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  • Aramaico
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • ebraico Galeed, espressioni che significano entrambe “mucchio della testimonianza”.

      Si ritiene che certe iscrizioni scoperte nella Siria settentrionale, attribuite al periodo che va dal X all’VIII secolo a.E.V., siano in aramaico antico. Ma gradatamente un nuovo dialetto aramaico divenne la lingua franca o la lingua internazionale durante l’impero assiro, sostituendosi all’accadico come lingua impiegata nella corrispondenza ufficiale del governo con zone remote dell’impero. Per l’uso che se ne faceva, questa forma dell’aramaico è chiamata “aramaico ufficiale”. Continuò a essere in uso al tempo della potenza mondiale babilonese (625–539 a.E.V.) e anche dopo, al tempo dell’impero persiano (538–331 a.E.V.). Specialmente allora godette grande popolarità, essendo la lingua ufficiale del governo e degli affari in una vasta zona, come attestano le scoperte archeologiche; infatti compare in documenti su tavolette cuneiformi, su ostraca, papiri, sigilli, monete, in iscrizioni su pietra, ecc. Tali reperti archeologici provengono da paesi come Mesopotamia, Persia, Egitto, Anatolia, Arabia settentrionale e regioni che si spingono a N fino agli Urali e a E fino all’Afghanistan e al Kurdistan. L’aramaico ufficiale era ancora in uso durante il periodo ellenistico (330–30 a.E.V.).

      Sembra che tale aramaico ufficiale sia quello degli scritti di Esdra, Geremia e Daniele. Le Scritture dimostrano inoltre che l’aramaico era una lingua franca dell’epoca. Infatti nell’VIII secolo a.E.V. un portavoce di Ezechia re di Giuda si rivolse a Rabsache, rappresentante di Sennacherib re d’Assiria, dicendo: “Parla ai tuoi servitori in lingua sira [aramea, e perciò in aramaico], ti preghiamo, poiché noi ascoltiamo; e non ci parlare nella lingua dei Giudei agli orecchi del popolo che è sulle mura”. (Isa. 36:11; II Re 18:26) I funzionari di Giuda capivano l’aramaico, o siro, ma evidentemente, fra gli ebrei allora residenti in Gerusalemme, il popolo comune non lo capiva.

      Alcuni anni dopo il ritorno dall’esilio in Babilonia, il sacerdote Esdra lesse il libro della legge agli ebrei radunati a Gerusalemme, e diversi leviti lo spiegarono al popolo, come dice Neemia 8:8: “Continuarono a leggere ad alta voce dal libro, dalla legge del vero Dio, esponendola, e dandole significato; e continuarono a dare intendimento nella lettura”. Questa esposizione o interpretazione poté richiedere di parafrasare il testo ebraico in aramaico, che probabilmente era la lingua adottata dagli ebrei a Babilonia. Tuttavia l’esposizione poteva richiedere una spiegazione affinché gli ebrei, pur capendo l’ebraico, comprendessero il profondo significato di ciò che veniva letto.

  • Aram-Maaca
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    • Aram-Maaca

      Vedi ARAM.

  • Aram-Naaraim
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    • Aram-Naaraim

      Vedi ARAM.

  • Aram-Zoba
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    • Aram-Zoba

      Vedi ARAM.

  • Ararat
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    • Ararat

      (Araràt) [luogo santo, regione montuosa].

      Nome di una regione e anche di una catena montuosa dell’odierna Turchia orientale, presso il confine con l’Iran e l’U.R.S.S.

      Dopo il diluvio, l’arca di Noè si fermò sui “monti di Ararat”. (Gen. 8:4) Durante il regno del re Ezechia, i figli di Sennacherib, Adrammelec e Sarezer, fuggirono nel “paese di Ararat” dopo aver assassinato il padre. (II Re 19:37; Isa. 37:38) Geremia predisse che Ararat sarebbe stato uno dei “regni” che sarebbero saliti contro Babilonia al tempo della sua distruzione nel VI secolo a.E.V. (Ger. 51:27) Questi ultimi riferimenti scritturali indicano un paese a N dell’Assiria. Eusebio e Girolamo e la maggioranza dei primi scrittori cristiani identificavano la regione di Ararat con l’Armenia, come fanno anche la Settanta e la Vulgata. Numerose iscrizioni assire risalenti ai regni di Assurnasirpal II, Salmaneser, Tiglat-Pileser III e Sargon nel IX e VIII secolo a.E.V. menzionano Ararat come “Urartu”. Un’iscrizione di Esar-Addon, altro figlio di Sennacherib e suo successore al trono assiro, dice che egli sconfisse le armate dei fratelli parricidi presso Hanigalbat, in Armenia. Sulla base di queste iscrizioni e del fatto che Geremia collega Ararat coi regni di Minni e Aschenaz, sembra che il paese di Ararat si trovasse nella regione montuosa del lago di Van nell’antica Armenia, con le sorgenti del Tigri a S e il Caucaso a N.

      Il nome Ararat designa in particolare il monte più alto della regione, sul quale per tradizione giace l’arca di Noè. Ci sono due cime distanti circa 11 km e separate da un profondo canalone. La cima più alta raggiunge i 5165 m sul livello del mare ed è coperta di neve perenne per gli ultimi 900 m fino alla vetta. La cima minore, a SE, è alta 3913 m sul livello del mare. L’ascensione della vetta più alta è particolarmente difficile, e il primo a compierla fu Parrot nel 1829. Molti nomi geografici della zona ricordano il racconto biblico. Il monte Ararat stesso è chiamato Aghri Dagh (Monte dell’Arca) dai turchi e Kuhi-Nuh (Monte di Noè) dai persiani. — Vedi ARCA.

  • Arare
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    • Arare

      A causa del terreno indurito dal cocente sole estivo, era consuetudine aspettare ad arare finché le piogge autunnali o invernali non l’avevano ammorbidito; solo allora si arava e si seminava. Giornate più fredde, tempo incerto o nubi minacciose non trattenevano l’uomo deciso dal lavorare nella stagione dell’aratura, ma costituivano per l’agricoltore pigro una buona scusa per non lavorare. I vicini non avrebbero avuto ragione di compatirlo se non aveva nulla da raccogliere essendo stato pigro quando era tempo di arare. (Prov. 20:4; Eccl. 11:4) Anche durante l’aratura gli agricoltori israeliti dovevano però osservare il sabato. — Eso. 34:21.

      Non si dovevano aggiogare allo stesso aratro un toro e un asino, senza dubbio per la loro forza e andatura diversa. (Deut. 22:10) Spesso un paio di buoi tiravano l’aratro. (Luca 14:19; Giob. 1:14) Diversi uomini, ciascuno con una coppia o un giogo di buoi, potevano lavorare insieme e fare solchi paralleli stando uno un po’ dietro all’altro. Una volta, come si legge in I Re 19:19, Eliseo era il dodicesimo e ultimo così che poté fermarsi senza intralciare altri dopo di lui. Egli se ne andò dal campo e usò il suo aratro di legno come legna da ardere per offrire i tori in sacrificio. (I Re 19:21) Nel suo libro The Land and the Book, p. 144, W. M. Thomson riferisce che un uomo solo poteva facilmente seminare il terreno arato da diversi uomini.

      USO ILLUSTRATIVO

      Il comune lavoro di arare compare spesso in illustrazioni. Quando i filistei convinsero la moglie di Sansone a farsi rivelare da lui la soluzione dell’enigma, Sansone disse che avevano ‘arato con la sua giovenca’, cioè si erano serviti di chi avrebbe dovuto servire lui. (Giud. 14:15-18) Come un dirupo roccioso non è luogo da arare così, spiega Amos, era altrettanto irrazionale per i capi d’Israele corrompere la giustizia e praticare la malvagità pretendendo di trarne beneficio. (Amos 6:12, 13) In Osea 10:11 si ricorre evidentemente all’aratura (lavoro molto più duro per una giovenca che non la trebbiatura) per rappresentare il lavoro faticoso o servile che stranieri avrebbero probabilmente imposto alle apostate Giuda e Israele. Quello di cui Giuda e Israele avevano bisogno, secondo Geremia 4:3, 4 e Osea 10:12, 13, era di cambiar vita, preparando, intenerendo e ripulendo il proprio cuore (confronta Luca 8:5-15) come quando si ara e si tolgono le spine, affinché, invece di faticare e lavorare invano per cose sbagliate che portano solo a cattivi risultati, potessero raccogliere benedizioni divine.

      I metodi ordinati, sensati e giudiziosi seguiti dall’agricoltore nell’arare, erpicare, seminare e trebbiare sono descritti in Isaia 28:23-29 per illustrare le vie di Geova, che è “meraviglioso per consiglio, che ha fatto cose grandi in opere efficaci”. Come il lavoro di arare ed erpicare ha dei limiti, serve solo in preparazione della semina, così anche Geova non disciplina o punisce per sempre il suo popolo, ma lo disciplina principalmente per renderlo più docile e disposto ad ascoltare i suoi consigli e la sua guida, che producono benedizione. (Confronta Ebrei 12:4-11). E come la durezza del suolo determina la forza o la profondità dell’aratura, così il tipo di grano determina l’efficacia e il peso degli attrezzi usati per trebbiare ed eliminare la pula; tutto questo illustra la sapienza di Dio nel purificare il suo popolo e nell’eliminare ciò che è indesiderabile, in modi diversi secondo le necessità e le circostanze. — Confronta Isaia 21:10; 1:25.

      Una città “arata come un semplice campo” significava una città completamente abbattuta e desolata. (Ger. 26:18; Mic. 3:12) Le parole di Israele a proposito di quelli che avevano ‘arato il suo medesimo dorso, allungando i solchi’, descrivono evidentemente le sofferenze della nazione per colpa dei suoi molti nemici che senza posa e crudelmente la devastarono e maltrattarono, poiché Israele aveva reso il suo dorso “proprio come la terra . . . per i passanti”. (Sal. 129:1-3; Isa. 51:23; confronta Salmo 66:12). Nella profezia di restaurazione di Amos 9:13-15, è spiegato che la benedizione di Geova sul suo popolo lo rende come un campo fertile che produce con tanta abbondanza che si continua a raccogliere quando è già tempo di arare per la stagione successiva. — Confronta Levitico 26:5.

      Gesù aveva detto che i suoi discepoli avrebbero dovuto mangiare, bere e alloggiare presso coloro che servivano, poiché “l’operaio è degno del suo salario”, e l’apostolo Paolo sostenne il diritto che avevano coloro che faticavano nel ministero cristiano di ricevere aiuto materiale da altri, proprio come l’uomo che ara lo fa con la legittima speranza di avere una parte del raccolto a cui ha contribuito la sua fatica. Eppure Paolo personalmente e volontariamente preferiva non valersi del diritto di non svolgere un lavoro secolare, per offrire “la buona notizia senza costo” a coloro che serviva. — Luca 10:7; I Cor. 9:3-10, 15, 17, 18.

  • Aratro
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    • Aratro

      Vedi ATTREZZI AGRICOLI.

  • Arauna
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    • Arauna

      (Aràuna o Araunà) [significato incerto].

      Gebuseo proprietario dell’aia acquistata dal re Davide per costruirvi un altare a Geova. Mediante quest’azione voluta da Dio si pose fine al flagello provocato dal censimento della popolazione ordinato da Davide. — II Sam. 24:16-25; I Cron. 21:15-28.

      Arauna evidentemente voleva offrire il terreno, insieme al bestiame e agli attrezzi di legno per il sacrificio, gratuitamente, ma Davide insisté di pagarne il prezzo. In II Samuele 24:24 è spiegato che Davide acquistò l’aia e il bestiame per cinquanta sicli d’argento, mentre in I Cronache 21:25 viene detto che Davide pagò 600 sicli d’oro per il terreno. Lo scrittore di II Samuele considera solo l’acquisto del posto per l’altare e del materiale per il sacrificio fatto allora, e quindi il prezzo menzionato evidentemente si limitava a tali cose. Invece lo scrittore di I Cronache considera la cosa in relazione al tempio costruito più tardi sul posto e ne menziona l’acquisto in rapporto a tale costruzione. (I Cron. 22:1-6; II Cron. 3:1) Poiché l’intera area del tempio era molto grande, sembra che la somma di 600 sicli d’oro si riferisca all’acquisto di tale vasta area e non solo al pezzetto necessario per l’altare costruito prima da Davide.

      In Cronache Arauna è chiamato Ornan. — I Cron. 21:18-28; II Cron. 3:1.

  • Arca
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    • Arca

      [cassa, scatola, contenitore].

      L’arca di Noè fu il provvedimento mediante il quale i progenitori di tutto il genere umano sopravvissero nel 2370–2369 a.E.V. al diluvio universale. Noè ricevette da Geova istruzioni particolareggiate riguardo a misure, forma, modo di provvedere luce e ventilazione, e materiali da usare per la costruzione. — Gen. 6:14-16.

      FORMA E GRANDEZZA

      L’arca era un contenitore rettangolare simile a una cassa, dal fondo piatto. Non aveva bisogno di un fondo arrotondato né di una prua appuntita per solcare rapidamente le acque, e neanche di timone; doveva solo essere impermeabile e stare a galla. Un natante con una forma del genere è molto stabile, non si capovolge facilmente, e ha un piano di carico superiore di un terzo a quello delle navi convenzionali. Anche il tetto probabilmente era piatto o se mai aveva una leggera pendenza.

      L’arca era lunga 300 cubiti, larga 50 cubiti e alta 30 cubiti. Secondo un calcolo prudente di un cubito di 44,5 cm circa (alcuni ritengono che il cubito antico misurasse da 55 a 60 cm), l’arca misurava m 133 per 22 per 13. Fra l’altro, a questa proporzione fra lunghezza e larghezza (6 a 1) si attengono anche gli architetti navali moderni. Nessuna nave da carico dell’antichità assomigliava neanche lontanamente all’arca con le sue misure colossali. Rinforzata internamente dall’aggiunta di due piani, i tre ponti provvedevano in totale un’area di quasi 9.000 m2.

      A Noè fu detto: “Farai un tsohar (tetto; o, finestra) per l’arca”. Questo tsòhar doveva essere completato “un cubito più su”. (Gen. 6:16) Si ritiene che il tsòhar provvedesse adeguata luce e ventilazione; non si trattava dunque di un finestrino di un solo cubito quadrato, ma di un’apertura di un cubito che si estendeva sotto il tetto lungo i quattro lati dell’arca per 130 m2 circa. Senza dubbio il cornicione sporgente del tetto impediva che la pioggia entrasse nell’arca. Inoltre da un lato dell’arca c’era una porta per le operazioni di carico e scarico.

      Con quali materiali si doveva costruire questa immensa arca fu spiegato dal Grande Architetto: “Fatti un’arca di legno d’albero resinoso [letteralmente: “d’albero di gòpher”]”. (Gen. 6:14) Alcuni hanno pensato che questo legno resinoso fosse di cipresso o di un albero simile. Nella zona abbondava quello che oggi è chiamato cipresso; era preferito particolarmente per la costruzione di navi dai fenici e da Alessandro Magno, e lo è ancora attualmente, perché resiste molto bene all’acqua e non marcisce. Porte e pali di cipresso si dice abbiano resistito 1.100 anni. Inoltre

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