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LealtàAusiliario per capire la Bibbia
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alla giustizia, e che manifesta incrollabile amorevole benignità a coloro che lo servono, che tratta con giustizia e fedeltà anche i suoi nemici, è del tutto degno di fiducia. (Riv. 15:3, 4) Lealtà alla rettitudine e alla giustizia e anche amore per il suo popolo lo spingono a intervenire come Giudice. — Riv. 16:5; confronta Salmo 145:17.
Geova è leale ai suoi patti. (Deut. 7:9) A motivo del patto stipulato col suo amico Abraamo, per secoli fu longanime e misericordioso verso la nazione di Israele. (II Re 13:23, Ger. 3:12) Chi gli è leale può confidare pienamente in lui. (Sal. 37:27, 28) Chiedendo in preghiera l’aiuto di Dio, Davide disse: “Con qualcuno leale agirai con lealtà; col potente senza difetto ti comporterai senza difetto”. — II Sam. 22:26.
Chi è leale a Geova può star certo che egli sarà vicino e lo aiuterà sino alla fine del suo cammino fedele, e potrà riposare in tutta sicurezza, sapendo che si ricorderà di lui qualunque cosa accada. Geova guarda la sua via (Prov. 2:8), guarda la sua vita o anima. — Sal. 97:10.
GESÙ CRISTO
Quando era sulla terra Gesù Cristo trasse molta forza dal fatto che Dio aveva fatto predire che, essendo egli il principale “leale” di Dio, la sua anima non sarebbe stata lasciata nello Sceol. (Sal. 16:10) Il giorno di Pentecoste del 33 E.V. l’apostolo Pietro applicò questa profezia a Gesù dicendo: “[Davide] vide in anticipo e parlò della risurrezione del Cristo, che non fu abbandonato nell’Ades e che la sua carne non vide la corruzione. Questo Gesù ha Dio risuscitato, del quale fatto noi siamo tutti testimoni”. (Atti 2:25-28, 31, 32; confronta Atti 13:32-37). Nel commento su Atti 2:27 The Expositor’s Greek New Testament dice che il termine ebraico hhasìdh (usato in Salmo 16:10) non indica solo una persona devota e pia, ma anche uno che è oggetto dell’amorevole benignità di Dio.
DIO ESIGE LEALTÀ
Dai suoi servitori Geova esige lealtà. Devono imitare lui. (Efes. 5:1) L’apostolo Paolo dice ai cristiani di “rivestire la nuova personalità che fu creata secondo la volontà di Dio in vera giustizia e lealtà”. (Efes.4:24) Esortando a pregare nella congregazione dice: “Perciò desidero che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando mani leali, senza ira e dibattiti”. (I Tim. 2:8) La lealtà è una delle qualità indispensabili perché un uomo possa ricevere un incarico di sorvegliante nella congregazione di Dio. — Tito 1:8; vedi BENIGNITÀ.
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LebbraAusiliario per capire la Bibbia
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Lebbra
Terribile e ripugnante malattia che si manifesta in diversi modi, designata nella Bibbia col termine ebraico tsaràʽath e col greco lèpra. Chi ne è afflitto è chiamato lebbroso.
Nelle Scritture “lebbra” non è soltanto la malattia che oggi porta questo nome, dal momento che potevano esserne affetti non solo esseri umani ma anche vestiti e case. (Lev. 14:55) Il termine ebraico tsaràʽath poteva includere anche forme di elefantiasi, ma non si può stabilirlo con precisione. La lebbra odierna è detta anche “malattia di Hansen”, dal dottor Gerhard A. Hansen che scoprì il bacillo ritenuto la causa della malattia. Comunque, anche se il termine tsaràʽath non si riferisce solo alla malattia attualmente chiamata lebbra, non c’è dubbio che la lebbra o “malattia di Hansen” che affligge tuttora esseri umani era diffusa nel Medio Oriente in tempi biblici.
VARIE FORME, E LORO EFFETTI
Oggigiorno la lebbra o malattia di Hansen (non molto contagiosa) si manifesta in tre forme principali. La lebbra tuberosa o nodulare provoca l’ispessimento della pelle e la formazione di noduli, presenti prima nella pelle del viso e poi in altre parti del corpo. Ha anche effetti degenerativi sulle mucose del naso e della gola. Un’altra forma è la lebbra nervosa o anestetica, meno grave della prima, che attacca il sistema nervoso periferico. Si manifesta nella pelle ed è dolorosa al tatto, benché a volte provochi insensibilità. Una terza forma, la lebbra mista, presenta i sintomi di entrambe le forme già menzionate.
Col progredire della lebbra nello stadio più avanzato, le tumefazioni iniziali diventano purulente, si perdono i capelli e i sopraccigli, le unghie si allentano e cadono. Quindi le dita, gli arti, il naso o gli occhi del malato si consumano lentamente. Infine, nei casi più gravi, sopravviene la morte. Che la “lebbra” biblica fosse senz’altro una malattia molto grave è evidente dal fatto che Aaronne ne parla come di una malattia in cui la carne viene “mezzo consumata”. — Num. 12:12.
Tale descrizione aiuta a capire meglio i riferimenti biblici a questa spaventosa malattia e le terribili conseguenze del presuntuoso atto di Uzzia che voleva offrire incenso nel tempio di Geova senza averne diritto. — II Re 15:5; II Cron. 26:16-23.
DIAGNOSI
Con la legge mosaica Geova provvide a Israele le informazioni che permettevano al sacerdote di diagnosticare la lebbra e di distinguerla da altre affezioni cutanee meno gravi. Da quanto si legge in Levitico 13:1-46 si capisce che la lebbra poteva manifestarsi inizialmente con un’eruzione, una crosta, una pustola, un foruncolo o una cicatrice lasciata nella carne dal fuoco. A volte i sintomi erano evidenti. Nella zona infetta i peli diventavano bianchi e la piaga risultava più profonda della pelle. Per esempio un’eruzione bianca poteva far imbiancare i capelli e nell’eruzione stessa si poteva vedere la carne viva. Questo indicava che uno aveva la lebbra e doveva essere dichiarato impuro. Ma in altri casi la piaga non era più profonda della pelle e veniva imposto un periodo di quarantena; un successivo esame da parte del sacerdote permetteva di fare un’ulteriore valutazione del caso.
Era risaputo che la lebbra poteva raggiungere uno stadio in cui non era contagiosa. Quando era diffusa su tutto il corpo, che era diventato tutto bianco, e non si vedeva carne viva, era segno che il decorso della malattia era finito e ne rimanevano solo le cicatrici. Allora il sacerdote poteva dichiarare pura la vittima, poiché la malattia non era più un pericolo per nessuno. — Lev. 13:12-17.
Se il lebbroso era guarito, c’erano disposizioni per farlo tornare cerimonialmente puro, e queste includevano un sacrificio offerto in suo favore dal sacerdote. (Lev. 14:1-32) Ma il sacerdote dichiarava impuro il lebbroso non guarito, al che egli doveva avere abiti strappati, capelli incolti e doveva coprirsi i baffi o il labbro superiore e gridare: “Impuro, impuro!” Doveva restare in isolamento fuori dell’accampamento (Lev. 13:43-46), misura presa affinché il lebbroso non contaminasse coloro in mezzo ai quali risiedeva Geova. (Num. 5:1-4) Sembra che in tempi biblici i lebbrosi stessero fra di loro o vivessero in gruppi, in modo da potersi aiutare a vicenda. — II Re 7:3-5; Luca 17:12.
Indumenti e case
La lebbra si poteva attaccare anche a indumenti di lana o di lino, o a oggetti di pelle. La piaga poteva scomparire lavandola, e si doveva mettere l’oggetto in quarantena. Ma se la piaga verde giallognola o rossiccia persisteva, si trattava di lebbra maligna e l’oggetto si doveva bruciare. (Lev. 13:47-59) Se depressioni verdi giallognole o rossicce comparivano sulla parete di una casa, il sacerdote stabiliva una quarantena. Poteva essere necessario togliere le pietre infette e raschiare l’interno della casa; le pietre e la calcina raschiata via venivano portate in un luogo impuro fuori della città. Se la piaga tornava, la casa era dichiarata impura e veniva abbattuta, e il materiale veniva portato in un luogo impuro. Ma se la casa era dichiarata pura ne veniva disposta la purificazione. (Lev. 14:33-57) È stata avanzata l’ipotesi che la lebbra che si attaccava a indumenti o case fosse una specie di muffa; tuttavia c’è qualche incertezza al riguardo.
COME SEGNO
Uno dei segni che Geova permise a Mosè di compiere per dimostrare agli israeliti che era mandato da Dio riguardava la lebbra. Come gli era stato ordinato, Mosè infilò la mano nel lembo superiore della sua veste e, quando la tirò fuori, “la sua mano era colpita da lebbra simile alla neve!” Tornò “come il resto della sua carne” rimettendola nel lembo superiore della veste e poi tirandola fuori di nuovo. (Eso. 4:6, 7) Miriam fu colpita da “lebbra bianca come la neve”, un atto di Dio perché aveva parlato contro Mosè. Questi supplicò Dio di guarirla, il che avvenne, ma essa rimase in quarantena fuori del campo per sette giorni. — Num. 12:1, 2, 9-15.
ALL’EPOCA DI ELISEO
Il siro Naaman era “un potente uomo di valore, benché lebbroso”. (II Re 5:1) Il suo orgoglio quasi gli fece perdere l’opportunità di essere guarito, ma alla fine fece come aveva ordinato Eliseo, immergendosi sette volte nel Giordano, e “la sua carne tornò come la carne di un ragazzino e divenne puro”. (II Re 5:14) In seguito a ciò divenne adoratore di Geova. Ma Gheazi, servitore di Eliseo, si fece avidamente fare un regalo da Naaman in nome del profeta, dando un’idea sbagliata del suo padrone e, in realtà, trasformando l’immeritata benignità di Dio in un mezzo di guadagno materiale. Per tale azione Gheazi fu colpito dalla lebbra per volere di Dio e diventò “lebbroso, bianco come la neve”. — II Re 5:20-27.
Che all’epoca di Eliseo ci fossero diversi lebbrosi in Israele è dimostrato dalla presenza di quattro israeliti lebbrosi fuori delle porte di Samaria quando Eliseo si trovava nella città. (II Re 7:3) Ma gli israeliti in generale non avevano fede in quell’uomo del vero Dio, come gli ebrei del paese di Gesù non avrebbero riconosciuto quest’ultimo quale Messia. Perciò Cristo disse: “E in Israele c’erano molti lebbrosi al tempo del profeta Eliseo, ma non fu purificato nemmeno uno di loro, bensì Naaman il Siro”. — Luca 4:27.
GUARITA DA GESÙ E DAI DISCEPOLI
Durante il suo ministero in Galilea, Gesù guarì un lebbroso descritto da Luca come “un uomo pieno di lebbra”. Gesù gli ordinò di non dirlo a nessuno e aggiunse: “Ma va e mostrati al sacerdote, e fa un’offerta relativa alla tua purificazione, come ha ordinato Mosè, in testimonianza a loro”. — Luca 5:12-16; Matt. 8:2-4; Mar. 1:40-45.
Quando Cristo mandò i dodici apostoli, disse loro fra l’altro: “Purificate lebbrosi”. (Matt. 10:8) In seguito, mentre passava per la Samaria e la Galilea, in un certo villaggio Gesù guarì dieci lebbrosi. Solo uno di loro, un samaritano, “ritornò, glorificando Dio ad alta voce”, e si prostrò ai piedi di Gesù, ringraziandolo di ciò che aveva fatto per lui. (Luca 17:11-19) Si noti inoltre che Cristo si trovava a Betania in casa di Simone il lebbroso (forse guarito da lui) quando Maria gli unse i piedi con costoso olio profumato non molto tempo prima della sua morte. — Matt. 26:6-13; Mar. 14:3-9; Giov. 12:1-8.
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Leb–CamaiAusiliario per capire la Bibbia
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Leb-Camai
(Leb-Camài) [il cuore di quelli che si levano contro di me].
Una nota in calce del testo masoretico sostiene che si tratti di un nome crittografico per Caldea o Kasdìm. Ricorre solo in Geremia 51:1, parlando di ciò che Geova avrebbe fatto a Babilonia e agli abitanti della Caldea. Tale termine è scritto secondo un sistema crittografico detto atbàsh, nel quale l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico (taw) prende il posto della prima lettera (’àleph), la penultima lettera (shin) prende il posto della seconda (behth), ecc. Quindi in Geremia 51:1 il vero nome (Kasdìm) è nascosto formando il termine ebraico Lev gamài. Anziché “Leb-Camai” la Settanta ha “i caldei” e i Targumim “il paese dei caldei”.
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LegameAusiliario per capire la Bibbia
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Legame
Qualcosa che trattiene o limita la libertà, come ceppi o catene, ferri, manette; e anche prigionia (plurale), forza o influenza restrittiva, motivo o vincolo d’unione.
Nei tempi biblici vari mezzi erano impiegati per limitare la libertà di movimento dei prigionieri, fra cui ceppi di rame, legno o ferro, manette e anche prigioni. Bassorilievi egiziani raffigurano prigionieri legati con corde ai gomiti, davanti, dietro o sopra la testa. A volte si legavano i polsi, e tutti i prigionieri erano legati insieme con una corda che passava intorno al collo di ciascuno. Altri avevano manette di legno evidentemente fatte di due pezzi di legno uniti insieme, con aperture rettangolari per i polsi. C’erano manette di varie forme; spesso venivano sospese al collo del prigioniero con una corda. In alcuni bassorilievi egiziani i prigionieri sono legati in modo diverso secondo la nazionalità. Bassorilievi assiri raffigurano prigionieri con ceppi costituiti da anelli o cinghie intorno alle caviglie assicurati insieme da una sbarra.
Nelle Scritture il termine ebraico corrispondente a “rame” (in questi casi di solito al plurale) è spesso tradotto “ceppi”, secondo il contesto, perché i ceppi spesso erano di rame o bronzo, benché potessero essere anche di legno o ferro. Nel British Museum è esposto un paio di ceppi di bronzo provenienti da Ninive formati da una sbarra con un anello alle due estremità. Gli anelli erano tagliati in modo da poter essere chiusi col martello intorno alla caviglia del prigioniero dopo che vi aveva infilato il piede. Uno degli anelli è rotto, ma quando era intero i ceppi potevano pesare 4 kg circa.
I romani avevano l’usanza di unire con una catena la mano destra di un prigioniero alla mano sinistra del soldato di guardia o, per doppia sicurezza, di incatenare ciascuna mano a un soldato. Questo non solo quando il prigioniero veniva condotto in prigione, ma anche durante la detenzione.
La parola ebraica mahpèkheth, tradotta “ceppi” (Ger. 20:2; 29:26; II Cron. 16:10), ha il significato di “distorsione, deformazione”. Questi ceppi evidentemente tenevano la persona in posizione curva, innaturale, e forse trattenevano il collo e le braccia oltre alle gambe. Non esiste una descrizione esatta di questi ceppi. Un’altra forma di ceppi (ebr. sadh) sembra fosse usata per trattenere solo i piedi. (Giob.
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