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  • Come si fa a stabilirlo?
    Svegliatevi! 1983 | 22 ottobre
    • Come si fa a stabilirlo?

      “Se le cose vanno avanti di questo passo, nel Duemila il mondo sarà . . .”

      LE PREVISIONI di questo genere sono diventate un luogo comune. Libri, riviste, articoli di giornale e trasmissioni radiofoniche e televisive sul soggetto saturano il mercato. I “futurologi” di mestiere, non diversi dagli antichi veggenti di corte, sono pagati per predire il futuro. E la strabiliante quantità di fatti e cifre spesso contrastanti che essi mettono in circolazione lascia la maggioranza delle persone incerta su cosa credere.

      La stragrande maggioranza di queste previsioni dipingono un futuro tetro e pauroso. Parlano di esplosione demografica, carestia, inquinamento, crisi energetica, guerra nucleare, eccetera. Per esempio, il Global 2000 Report, una relazione di 800 pagine pubblicata dal governo americano, avverte che il tempo sta rapidamente per scadere, e “se le nazioni non fanno passi audaci e creativi, collettivamente e individualmente . . . il mondo deve aspettarsi un ingresso turbolento nel XXI secolo”.

      Il Programma per l’Ambiente attuato dall’ONU presenta un quadro simile in un rapporto di 637 pagine. Secondo il Globe and Mail di Toronto, questa relazione parla di “un mondo malato e sovraffollato i cui abitanti nevrotici continuano a contaminare l’aria e a sporcare l’acqua mentre escogitano mezzi più efficienti per uccidersi”.

      Ma ci sono esperti altrettanto qualificati che considerano questi rapporti nient’altro che previsioni pessimistiche. Li considerano serie esagerazioni da parte di organismi internazionali fatte allo scopo di ottenere maggiori finanziamenti. La tecnologia, dicono, troverà i modi e i mezzi per far fronte alle crisi e le cose andranno a posto da sé.

      È interessante notare, però, che molto spesso esperti di ambo le parti sfruttano gli stessi dati per giungere a conclusioni completamente opposte. Per esempio, nel libro The Ultimate Resource (L’ultima risorsa), l’economista Julian Simon sostiene che anche se “le crisi dovute a penurie ci saranno sempre a causa delle condizioni atmosferiche, della guerra, della politica e dei movimenti di popolazione”, queste crisi sono soltanto di breve durata. “L’accresciuto bisogno di risorse”, egli afferma, “ci fa di solito sviluppare, su base permanente, una maggiore capacità di procurarcele, perché nel procurarcele impariamo qualcosa di più”. E con l’aumento della popolazione, aggiunge, “ci saranno più persone per risolvere questi problemi e a lungo andare avremo il vantaggio di costi più bassi e minori penurie”.

      L’ecologo Garrett Hardin è di parere completamente opposto. Egli afferma che la nostra è una “civiltà buona solo in superficie: sotto c’è solo porcheria”. All’argomento secondo cui più persone significano più individui che risolvono i problemi egli dà una risposta classica: “Ora l’Inghilterra ha una popolazione undici volte più grande che ai giorni di Shakespeare, ma ha forse undici Shakespeare? Ne ha almeno uno?”

      Mentre consideriamo gli argomenti a favore o contro, notiamo un comune denominatore: l’ammissione che oggi all’umanità si presentano veramente minacce e problemi di una gravità senza precedenti, e che bisogna con urgenza fare qualcosa. Mentre gli esperti discutono il da farsi, milioni di persone soffrono e muoiono per denutrizione e malattia, altri animali e piante si estinguono, l’aria e l’acqua vengono inquinate e gli arsenali nucleari delle nazioni si ingrandiscono.

      È di poco conforto sapere che oggi la percentuale di coloro che muoiono per una ragione o l’altra è più bassa, se si pensa che quella percentuale rappresenta milioni di vite. Ed è anche di poco conforto sapere che in alcune zone il tenore di vita è più alto se si pensa che la maggioranza dell’umanità vive ancora nell’estrema povertà e nelle privazioni, senza alcuna vera speranza di miglioramento.

      Anche in quelle poche zone dove c’è relativa abbondanza è difficile dire se la qualità della vita stia migliorando in qualche modo. Forse lì la gente non lotta per procurarsi da mangiare e il carburante, ma vive nel perenne timore dell’annientamento in una guerra nucleare. La loro vita e i loro beni sono minacciati ogni giorno da criminalità, violenza e vandalismo. La loro ricchezza è divorata dall’inflazione. Le famiglie sono rovinate da divorzio e delinquenza minorile. E la lista potrebbe continuare a lungo.

      Se vogliamo conoscere il futuro è essenziale che capiamo la differenza fra ciò che sta accadendo veramente e ciò che alcuni pensano o promettono che accadrà. Dobbiamo basarci solo sui fatti, non sulle congetture di qualcuno. Il fisico Niels Bohr, premio Nobel, ha detto: “È molto difficile fare previsioni, specie riguardo al futuro”. La frase: “Se l’attuale tendenza continua”, o: “Se non si fa qualcosa”, che appare così spesso nelle previsioni dei futurologi, ci fa capire che un futuro migliore dipende non solo dal trovare i modi e i mezzi per risolvere i problemi odierni ma anche dall’essere disposti ad agire in conformità ad essi.

      Le molte previsioni funeste hanno forse spinto popoli e nazioni ad agire? Ve li spingeranno?

  • Cosa insegna il passato riguardo al futuro
    Svegliatevi! 1983 | 22 ottobre
    • Cosa insegna il passato riguardo al futuro

      IL FUTURO è da lungo tempo un tema molto discusso. Entrate in qualsiasi biblioteca e probabilmente troverete una scansia piena di libri sull’argomento. Uno sguardo più attento rivelerà che molti di questi libri sono stati scritti venti o anche trent’anni fa. Per esempio, il romanzo satirico di George Orwell intitolato 1984, pubblicato nel 1949, descriveva una società disumanata sotto il dominio totalitario. E il libro di Rachel Carson del 1962, Silent Spring (Primavera silenziosa), richiamò l’attenzione del mondo sui pericoli dell’inquinamento ambientale dovuto all’indiscriminato uso di prodotti chimici. Da allora, la lista dei best-seller è stata piena di libri su questo argomento.

      Ma a cosa sono serviti tutti gli avvertimenti e le previsioni? Hanno forse spronato il pubblico e le autorità a intervenire per risolvere i problemi e porre una salvaguardia al futuro? Paul Ehrlich, autore del best-seller The Population Bomb (La bomba demografica), che sin dagli anni sessanta scrive e fa trasmissioni radiotelevisive sui problemi ecologici, ha detto quanto segue: “Sotto alcuni aspetti, abbiamo fatto molta strada. Abbiamo il National Environmental Policy Act [una legge americana sulla tutela dell’ambiente], abbiamo dichiarazioni sull’ambiente, eccetera. Ma i passi avanti che facciamo non bastano se si pensa al ritmo con cui distruggiamo . . . È tutto fiato sprecato, suppongo”. Riassumendo le sue speranze riguardo al futuro ha detto: “Se essere ottimisti al massimo è uguale a 10, e pessimisti al massimo è uguale a 1, direi che siamo a circa uno virgola due”. Quindi tutti i libri, i rapporti, gli studi e le conferenze degli scorsi decenni hanno fatto poco per cambiare il modo di pensare e d’agire della maggioranza in relazione al futuro.

      Perché gli avvertimenti rimangono inascoltati

      Perché le condizioni del mondo continuano a peggiorare nonostante tutto quello che ci dicono gli esperti? Potrebbe darsi che oggi la maggioranza delle persone non si preoccupi del futuro? Per quanto possa sembrare strano, è proprio quello che hanno riscontrato i ricercatori: la maggioranza si preoccupa in effetti del presente anziché del futuro.

      Per esempio, un articolo pubblicato da Psychology Today e intitolato: “Il futuro baderà a sé”, contiene i risultati di un sondaggio nazionale e riferisce: “In misura forse pericolosa, i pensieri [degli intervistati] erano dominati dal presente. I problemi economici eclissavano tutte le altre preoccupazioni, perfino quelle dovute a crimine, religione e pace nel mondo”. Nel corso del sondaggio, ad esempio, è stato chiesto agli intervistati cosa desideravano di più dalla vita, e nella proporzione di cinque a uno hanno menzionato più spesso un miglior tenore di vita per sé che un futuro migliore per i loro figli.

      Da non trascurare è l’effetto della estesa abitudine da parte di governi, imprese, industrie, ecc., di manipolare o anche travisare le informazioni. Non è raro, ad esempio, che gli effetti nocivi di un prodotto come l’amianto, o di un progetto come quello delle centrali nucleari, vengano taciuti. Oppure possono essere impiegate abili campagne pubblicitarie, o anche sistemi allarmistici, per ingannare il pubblico e indurlo a credere a delle falsità o a non tener conto di avvertimenti giustificati. Anche se alla fine la verità viene fuori, come risultato il pubblico diventa scettico e cinico nei riguardi degli esperti, e ancora meno disposto a fare cambiamenti o sacrifici in vista del futuro.

      In linea di massima, perciò, gli interessi e le preoccupazioni dei cittadini sembrano rivolti al presente, e a se stessi. Ovviamente pensano al futuro, ma la maggioranza ritiene di poter fare ben poco al riguardo. Quello che gli importa è la vita quotidiana e come vivere meglio ora. In futuro si vedrà, pensano.

      I risultati dell’inazione

      Questo modo di pensare ha contribuito in larga misura a determinare il corso degli avvenimenti che ha portato alle critiche condizioni mondiali d’oggi. Molte cose che rappresentano una seria minaccia per un futuro migliore — guerra nucleare, inquinamento, crimine e violenza, per menzionarne solo alcune — sono i risultati di decenni di avvertimenti ignorati o di fatti tenuti nascosti. Considerate, in breve, alcuni esempi.

      La minaccia della guerra nucleare e i pericoli della corsa internazionale agli armamenti sono riconosciuti da parecchio tempo. Da molti anni si odono proteste e avvertimenti. Nel 1964, quasi vent’anni fa, due eminenti scienziati americani che erano stati consiglieri presidenziali descrissero la follia della corsa agli armamenti in questi termini: “Nella corsa agli armamenti i contendenti si trovano entrambi davanti a un dilemma: aumentare costantemente la potenza militare o ridurre costantemente la sicurezza nazionale. . . . La direzione chiaramente prevedibile della corsa agli armamenti è una spirale costante e discendente che porta all’oblio”. In altre parole, più le nazioni si armano, meno si sentiranno sicure, e il risultato finale sarà la catastrofe.

      Ma consigli di questo genere sono stati presi sul serio? In un recente discorso al Parlamento inglese, il presidente americano Ronald Reagan ha detto con enfasi: “La nostra forza militare è un requisito indispensabile per giungere alla pace”. Evidentemente questa è anche l’idea della maggioranza dei governi attuali, poiché, in nome della sicurezza nazionale, le nazioni si armano con strumenti di guerra sempre più micidiali: nucleari, chimici, biologici e d’altro genere. Seguendo l’esempio delle superpotenze, alcune nazioni in via di sviluppo non sono lungi dal venire in possesso di armi nucleari. Il risultato è che nessuna nazione si sente più sicura, e tutto questo sta portando l’uomo e la sua dimora, la terra come la conosciamo, sull’orlo della distruzione totale.

      Da anni gli ecologi condannano gli effetti distruttivi dello sviluppo tecnologico sull’aria, sull’acqua, sul suolo e sulla vita vegetale e animale. Ma l’attrattiva del guadagno e di un più alto tenore di vita si è dimostrata molto più allettante. La gente ragiona che se un’impresa crea posti di lavoro e guadagni, si può trascurare qualsiasi danno ecologico o rischio per la salute ne possa derivare. Un caso pertinente è quello di Minamata, in Giappone. Al principio degli anni cinquanta si scoprì che l’alta concentrazione di metilmercurio presente nel pesce consumato dagli abitanti dei villaggi di pescatori vicino a quella città aveva gravemente pregiudicato le loro facoltà della vista, dell’udito e della parola, e causato malformazioni nel corpo e negli arti di bambini e adulti. Il mercurio proveniva dagli scarichi industriali delle fabbriche locali. Non fu preso nessun provvedimento fino a che il ripetersi della cosa a Niigata indusse il governo giapponese a costituire un organismo per il controllo dell’inquinamento.

      Episodi del genere si sono verificati a migliaia nel mondo. E in molti casi riguardano problemi assai più gravi, come: pioggia acida, impoverimento dello strato di ozono, aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera ed eliminazione dei rifiuti tossici. Il risultato finale non è solo il danno fisico subìto dagli abitanti dei villaggi di pescatori giapponesi, ma la possibile rovina dell’intero sistema ecologico della terra. Eppure “oggi c’è nel mondo una sorta di compiacenza sullo stato dell’ambiente”, dice James A. Lee, direttore degli affari ambientali della Banca Mondiale. “Nonostante l’accresciuta presa di coscienza che c’è stata nello scorso decennio”, aggiunge, “i problemi ecologici non sono per qualche motivo considerati abbastanza seri oppure le conseguenze appaiono troppo lontane”. I cittadini e le nazioni sono troppo ingolfati negli attuali problemi economici e politici per preoccuparsi del futuro.

      Si possono citare altri esempi, come quello dell’economia mondiale malata e della dilagante criminalità e violenza, che hanno un notevole effetto sulla qualità della vita. In parole semplici, questo è in gran parte il risultato dell’insaziabile desiderio di piaceri e ricchezze. Volendo “fare come gli pare”, abbandonano ogni norma e ogni ritegno, e finiscono per non mostrare il minimo rispetto per i beni e la vita altrui. E volendo avere tutto e subito, i cittadini — e i governi — si impegolano nei debiti fino al collo, il che porta all’inflazione galoppante, che può rendere privo di valore quello che hanno. Finché sussiste questa mentalità è improbabile che il futuro sia migliore.

      Quali lezioni possiamo imparare

      Cosa si può imparare da tutto questo? Cosa ci insegna il passato riguardo al futuro?

      Anzitutto che, malgrado il fatto che oggi siano facilmente disponibili molte più informazioni sulle tendenze e sui pericoli, è piuttosto improbabile che la gente si comporti in modo diverso da come si è comportata in passato. Molte informazioni continueranno a essere ignorate, come è avvenuto in passato. Se un futuro migliore dipendesse dalla volontà degli individui di fare sacrifici e cambiamenti nel proprio modo di vivere (che a detta di molti esperti sarebbero opportuni), avremmo pochissime ragioni d’essere ottimisti. La condizione, “se non si fa qualcosa”, presente nelle previsioni dei futurologi poggia su un terreno molto instabile.

      Più grave ancora, comunque, è il fatto che molte difficoltà d’oggi sono il diretto risultato dell’evidente miopia di governi, organismi e privati cittadini. Molti studi, conferenze e commissioni speciali spesso operano in modo contrastante nel tentativo di ottenere finanziamenti e riconoscimenti. E, nella migliore delle ipotesi, curano solo i sintomi. Non esiste sulla terra governo, organizzazione o individuo abbastanza saggio, potente e influente da tracciare la rotta e portare i cambiamenti necessari per avere un futuro migliore.

      A che punto siamo dunque? Si può sperare in un futuro migliore?

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