I polpastrelli delle nostre dita
Quale meravigliosa funzione svolgono i polpastrelli delle nostre dita? In un suo articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 26 luglio 1983, Fausto Baldissera dell’Università di Milano scrive:
“La stagione dei mirtilli e dei lamponi è già iniziata e per chi ama raccogliere i frutti di bosco la prossima uscita potrà essere l’occasione per apprezzare, magari con più attenzione di quanto non abbia fatto finora, la perfezione e la finezza del proprio controllo motorio. Osservi ciò di cui è capace la mano quando, uno per uno, stacca i delicati frutti dalla pianta: la forza con cui stringe un lampone maturo tra le punte del pollice e dell’indice non supera i pochi grammi, perché altrimenti il frutto si spappolerebbe ma non scende al di sotto del minimo necessario, perché altrimenti il lampone finirebbe per terra.
“Controllare in modo così fine e preciso l’energia muscolare di un sistema meccanico che in altra occasione — per esempio quando la pinza pollice-indice è usata per serrare un rubinetto — può sviluppare forze che superano qualche chilogrammo, non è un’operazione banale. Se si richiedesse a un robot il controllo fine della forza su un ambito così largo (dai grammi ai chili), si porrebbero problemi di ingegneria non indifferenti; mentre riesce a tutti così naturale e spontaneo ottenerlo dalla propria mano. . . .
“Per sapere con che forza stringere un frutto tra le dita bisogna infatti saggiarne la consistenza e, più in generale, in tutte le occasioni, e sono molte, in cui l’obiettivo finale non è noto a priori ma si precisa soltanto durante l’esecuzione del movimento è necessario verificare il procedere dell’azione a mano a mano che essa si sviluppa ossia ‘on line’, come si dice nel gergo dei computer. In questa prospettiva hanno grande importanza, oltre alla vista, anche le informazioni sensoriali che provengono dai segmenti corporei impegnati nell’atto. . . .
“Ciò che accade alla superficie di contatto tra l’oggetto e i polpastrelli è dunque cruciale per regolare la prensione digitale: tant’è vero che se quella zona di cute viene anestetizzata, l’incantesimo cessa e succedono i pasticci; la forza della presa si allontana dai valori ideali: se è troppo bassa, il lampone cade, se è troppo intensa se ne fa una spremuta. . . .
“I recettori che segnalano e misurano le perturbazioni meccaniche imposte alla cute della mano sono circa 17.000, concentrati soprattutto nei polpastrelli. Sono situati in maggior numero nel derma superficiale, appena sotto all’epidermide e in numero minore nel sottocute. Sono estremamente sensibili, tanto che per attivare i più reattivi è sufficiente ‘affossare’ la pelle di 5-10 millesimi di millimetro. . . . Ogni recettore superficiale reagisce soltanto al contatto di una minuscola area di cute (2-5 mm2) mentre i recettori profondi rispondono anche agli stiramenti trasversali della pelle che possono essere indotti da stimoli lontani. Nel loro insieme queste proprietà recettoriali giustificano dunque pienamente come i minimi stiramenti ed attriti, che si producono quando un oggetto preso tra le dita cominci a scivolare o a deformarsi, possano venir avvertiti e utilizzati per i necessari e automatici aggiustamenti della forza di prensione”.
Meditando sulle meravigliose proprietà e funzioni della mano si può concludere, come il salmista, che il merito va a Dio per averci fatti “in maniera tremendamente meravigliosa”. — Salmo 139:14.