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PortaAusiliario per capire la Bibbia
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(Ger. 19:5, 6) Era anche la porta attraverso la quale Geremia condusse alcuni anziani e sacerdoti di Israele e annunciò la calamità di Gerusalemme, rompendo una fiasca di terracotta per illustrare come Dio avrebbe fatto al popolo che serviva altri dèi. — Ger. 19:1-3, 10, 11.
Il nome “Porta dei Cocci” poteva essere dovuto al fatto che frammenti di ceramica venivano buttati come rifiuti nelle vicinanze, o perché vi venivano macinati frammenti di ceramica che, ridotti in polvere, servivano per fare cemento con cui intonacare cisterne (come è stato fatto in tempi moderni vicino a una piscina all’estremità SO della città). Inoltre presso questa porta poteva esserci una bottega di vasaio, dato che nella vicina valle di Innom c’era argilla e all’imbocco della valle del Tiropeon e alla sorgente di En-Roghel l’acqua necessaria. — Confronta Geremia 18:2; 19:1, 2.
Porta della Fonte
Porta così chiamata perché da essa si accedeva a una vicina sorgente o fonte, forse En-Roghel, che si trovava sotto il punto di incontro della valle del Chidron con la valle di Innom. Probabilmente era all’estremità S della collina E della città (cioè all’estremità S della “Città di Davide”). (Nee. 2:14; 3:15; 12:37) La Porta della Fonte permetteva a coloro che vivevano nella Città di Davide di uscire e raggiungere comodamente En-Roghel, mentre la Porta dei Mucchi di Cenere, poco più a SO, che pure portava a En-Roghel, era probabilmente un’uscita migliore per gli abitanti del Tiropeon e della collina SO della città.
Porta delle Acque
Il nome di questa porta può essere dovuto alla vicinanza, o almeno al fatto che da essa si poteva accedere, alla sorgente di Ghihon situata circa a metà del lato E della città. Questa porta si trovava vicino all’Ofel, non lontano dall’area del Tempio. (Nee. 3:26) Dalla Porta delle Acque uno dei gruppi della processione inaugurale lasciò le mura per dirigersi verso il Tempio, dove si riunì con l’altro gruppo, evidentemente senza attraversare la parte delle mura della città a E del Tempio. (Nee. 12:37-40) Davanti a questa porta c’era una piazza in cui tutta la popolazione si radunò per udire Esdra leggere la Legge, e dove in seguito si eressero capanne per celebrare la festa delle capanne. — Nee. 8:1-3, 16.
Porta dei Cavalli
I lavori di ricostruzione sopra la Porta dei Cavalli furono compiuti dai sacerdoti, il che fa pensare che si trovasse vicino al Tempio. (Nee. 3:28) Alcuni hanno pensato che la Porta dei Cavalli fosse quella che permetteva il passaggio fra le due parti del quartiere dove sorgevano il Tempio e il palazzo reale. Questa ipotesi si basa sulla descrizione dell’esecuzione capitale di Atalia che, condotta fuori del tempio dai soldati, giunse “all’ingresso della porta dei cavalli della casa del re”. (II Cron. 23:15; II Re 11:16) Tuttavia questo probabilmente era solo un ingresso al recinto del palazzo reale e non la Porta dei Cavalli per la quale passavano i cavalli entrando e uscendo dalla città. Neemia include chiaramente la Porta dei Cavalli nella descrizione dei lavori di ricostruzione, indicando che era una porta delle mura della città. Probabilmente si trovava vicino all’estremità SE dell’area del Tempio e del palazzo reale. (Nee. 3:28) Secondo Geremia vicino a questa porta le mura dovevano formare un angolo, probabilmente girando alla sinistra di chi sale dalla valle del Chidron, per seguire in tal modo il profilo della valle. — Ger. 31:40.
Porta dell’Ispezione
La Porta dell’Ispezione (ebr. ham-miphqàdh) è chiamata da alcuni porta della Sorveglianza o porta della Rassegna. (Nee. 3:31, ATE; CEI, Ga) In Ezechiele 43:21 miphqàdh (lo stesso vocabolo ebraico senza l’articolo ha) è tradotto “luogo stabilito”. Si è pensato si trattasse della Porta della Guardia o della Porta di Beniamino. Fra le due possibilità, la Porta di Beniamino è la più probabile.
Porta della Guardia
Da questa porta la processione inaugurale che seguiva le mura in direzione SE lasciò le mura per dirigersi verso il Tempio. — Nee. 12:39, 40.
Porta di Mezzo
Quando i babilonesi fecero breccia nelle mura di Gerusalemme, i loro comandanti militari si sedettero nella Porta di Mezzo. (Ger. 39:3) Come si è visto, circa l’ubicazione di questa porta sono state avanzate diverse ipotesi. Forse la più verosimile è quella che la identifica con la Porta della Città Vecchia, porta che si trovava alla convergenza del Muro Largo, delle mura a N della città vecchia e delle mura a O del secondo quartiere, in posizione centrale e dominante.
Porta di Beniamino
Alcuni identificano la Porta di Beniamino con la Porta delle Pecore. Questa ubicazione corrisponderebbe alle circostanze della tentata sortita di Geremia verso il territorio di Beniamino, evidentemente per recarsi ad Anatot, a NE di Gerusalemme. (Ger. 37:11-13) Sedechia sedeva nella Porta di Beniamino quando fu avvicinato da Ebed-Melec con una supplica a favore di Geremia. (Ger. 38:7, 8) È stata avanzata l’ipotesi che il re si trovasse nel punto più critico durante l’assedio dei babilonesi. La Porta delle Pecore, nella parte N della città, sarebbe stata la più gravemente minacciata dai babilonesi attaccanti.
Altre porte
Quando il re Sedechia fuggì per sottrarsi ai babilonesi, uscì “per la via della porta fra le doppie mura che è presso il giardino del re”. (Ger. 52:7, 8; 39:4) C’è molta incertezza sull’identità di queste “doppie mura”. Ma, a quanto si sa attualmente, sia la Porta dei Mucchi di Cenere che la Porta della Fonte potrebbero corrispondere alle circostanze descritte nelle Scritture, essendo entrambe vicine al giardino del re.
In II Re 23:8 si parla di “alti luoghi delle porte che erano all’ingresso della porta di Giosuè, capo della città, ch’era a sinistra di chi entrava nella porta della città”. Qui la “porta di Giosuè” non è il nome di una porta della città, ma è piuttosto una porta all’interno delle mura della città che portava alla residenza del governatore, a sinistra di chi entrava per la porta della città.
PORTE DEL TEMPIO
Porta Orientale. Nel descrivere i lavori di ricostruzione Neemia dice che il custode della Porta Orientale vi prese parte. (Nee. 3:29) Quindi la Porta Orientale non è menzionata fra le porte delle mura di Gerusalemme, come qualcuno ha pensato. La Porta Orientale poteva trovarsi più o meno alla stessa altezza della Porta dell’Ispezione nelle mura della città. Questa è evidentemente la porta chiamata in I Cronache 9:18 “porta del re ad est”, essendo la porta dalla quale il re entrava o usciva dal Tempio.
Porta del Fondamento. Porta del Tempio, di ubicazione incerta. — II Re 11:6; II Cron. 23:5.
“Porta superiore della casa di Geova”. Questa poteva essere una porta che immetteva nel cortile interno, forse la “nuova porta di Geova”, dove fu processato Geremia; là inoltre Baruc segretario di Geremia lesse il rotolo davanti al popolo. (Ger. 26:10; 36:10) Può darsi che Geremia l’abbia chiamata “nuova porta” perché non era antica come le altre; forse si trattava della “porta superiore della casa di Geova” costruita dal re Iotam. — II Re 15:32, 35; II Cron. 27:3.
“Porta superiore di Beniamino, che era nella casa di Geova”. Probabilmente una porta che immetteva nel cortile interno, sul lato N del Tempio. — Ger. 20:2; confronta Ezechiele 8:3; 9:2.
Porta Bella. Porta del tempio ricostruito da Erode il Grande; luogo dove Pietro guarì un uomo zoppo dalla nascita. (Atti 3:1-10) Una tradizione identifica questa porta con la Porta d’Oro tuttora esistente nelle mura della città, ma può darsi che la Porta Bella fosse una porta interna dell’area del Tempio, forse corrispondente all’antica “Porta Orientale”. Alcuni dicono che poteva essere una delle porte a E dell’edificio stesso del Tempio, che si apriva sul cortile delle donne, porta che secondo Giuseppe Flavio era alta circa 22 m e aveva battenti di ottone di Corinto.
Altre porte menzionate sono la “porta dietro i corrieri” e la “porta dei corrieri”. Queste sono porte del Tempio, di ubicazione incerta. — II Re 11:6, 19.
USI FIGURATIVI
Nel Salmo 118:19, 20 si parla di “porte della giustizia” e della “porta di Geova” in cui entrano i giusti. (Confronta Matteo 7:13, 14). Quando uno moriva si diceva passasse per le “porte della morte”. (Sal. 9:13; 107:18) Andava nella comune tomba di tutto il genere umano e quindi passava per le porte dello Sceol o Ades. (Isa. 38:10; Matt. 16:18) Poiché Gesù Cristo ha le chiavi della morte e dell’Ades (Riv. 1:18), i componenti della sua congregazione avevano la certezza che questi nemici non li avrebbero tenuti schiavi per sempre. L’apostolo Paolo spiegò che tutti costoro muoiono, vanno nella morte e nell’Ades, come vi andò anche Cristo che Dio liberò dalle doglie della morte e non lasciò nell’Ades. (Atti 2:24, 31) E poiché ai cristiani fedeli è assicurata la risurrezione, la morte e l’Ades non riportano la vittoria finale sulla congregazione di Cristo. — I Cor. 15:29, 36-38, 54-57.
La città santa, la “Nuova Gerusalemme”, è raffigurata con dodici porte di perla, e con un angelo evidentemente di guardia a ciascuna porta. Queste porte sono sempre aperte, dato che non esiste la notte per cui si debba chiuderle. La gloria e l’onore delle nazioni entrano per le porte della città. Benché siano aperte, non vi possono entrare coloro che praticano cose malvage, impure o disgustanti. Solo coloro che vincono conservandosi puri, i quali diventano re e sacerdoti con Cristo, possono entrare passando davanti ai servitori angelici. (Riv. 21:2, 12, 21-27; 22:14, 15; 2:7; 20:4, 6) I popoli delle nazioni che camminano alla luce della città sono benedetti.
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Portafuoco
Nel servizio svolto presso il santuario i portafuoco avevano vari usi. C’erano portafuoco d’oro nei quali evidentemente si mettevano i pezzi di stoppini bruciati tolti dalle lampade del candelabro d’oro. (Eso. 25:38; 37:23; Num. 4:9) I portafuoco di rame dell’altare dell’olocausto servivano piuttosto come portacenere o come utensili per togliere i carboni dal fuoco. (Eso. 27:3; 38:3) Portafuoco venivano usati anche per bruciare incenso. (Lev. 10:1) Ogni mattina e fra le due sere il sommo sacerdote faceva fumare incenso profumato sull’altare d’oro dell’incenso. (Eso. 30:7, 8) Inoltre, ogni anno, il giorno di espiazione, il sommo sacerdote portava nel Santissimo il portafuoco, senza dubbio l’“incensiere d’oro” menzionato da Paolo. — Lev. 16:12, 13; Ebr. 9:3, 4.
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Portento
Il termine italiano “portento” (dal lat. portentum, presagio, pronostico, prodigio) è a volte un’appropriata traduzione dell’ebraico mohphèth e del greco tèras.
Mohphèth di solito fa pensare a un “miracolo”, come quelli compiuti in Egitto per mezzo di Mosè e Aaronne. Ma in certi casi il termine è usato decisamente nel senso di “portento”, per esempio parlando di un profeta o sognatore che compie un segno o portento (da adempiersi nel futuro) a sostegno della sua profezia. — Deut. 13:1-3.
Il portento (mohphèth) poteva essere un atto miracoloso che manifestasse potere divino, come quando Dio spaccò in due l’altare di Geroboamo, atto che presagiva l’ancora futura e più grande esecuzione del suo giudizio avverso su quell’altare e su coloro che vi prestavano servizio. (I Re 13:1-5; per l’adempimento avvenuto circa trecento anni dopo, vedi II Re 23:16-20). Oppure poteva essere semplicemente un’azione insolita compiuta da qualcuno, come quando Isaia andava in giro nudo e scalzo per preannunciare le circostanze che si sarebbero verificate in Egitto e in Etiopia per mano del re d’Assiria. — Isa. 20:3-6.
Dato che un portento è un segno che addita cose o circostanze future, uno scrittore può usare il termine mohphèth (“portento” o “miracolo”) mentre un altro usa ’ohth (“segno”) per descrivere la stessa cosa. (Confronta II Cronache 32:24 con II Re 20:8, 9). Un “segno” può servire come guida o norma per il presente, e anche per il futuro, mentre un “portento” si riferisce soprattutto al futuro. Definendo qualche cosa un “segno” si dà risalto al suo significato sia presente che futuro. Chiamandola un “portento” se ne sottolinea il significato in relazione al futuro.
Infatti, nel citare Gioele 2:30, che prediceva “portenti [pl. di mohphèth] nei cieli e sulla terra”, l’apostolo Pietro parlò di “portenti [pl. di tèras] in cielo di sopra e segni [pl. di semèion] sulla terra” (Atti 2:14, 19), com’è reso il versetto di Gioele nella Settanta greca. Nelle Scritture Greche Cristiane tèras ricorre sempre insieme a semèion (“segno”), termini usati entrambi al plurale. — Atti 7:36; 14:3; 15:12; II Cor. 12:12.
Fondamentalmente tèras si riferisce a qualsiasi azione o cosa che suscita meraviglia, per cui in certi casi è appropriatamente tradotto “prodigi”. (Matt. 24:24; Giov. 4:48, NW) Dove riguarda più chiaramente il futuro, “portento” è la traduzione più appropriata. “Potenti opere e portenti e segni che Dio fece in mezzo a voi mediante lui” servirono a dimostrazione del fatto che Gesù era stato “mandato” da Dio. (Atti 2:22) Le risurrezioni e guarigioni miracolose che compì non solo suscitavano meraviglia, ma preannunciavano anche quello che avrebbe fatto più in grande nel futuro. (Giov. 6:54; confronta Giovanni 1:50, 51; 5:20, 28). Alcune azioni preannunciavano la sua futura attività quale Sommo Sacerdote di Dio nel perdonare i peccati e nel giudicare. (Matt. 9:2-8; Giov. 5:1-24) Altre servirono come prova che in futuro avrebbe avuto l’autorità e il potere di agire contro Satana e i suoi demoni, inabissandoli. (Matt. 12:22-29; Luca 8:27-33; confronta Rivelazione 20:1-3).
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