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  • Lo scopo della trasfigurazione
    La Torre di Guardia 1974 | 1° novembre
    • di mezzo ai loro fratelli un profeta come te; e in realtà metterò le mie parole nella sua bocca, ed egli per certo pronuncerà loro tutto ciò che io gli comanderò. E deve accadere che l’uomo il quale non avrà ascoltato le mie parole ch’egli avrà pronunciate nel mio nome, io stesso gliene chiederò conto”. — Deut. 18:18, 19; Atti 3:22, 23, 26.

      Cristo avrebbe svolto un’opera simile a quella di Elia. Il profeta Malachia aveva scritto la promessa di Geova: “Ecco, vi mando Elia il profeta prima che venga il grande e tremendo giorno di Geova”. Elia aveva compiuto una grande opera per ristabilire la pura adorazione. (1 Re 18:25-29, 40) Giovanni Battista operò in questo senso verso Israele. (Luca 1:17; Matt. 17:12, 13) Ma al tempo della trasfigurazione, questo Giovanni era morto. La comparsa di Elia in visione avrebbe perciò indicato che Cristo avrebbe svolto un’opera più grande, ristabilendo in modo permanente la pura adorazione. Questo doveva verificarsi “prima che [venisse] il grande e tremendo giorno di Geova”, ciò che avrà luogo quando Dio eseguirà il giudizio sui falsi adoratori e su questo presente sistema di cose malvagio. — Mal. 4:5, 6.

      La visione era così reale che Pietro cominciò a partecipare alla scena, sopraffatto evidentemente dal timore reverenziale e dall’apprezzamento. Quando vide i due uomini della visione che “si separavano da [Gesù]”, evidentemente non voleva che se ne andassero. Per cui parlò di erigere tende, “non comprendendo ciò che diceva”.

      Comunque, l’episodio fu una visione, essendo Mosè ed Elia visti solo in visione. (Matt. 17:9) Poiché Mosè era morto ed era ancora nella tomba. (Deut. 34:5, 6; si paragoni Atti 2:29). Elia fu portato in un carro di fuoco su nel cielo, ma non nel cielo di Dio. In effetti, fu trasferito o trasportato in un altro luogo della terra per svolgervi un incarico. Infatti, anni dopo Elia, ancor vivo, scrisse una lettera profetica a Ieoram, re di Giuda. (2 Cron. 21:12) In seguito Elia morì, come accade a tutto il genere umano. Né lui né Mosè furono risuscitati alla vita eterna prima di Cristo, che è “il primogenito dai morti”. Gesù stesso, mentre era sulla terra, disse: “Nessun uomo è asceso al cielo”. — Riv. 1:5; Giov. 3:13.

      Mentre Pietro parlava, si formò una nube che li coprì. Questo fu un simbolo dell’invisibile presenza di Geova. (Eso. 16:10; 1 Re 8:10) Quindi, in uno dei tre casi dove si udì la voce stessa di Geova, Egli rese la sua propria testimonianza che Gesù era il Messia, dicendo: “Questo è il mio Figlio, colui che è stato eletto. Ascoltatelo”. — Luca 9:35.

      “LA PAROLA PROFETICA RESA PIÙ SICURA”

      Quale conclusiva e solenne prova fu data in quell’occasione a questi tre apostoli! Come sarebbe stata ora vigorosa e convincente la loro testimonianza che Cristo era il Messia! Essi non avevano affatto ‘gustato la morte’ prima di vedere questa drammatica dimostrazione della futura presenza di Cristo nella gloria del Regno. Più di trent’anni dopo l’apostolo Pietro scrisse:

      “No, non seguendo false storie inventate artificiosamente vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la presenza [parousia, l’invisibile presenza nel potere del Regno] del nostro Signore Gesù Cristo, ma essendo divenuti testimoni oculari della sua magnificenza. Poiché egli ricevette da Dio Padre onore e gloria, quando dalla magnifica gloria gli furono rivolte tali parole: ‘Questo è il mio Figlio, il mio diletto, che io ho approvato’. Sì, queste parole udimmo rivolgere dal cielo mentre eravamo con lui sul monte santo. Quindi abbiamo la parola profetica resa più sicura; e voi fate bene prestandole attenzione come a una lampada che risplenda in luogo tenebroso, finché albeggi il giorno e sorga la stella del mattino, nei vostri cuori”. — 2 Piet. 1:16-19.

      L’apostolo Giovanni, circa sessantasei anni dopo la visione della trasfigurazione, aveva evidentemente questa scena ancora chiara nella mente quando scrisse: “La Parola è divenuta carne e ha risieduto fra noi, e noi abbiamo visto la sua gloria, una gloria tale che appartiene a un figlio unigenito da parte di un padre; ed egli era pieno d’immeritata benignità e di verità”. — Giov. 1:14.

      Oggi la “stella del mattino” di cui Pietro parlò è sorta. Alla fine dei tempi dei Gentili nel 1914 E.V. Gesù Cristo è stato insediato sul trono nella gloria del Regno! Se abbiamo ‘prestato attenzione, nei nostri cuori, alla profezia’, abbiamo la parola profetica confermata ancor più vigorosamente che non agli apostoli. Cristo ha adempiuto ciò che fu scritto profeticamente di lui nella Legge e nei Profeti. Egli conduce ora il suo popolo come lo condusse Mosè, con la prospettiva di una giusta terra paradisiaca per quelli che ora lo accettano e seguono la sua guida. Prendete sul serio la parola profetica e la parola dei veraci testimoni oculari della sua maestà? Discernete la sua invisibile presenza nel potere del Regno? In tal caso, siete ora altamente favoriti e avete davanti una meravigliosa prospettiva.

  • Teneramente compassionevoli, come il nostro Dio
    La Torre di Guardia 1974 | 1° novembre
    • Teneramente compassionevoli, come il nostro Dio

      GEOVA nostro Dio è incomparabilmente compassionevole. In tutti i nostri problemi e le nostre difficoltà possiamo avere fiducia che la sua veduta dei suoi figli umani peccatori sarà mitigata da una calorosa tenerezza che lo spinge a trovare i modi di alleviare il dolore ed elargire loro benedizioni. Tale fiducia si basa sulla nostra conoscenza delle sue opere passate, narrate nella Bibbia.

      Chi pensate che mostrasse compassione al disubbidiente popolo d’Israele, avvertendolo ripetutamente con una lunga successione di profeti? Perfino quando quel popolo era caduto moralmente e religiosamente molto in basso, fu Geova a fare la promessa: “Mostrerò loro compassione, proprio come un uomo mostra compassione al figlio suo che lo serve”. — Mal. 3:17.

      L’unigenito Figlio di Dio, quando fu sulla terra sotto forma d’uomo, dimostrò questa stessa santa qualità della tenera compassione. Il racconto del suo ministero dice come provò pietà per le folle “perché erano mal ridotte e disperse come pecore senza pastore”. (Matt. 9:35, 36) La sua pietà non fu soddisfatta con la semplice espressione orale. Fu una profonda compassione che lo spinse a guarire i malati, sanare gli zoppi, sfamare gli affamati, dare la vista ai ciechi e l’udito ai sordi. Ma non si fermò lì. Sapeva bene che il popolo aveva urgente bisogno di un pastore, che lo conducesse al sicuro e lo proteggesse contro le cattive influenze di un mondo empio. Addestrò dunque i suoi discepoli a essere pastori compassionevoli.

      Per essere efficaci i pastori che prestano servizio sotto Cristo devono agire come agì lui e avere gli stessi motivi. Devono imparare a essere teneramente compassionevoli, particolarmente verso quelli che si rendono conto del loro bisogno spirituale. E questo avviene tanto più nel nostro giorno, poiché ora viviamo nei tempi più angustiosi che ci siano mai stati. Vi sono moltitudini

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