Il rifiuto del trattamento emotrasfusionale alla luce della Costituzione
“Le continue e sconcertanti violazioni della libertà individuale, cui vanno incontro i Testimoni di Geova, allorché, ricoverati in un qualsiasi nosocomio, rifiutano per motivi religiosi la trasfusione del sangue che viene loro il più delle volte egualmente praticata dal personale medico, ripropongono l’interrogativo sull’esatta configurazione dei rapporti tra libertà individuale e trattamento medico-chirurgico”.
Con le suddette parole inizia il lavoro I limiti costituzionali dei trattamenti “sanitari” (a proposito dei Testimoni di Geova), a cura di Rosalia D’Alessio, pubblicato sulla rivista Diritto e Società (n. 3, 1981) dalla CEDAM-Padova.
Il secondo comma dell’art. 32 della Costituzione afferma: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Come può applicarsi questa fondamentale norma al rifiuto della terapia trasfusionale da parte del paziente? Il citato lavoro dice in proposito:
“Ove, quindi, il trattamento sanitario (nel nostro caso la trasfusione del sangue) costituisse la misura lesiva del proprio credo religioso, se assunto al di fuori di espressa previsione legislativa, esso risulterebbe in contrasto con l’art. 32 cpv. I proposizione, ma, anche ove fosse disposto per legge (nell’ipotesi ovviamente che si ritengano ammissibili trattamenti sanitari ad esclusivo vantaggio della salute del soggetto), potrebbe pur sempre farsi valere la sua eventuale incostituzionalità in relazione all’art. 32 cpv. II proposizione e alle disposizioni cui tale norma necessariamente rinvia.
“Se quindi, per i ragionamenti svolti, non sembra proprio che dall’art. 32 possa argomentarsi l’esistenza di un dovere a carico dell’individuo di curarsi, bensì, al contrario, sembra potersi desumere un diritto a non farsi curare e, comunque, di rifiutare singoli trattamenti sanitari come la trasfusione di sangue, occorre però esaminare se tale diritto alla disponibilità del proprio corpo possa essere non di meno limitato tramite intervento dell’autorità giudiziaria”.
Può dunque la magistratura imporre legittimamente le trasfusioni di sangue contro la volontà del paziente? Il succitato lavoro afferma in proposito: “Nel caso in esame, viceversa, la terapia emotrasfusionale, che pure si voglia praticare nonostante la contraria volontà del soggetto chiamata a subirla, non risulta prevista da alcun atto legislativo ed esula di per sé dai presupposti di applicabilità e dalle garanzie desumibili dall’art. 32 Cost. cpv., II proposizione. Consegue da ciò l’illegittimità stessa di una eventuale autorizzazione dell’autorità giudiziaria in ordine a limitazioni della disponibilità del (diritto al)la salute non previste dalla legge, . . .
“In altri termini, se l’atto terapeutico è ad esclusivo vantaggio del soggetto, non interessi la salute della collettività e non sia previsto da alcuna legge, esso rientra in quell’area di disponibilità soggettiva delineata, sia pure in termini negativi ma non per questo meno efficaci, dall’art. 32 cpv., I proposizione”.
Più avanti si legge ancora: “Ma, se una legge che imponesse la trasfusione del sangue come presidio terapeutico obbligatorio o che, più in generale, fondasse un dovere per il medico di intervenire in determinati casi (scilicet [vale a dire]: sciopero della fame, rifiuto di aborto terapeutico, emotrasfusione e così via), potrebbe risultare costituzionalmente illegittima, a maggior ragione, ove non vi sia alcuna legge, così come è censurabile, sia sotto il profilo deontologico, sia sotto quello più propriamente giuridico, la condotta del sanitario che, pur in presenza di esplicito dissenso del paziente, si determini al trattamento emotrasfusionale, del pari l’intervento dell’autorità giudiziaria in materia di diritti individuali pare per lo più arbitrario o, comunque, privo di presupposti legittimanti”.
“In conclusione”, ribadisce il citato lavoro, “sia in base alle recenti disposizioni concernenti gli accertamenti e i trattamenti sanitari, sia in base allo stesso codice deontologico, sia ed in particolare in base all’art. 32 Cost., in mancanza di apposita legge, deve senz’altro escludersi la liceità di quei trattamenti sanitari che prescindano dal consenso del paziente. L’intervento dell’autorità giudiziaria in tali casi si appalesa arbitrario e, come tale, in grado di condurre a gravi abusi ai danni delle libertà del cittadino”.