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  • Pasto serale del Signore
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • Anche il Pasto Serale del Signore è un pasto di comunione, poiché vi è una comune partecipazione. (I Cor. 10:18-21) Geova Dio vi partecipa in quanto Autore della disposizione, Gesù Cristo è il sacrificio di riscatto, e i suoi fratelli spirituali vi partecipano prendendo gli emblemi. Il fatto che mangiano alla “tavola di Geova” indicherebbe che sono in pace con Geova. (I Cor. 10:21) Infatti le offerte di comunione a volte erano chiamate “offerte di pace”. — Lev. 3:1, NW, nota in calce.

      Coloro che partecipano al pasto, mangiando il pane e bevendo il vino, riconoscono di essere insieme partecipi in Cristo, in completa unità. L’apostolo Paolo dice: “Il calice di benedizione che noi benediciamo, non è una partecipazione al sangue del Cristo? Il pane che noi rompiamo, non è una partecipazione al corpo del Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi, benché molti, siamo un solo corpo, giacché partecipiamo tutti a quel solo pane”. — I Cor. 10:16, 17.

      Con questa partecipazione essi indicano di essere nel nuovo patto e di riceverne i benefici, cioè il perdono dei peccati da Dio per mezzo del sangue di Cristo. Hanno in giusta stima il valore del “sangue del patto” mediante il quale sono santificati. (Ebr. 10:29) Nelle Scritture sono definiti “ministri d’un nuovo patto”, che prestano servizio secondo i fini di quello. (II Cor. 3:5, 6) E appropriatamente prendono il pane emblematico perché possono dire: “Mediante la quale ‘volontà’ noi siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo una volta per sempre”. (Ebr. 10:10) Partecipano alle sofferenze di Cristo e a una morte simile alla sua, una morte di integrità; e sperano di partecipare alla sua risurrezione. — Rom. 6:3-5.

      Di ciascun partecipante al pasto, l’apostolo Paolo scrive: “Chiunque mangerà il pane o berrà il calice del Signore indegnamente sarà colpevole rispetto al corpo o al sangue del Signore. Prima l’uomo approvi se stesso dopo scrutinio, e così mangi del pane e beva del calice. Poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso se non discerne il corpo”. (I Cor. 11:27-29) Pratiche impure, non scritturali o ipocrite lo squalificherebbero vietandogli di mangiarne. Se lo facesse in tale condizione, mangerebbe e berrebbe un giudizio contro se stesso. Non mostrerebbe apprezzamento per il sacrificio di Cristo, il suo scopo e significato. Mostrerebbe mancanza di rispetto e disprezzo. (Confronta Ebrei 10:28-31). Una persona del genere rischierebbe di essere ‘stroncata dal popolo di Dio’, come chi in Israele avesse partecipato a un pasto di comunione essendo impuro. — Lev. 7:20.

      Paolo paragona il Pasto Serale del Signore al pasto di comunione degli israeliti, infatti prima parla dei partecipanti che sono insieme partecipi in Cristo, e poi dice: “Guardate ciò che è Israele secondo la carne: Non sono quelli che mangiano i sacrifici partecipi con l’altare? ... Voi non potete bere il calice di Geova e il calice dei demoni; non potete partecipare alla ‘tavola di Geova’ e alla tavola dei demoni”. — I Cor. 10:18-21.

      PARTECIPANTI E ALTRI PRESENTI AL PASTO

      Gesù, radunati i dodici apostoli, disse loro: “Ho grandemente desiderato mangiare con voi questa pasqua prima che io soffra”. (Luca 22:15) La descrizione che ne fa Giovanni, un testimone oculare, indica invece che Gesù aveva congedato il traditore Giuda prima di istituire il pasto della Commemorazione. Durante la Pasqua, Gesù, sapendo che Giuda l’avrebbe tradito, intinse un boccone del pasto pasquale e glielo porse, ordinandogli di andarsene. (Giov. 13:21-30) Anche la descrizione di Marco suggerisce tale successione degli avvenimenti. (Mar. 14:12-25) Poi, durante il Pasto Serale del Signore, Gesù passò il pane e il vino agli undici apostoli rimasti, dicendo loro di mangiare e bere. (Luca 22:19, 20) Dopo di che disse che avevano ‘perseverato con lui nelle sue prove’: un’ulteriore indicazione che Giuda era stato allontanato. — Luca 22:28.

      Non c’è alcuna prova che anche Gesù abbia mangiato il pane così offerto o bevuto dal calice durante il pasto della Commemorazione. Il corpo e il sangue che diede dovevano essere dati per loro e per convalidare il nuovo patto, per mezzo del quale i loro peccati sarebbero stati rimessi. (Ger. 31:31-34; Ebr. 8:10-12; 12:24) Gesù non aveva peccati. (Ebr. 7:26) È il mediatore del nuovo patto fra Geova Dio e quelli scelti come compagni di Cristo. (Ebr. 9:15; vedi PATTO). Oltre agli apostoli presenti a quel pasto, altri avrebbero fatto parte dello spirituale “Israele di Dio”, un “piccolo gregge”, e a suo tempo sarebbero stati re e sacerdoti con Cristo. (Gal. 6:16; Luca 12:32; Riv. 1:5, 6; 5:9, 10) Tutti i fratelli spirituali di Cristo sulla terra dovrebbero dunque partecipare a questo pasto ogni volta che viene celebrato. Essi sono “certe primizie delle sue creature” (Giac. 1:18), acquistate di fra il genere umano come “primizie a Dio e all’Agnello”, e nella visione di Giovanni è rivelato che sono 144.000. — Riv. 14:1-5.

      Osservatori non partecipanti

      Il Signore Gesù Cristo aveva rivelato che, durante la sua presenza, ci sarebbero state persone che avrebbero fatto del bene ai suoi fratelli spirituali, visitandoli in momenti di necessità, e prestando loro aiuto. (Matt. 25:31-46) Costoro, che possono assistere alla celebrazione del Pasto Serale del Signore, hanno i requisiti per prendere gli emblemi? Le Scritture dicono che Dio darà per mezzo del suo spirito santo a coloro che hanno i requisiti per prendere gli emblemi essendo “eredi in realtà di Dio, ma coeredi di Cristo”, la prova e l’assicurazione che sono figli di Dio. L’apostolo Paolo scrive: “Lo spirito stesso rende testimonianza col nostro spirito che noi siamo figli di Dio”. E prosegue spiegando che altri trarranno beneficio dalla disposizione di Dio per questi figli: “Poiché l’ansiosa aspettazione della creazione attende la rivelazione dei figli di Dio”. (Rom. 8:14-21) Dato che i coeredi di Cristo ‘regneranno quali re e sacerdoti sulla terra’, il Regno recherà benefici a coloro che ne saranno i sudditi. (Riv. 5:10; 20:4, 6; 21:3, 4) È naturale che coloro che ne ricevono i benefici s’interessino del Regno e dei suoi sviluppi. Costoro assistono dunque, quali osservatori, alla celebrazione del Pasto Serale del Signore, ma, non essendo coeredi di Cristo né figli spirituali di Dio, non prendono gli emblemi poiché non sono partecipi della morte di Cristo, con la speranza di una risurrezione alla vita celeste con lui. — Rom. 6:3-5.

      NÉ TRANSUSTANZIAZIONE NÉ CONSUSTANZIAZIONE

      Quando offrì il pane Gesù aveva ancora il suo corpo carnale. Questo corpo, integro e completo, doveva essere offerto come sacrificio per i peccati, perfetto e immacolato, il pomeriggio successivo (dello stesso giorno del calendario ebraico, il 14 nisan). Aveva ancora tutto il suo sangue per quel sacrificio perfetto. “Versò la sua anima [che è nel sangue] alla medesima morte”. (Isa. 53:12; Lev. 17:11) Quindi durante il pasto serale non compì un miracolo di transustanziazione, trasformando letteralmente il pane nella sua carne e il vino nel suo sangue. Per le stesse ragioni non si può veracemente dire che con un miracolo facesse in modo che la sua carne e il suo sangue coesistessero col pane e col vino, come sostengono coloro che aderiscono alla dottrina della consustanziazione.

      Inoltre, mangiare carne e sangue umani sarebbe cannibalismo. Le parole di Gesù, “se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi”, avevano significato figurativo, ma furono prese alla lettera da alcuni ebrei suoi discepoli, che dissero: “Questo discorso è offensivo; chi lo può ascoltare?” Questo era indicativo della veduta ebraica circa il mangiare carne e sangue umani, inculcata dalla Legge. — Giov. 6:53, 60.

      Per di più bere sangue era una violazione della legge di Dio, non solo quella dichiarata nel patto della Legge, ma anche quella dichiarata dallo stesso Geova Dio a Noè, prima della Legge. (Gen. 9:4; Lev. 17:10) Il Signore Gesù Cristo non avrebbe mai ordinato di violare la legge di Dio, infatti disse: “Chi viola perciò uno di questi minimi comandamenti e insegna così agli uomini, sarà chiamato ‘minimo’ riguardo al regno dei cieli”. (Matt. 5:19) Inoltre Gesù comandò: “Continuate a far questo ... in ricordo di me”, non in sacrificio. — I Cor. 11:23-25.

      Il pane e il vino sono dunque emblemi che rappresentano la carne e il sangue di Cristo in modo simbolico, come andavano intese le sue parole circa il mangiare la sua carne e bere il suo sangue. A coloro che erano rimasti scandalizzati dalle sue parole Gesù aveva detto: “Infatti il pane che darò è la mia carne a favore della vita del mondo”. (Giov. 6:51) Questo avvenne alla sua morte come sacrificio sul palo di tortura. Il suo corpo venne sepolto e fu eliminato dal Padre suo prima che potesse decomporsi. (Atti 2:31) Nessuno mangiò mai letteralmente la sua carne o il suo sangue.

      CELEBRAZIONE CORRETTA, ORDINATA

      La congregazione cristiana di Corinto si trovava, sotto certi aspetti, in una cattiva condizione spirituale, infatti, come disse l’apostolo Paolo: “Molti fra voi sono deboli e malati, e parecchi dormono nella morte”. Questo era in gran parte dovuto al fatto che non avevano ben compreso il significato del Pasto Serale del Signore. Non rispettavano la santità dell’occasione. Quelli della congregazione che avevano molti mezzi mangiavano e bevevano a sazietà a casa prima di assistere alla celebrazione, alcuni erano assonnati, altri addirittura ubriachi. Quelli che non avevano mezzi venivano affamati, desiderosi di celebrare la Commemorazione per soddisfare il loro appetito. Evidentemente quelli che avevano fame si mettevano a mangiare prima che arrivassero gli altri. Né gli uni né gli altri si rendevano conto che il pasto doveva essere simbolo di unità. Non comprendevano pienamente la serietà della cosa, che gli emblemi rappresentavano il corpo e il sangue del Signore, e che il pasto era una commemorazione della sua morte. Paolo mise in risalto il grave pericolo che correvano coloro che vi partecipavano senza riconoscere questi fatti. — I Cor. 11:20-34.

  • Pasur
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    • Pasur

      (Pasùr) [ciò che rimane tutt’intorno].

      1. Principe che faceva parte della delegazione inviata dal re Sedechia a interrogare Geremia circa il futuro di Gerusalemme. (Ger. 21:1, 2) Fu Pasur che chiese al re il permesso di mettere Geremia nella cisterna. (Ger. 38:1, 4, 6) In questi due brani Pasur è definito “figlio di Malchia”. Anche nella genealogia della famiglia di sacerdoti tornata dall’esilio in Babilonia è menzionato “Pasur figlio di Malchia”. (I Cron. 9:12; Nee. 11:12) Se il principe Pasur era davvero un sacerdote, può darsi che da lui abbiano tratto nome i “figli di Pasur”. — Esd. 2:38.

      2. Sacerdote, “figlio [o discendente] di Immer,... commissario capo nella casa di Geova”. Pasur, non tollerando le profezie di Geremia, lo colpì e lo mise ai ceppi per poi ridargli la libertà l’indomani. Perciò Geova, per mezzo di Geremia, predisse che Pasur sarebbe stato preso prigioniero e sarebbe morto a Babilonia e quindi gli cambiò nome da Pasur in “Spavento tutto intorno” (ebr. Maghòhr missavìv) (Ger. 20:1-6), espressione che ricorre diverse volte in questo libro biblico. — Ger. 6:25; 20:3, 10; 46:5; 49:29.

  • Patara
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    • Patara

      (Pàtara).

      Porto della Licia dove l’apostolo Paolo e i suoi compagni, probabilmente nel 56 E.V., si trasferirono su una nave diretta in Fenicia. (Atti 21:1, 2) Attualmente Patara è rappresentata da antiche rovine presso il villaggio di Gelemish sulla montuosa costa SO dell’Asia Minore e parecchi chilometri a E della foce del fiume Xanto (Koca). Era un porto dove facevano scalo le navi provenienti dall’Italia, dall’Egitto, dalla Siria e da altre località, ed era il porto principale per le città che sorgevano lungo la valle dello Xanto.

  • Patmos
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    • Patmos

      (Pàtmos).

      Isola dove fu esiliato l’apostolo Giovanni “per aver parlato di Dio e aver reso testimonianza a Gesù”. (Riv. 1:9) Là ricevette la Rivelazione. Secondo un’antica tradizione, Giovanni, che era stato confinato nell’isola di Patmos nel quindicesimo anno del regno di Domiziano (ca. 95 E.V.), venne rimesso in libertà dopo la morte di quell’imperatore.

      Situata nel Mare Icario (parte dell’Egeo) circa 55 km a O della costa dell’Asia Minore, Patmos non distava neanche 240 km da tutt’e sette le congregazioni a cui erano specificamente rivolti i messaggi contenuti nei capitoli 2 e 3 di Rivelazione. Questa piccola isola vulcanica (lunga 14 km e larga 8) ha coste molto frastagliate ed è piuttosto arida e rocciosa. Oggi tuttavia produce grano, olive e uva. A motivo del suo isolamento, Patmos, insieme a altre isole dell’Egeo, serviva come colonia penale.

  • Patros
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    • Patros

      (Patròs) [forse, paese meridionale].

      Nome menzionato sempre insieme all’Egitto (ebr. Mitsràyim). (Ezec. 30:13, 14) Quasi tutte le fonti autorevoli lo mettono in relazione col termine egiziano p’,-t’,-rsy (di cui si ignora l’effettiva pronuncia), che evidentemente indicava l’Alto Egitto. Per Alto Egitto si intende in genere la regione della valle del Nilo che da un punto a S di Menfi risale fino a Siene (l’attuale Assuan) presso la prima cateratta del Nilo. Alcuni studiosi tuttavia sono propensi a includere in questa regione un “Medio Egitto” e ritengono che Patros corrisponda più precisamente alla Tebaide, cioè alla regione dell’Alto Egitto intorno all’antica città di Tebe, circa 480 km a S della regione del Delta nel Basso Egitto. Il versetto di Isaia 11:11, che predice il ritorno degli esuli israeliti da ‘Egitto (Mizraim), Patros e Cus’, sembrerebbe corroborare la collocazione di Patros nell’Alto Egitto, che confinava a S con Cus (l’Etiopia). Un’iscrizione del re assiro Esar-Addon elenca nello stesso ordine “Musur, Paturisi e Cus”.

      Secondo Ezechiele 29:14, Patros sarebbe ‘il paese d’origine degli egiziani’. L’idea tradizionale egiziana, riportata da Erodoto (Libro II, 4, 15, 99), evidentemente lo conferma, poiché indica nell’Alto Egitto, e in particolare nella regione di Tebe, la sede della prima monarchia egiziana, con un re che Erodoto chiama “Min”, nome che non compare in nessun documento egiziano. Diodoro

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