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Metodi non cristiani per cristianizzare l’EuropaSvegliatevi! 1984 | 8 gennaio
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Metodi non cristiani per cristianizzare l’Europa
Come fece la Chiesa Cattolica nell’alto Medioevo a condurre in Europa la sua imponente campagna di conversione al cattolicesimo? Quali furono i metodi seguiti? Una significativa risposta a tali quesiti si trova nell’articolo Come fu condotta la cristianizzazione dell’Europa a cura di Franco Cardini, pubblicato su Storia Illustrata dell’agosto 1979 e di cui riportiamo alcuni brani:
“Il cristianesimo, erede in ciò come in altri aspetti dell’ebraismo, trovava necessario imporre un rigoroso monoteismo a popoli che al contrario erano abituati a venerare molti dèi; non solo, ma ad imporre il suo Dio a popoli abituati a dèi per definizione ‘maghi’ o ‘guerrieri’, a dèi che compivano prodigi e che guidavano alla vittoria in battaglia. Un Dio di pace e d’amore sarebbe restato incomprensibile alle fiere popolazioni celtiche, germaniche e slave.
“Ecco quindi che il cristianesimo mutò pian piano volto a partire dal IV secolo, a partire cioè da quando esso fu abbracciato dagli ultimi imperatori romani e, divenuto religione di Stato, fuse i suoi simboli e le sue istituzioni ecclesiali con i simboli del potere imperiale e con le istituzioni pubbliche romane. . . .
“Gregorio Magno, il grande pontefice del VI-VII secolo, evangelizzatore di Angli, Sassoni e Longobardi, suggeriva ad esempio di non distruggere i santuari pagani (ch’erano spesso, nel mondo germanico, luoghi caratterizzati dalla presenza di pietre, di alberi, di fonti sacre), bensì di erigervi una chiesa e perfino di perpetuare certe tradizioni culturali quali i donativi, le cerimonie purificatorie, i banchetti, ma dedicandole a un santo e assimilandole il più possibile agli usi cristiani. . . .
“Si è già visto come Gregorio Magno consigliasse di conciliare nuova fede e tradizioni antiche: egli sapeva che gli usi sacrali non s’impiantano né si sradicano se non nei tempi lunghi, e che un nuovo culto si fonda tanto più rapidamente e saldamente quanto più si riallaccia al contesto culturale dei popoli chiamati ad accoglierlo. I missionari spagnoli in America Latina avrebbero più o meno notato, un millennio più tardi, la stessa cosa.
“Nasceva così, poco a poco, un cristianesimo abbastanza lontano dalle sue origini . . . le pratiche devozionali, i riti liturgici d’importanza minore o legata a tradizioni locali, i vari culti dei santi, tutta insomma la ‘vita quotidiana’ cristiana, dovette adattarsi a costumi e in una certa misura a contenuti che avevano poco a che fare con la religione predicata alle turbe di Galilea o alle comunità cristiane delle origini. Le pietre sacre che riempivano di sé i boschi di Francia e d’Inghilterra (o, per meglio dire, di Gallia e di Britannia), i dolmen e i menhir, continuarono a essere oggetto dell’antica venerazione, trasformate però in piedistalli per la croce, in tavole d’altare, in rappresentazioni rustiche del Calvario. I santi missionari, se non volevano che la gente ammalata ricorresse per guarire ancora al druida o alla strega, dovettero divenire taumaturghi più potenti di quello e di questa: e lo vediamo bene, per esempio, nella vita di san Patrizio, il cristianizzatore degli Irlandesi. Ma agli antichi dèi, oltre che la salute, si chiedeva la vittoria in battaglia e la vita eroica dopo la morte (come nel guerresco Walhalla germanico): ed ecco quindi le chiese cristiane popolarsi di santi militari, di guerrieri coronati dall’aureola nei quali la filologia tedesca del secolo scorso vide, forse tendenziosamente, la prosecuzione sotto spoglie cristiane dei vecchi culti guerrieri, ma che certo comunque — nel momento stesso in cui a quei culti tendevano a sostituirsi — ne perpetuavano in una certa misura il significato. San Giorgio, san Martino, san Sebastiano, san Maurizio, l’arcangelo Michele furono venerati e invocati in battaglia: e talora anche i santi i cui originali contorni non erano guerrieri acquistarono tratti militari. . . .
“Vogliamo fare un esempio [del mantenimento di antiche pratiche pagane]? Il primo giorno di novembre era, nella Gallia celtica, dedicato alla celebrazione degli antenati e al loro ritorno rituale nelle loro rispettive tribù. Era, direbbero gli antropologi, una ‘festa dei morti’ garanzia, con il suo stesso rituale iterarsi, che nel resto dell’anno i defunti sarebbero rimasti nel loro mondo e si sarebbero guardati dal disturbare i vivi. Il quadro mitico-religioso che ne emerge è in palese contrasto — inutile farlo notare — con la dottrina cristiana dell’Aldilà. Ma la Chiesa non costrinse i popoli celtici a rinunziarvi: al contrario, basandosi sul principio cristiano [cioè cattolico] della comunione dei santi e del suffragio dovuto alle anime dei trapassati, essa trasformò l’antica festa celtica nei due giorni dedicati ai santi e ai morti, appunto il 1º e il 2 novembre”.
Come fu diverso il metodo del Fondatore del vero cristianesimo, Gesù, il quale incoraggiò i suoi discepoli ad adorare il Padre suo “con spirito e verità” e perciò ad attenersi strettamente alle Sacre Scritture citandole frequentemente e dicendo, in riferimento ad esse, “è scritto”! — Giovanni 4:24; Matteo 4:4, 7, 10.
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La fama è tutto?Svegliatevi! 1984 | 8 gennaio
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La fama è tutto?
LA SERA del 17 agosto 1968 i miei sogni si avverarono. Interpretavo il difficile ruolo drammatico di Ippolito nella Fedra di Miguel de Unamuno, scrittore spagnolo del nostro secolo. Gli altri attori professionisti che recitavano nel ruolo di mio padre e della mia matrigna erano artisti di tutto rispetto. Le scene, recitate con vigore e realismo, tennero viva l’attenzione degli spettatori. Fummo interrotti dagli applausi in cinque occasioni. In due scene il peso del dialogo ricadeva su di me.
Quella sera, mentre era in corso il festival municipale di San Lorenzo dell’Escorial, nella provincia spagnola di Madrid, rappresentava uno speciale trionfo per me. Dopo anni di accanite lotte potevo assaporare l’indiscusso successo! Poco dopo cominciai a ricevere offerte più numerose e migliori per partecipare a film e spettacoli televisivi.
Ma cosa mi aveva avviato alla carriera teatrale? Per aiutarvi a capire i miei motivi devo ricondurvi alla mia infanzia negli anni quaranta, nella città andalusa di Siviglia, durante il terribile periodo che seguì la guerra civile spagnola del 1936-39.
Un’infanzia tormentata
Ero il maggiore di cinque figli, cresciuto
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