiore, per parlare ai suoi abitanti del confortante messaggio del regno di Dio.
Erano nei pressi del duomo cattolico, di fronte alla piazza detta del “Crocifisso” quando, posando lo sguardo sulla facciata di un edificio privato che apparentemente non presentava alcuna caratteristica degna di rilievo, scorsero un dipinto che stimolò la loro curiosità e li sorprese.
Si trattava della raffigurazione del Signore Gesù morto, appeso non ad una “croce”, ma ad un palo! E ciò corrispondeva alla realtà. Lo avevano appreso approfondendo lo studio della Sacra Bibbia. Coloro che hanno voluto fare un esame accurato dell’argomento sanno infatti che la parola greca “staurós”, tradotta “croce” dalla maggior parte delle traduzioni della Sacra Bibbia, significa principalmente “palo” o “albero”.a
I Testimoni vollero subito rintracciare l’autore del dipinto, ansiosi di parlargli del messaggio biblico e chiedergli i motivi che lo avevano spinto a fare questa accurata rappresentazione. Trovatolo, poterono fare una conversazione con lui. Ma quale delusione provarono quando seppero che la ragione era di natura esclusivamente pratica! Ma lasciamo che sia proprio lui, il pittore, a parlarcene: “Avevo a disposizione, per realizzare il dipinto, una superficie rettangolare, alta due metri e larga settanta centimetri. È evidente che non avrei potuto rappresentarvi Gesù a braccia aperte, dato che l’apertura delle braccia di un uomo è all’incirca uguale alla sua altezza. Se avessi raffigurato Gesù tradizionalmente, su una ‘croce’, avrei dovuto non utilizzare tutta l’altezza della superficie e fare un dipinto molto piccolo e poco visibile in lontananza. Così decisi di sfruttare l’intero spazio rappresentando Gesù al palo.
“Il proprietario dell’edificio non si oppose a siffatto modo di raffigurare il supplizio di Gesù. A lavoro finito vi furono un discorso di inaugurazione pronunciato da un frate francescano e la ‘benedizione’ del dipinto da parte del parroco del paese. Essi non fecero alcun commento sul modo in cui avevo eseguito il lavoro, né la popolazione criticò questo particolare”.
I Testimoni comunque spiegarono all’autore del dipinto che quello era proprio il modo giusto di raffigurare lo strumento di morte del Signore e cercarono di suscitare in lui interesse per il messaggio biblico. Tuttavia, dopo alcune visite successive, desisterono constatando il suo scarso interesse. Ma lasciamo di nuovo parlare il pittore: “Al tempo di quelle visite ero preso da altri interessi e quindi lasciai perdere. In seguito mi sposai, trasferendomi a Varese. Non ricordo esattamente quanto tempo passò. Tuttavia, quando i testimoni di Geova di questa città vennero a visitarmi a casa, accettai di conversare con loro, memore dei precedenti colloqui.
“Questa volta, piano piano, gli argomenti esaminati mi interessarono e gradualmente mia moglie ed io cominciammo a far progresso e ci recammo anche alle adunanze della locale congregazione. Credo che Geova aprisse il nostro cuore affinché potessimo accogliere la Parola di Dio senza riserve. Infatti in seguito abbiamo potuto entrambi essere battezzati e divenire membri dedicati della congregazione locale, presso la quale da qualche anno svolgo anche l’attività di servitore di ministero”.
Un dipinto, sebbene realizzato inconsapevolmente in armonia con quanto indicano i Vangeli, ha creato l’occasione per seminare “la parola del regno” nel cuore di persone sincere. — Matt. 13:18-23.
[Nota in calce]
a Vedi la Grande Enciclopedia De Agostini (volume VII) alla voce “croce”.