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VersioniAusiliario per capire la Bibbia
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greco su velino del III secolo e in una traduzione armena di un commentario del IV secolo che contiene ampie citazioni del testo.
Esistono solo manoscritti incompleti di un’antica versione siriaca dei Vangeli (traduzione diversa da quella del Diatessaron), la curetoniana e la sinaitica. Questi manoscritti sono probabilmente copie fatte nel V secolo di un testo siriaco più antico. Può darsi che la versione originale dal greco risalga al II secolo E.V. Molto probabilmente un tempo esistevano antiche versioni siriache di altri libri delle Scritture Greche Cristiane, ma i manoscritti non ci sono pervenuti. Tutti i libri delle Scritture Greche Cristiane tranne II Pietro, II e III Giovanni, Giuda e Rivelazione furono inclusi nella Pescitta, versione siriaca del V secolo. Verso il 508 E.V. Filosseno, vescovo di Ierapoli (Mabbūg), incaricò Policarpo di fare una revisione delle Scritture cristiane della Pescitta, e solo allora furono inclusi per la prima volta in una versione siriaca II Pietro, II e III Giovanni, Giuda e Rivelazione.
Le Scritture Greche Cristiane erano già state tradotte in latino verso la fine del II secolo E.V. Esistevano anche versioni egiziane della metà del III secolo.
ANTICHE VERSIONI DELL’INTERA BIBBIA
La Pescitta, versione usata dalle persone di lingua siriaca che professavano il cristianesimo, era entrata nell’uso dal V secolo E.V. in poi. Il nome “Pescitta” significa “semplice”. La parte delle Scritture Ebraiche era fondamentalmente una traduzione dall’ebraico, probabilmente del II o III secolo E.V., anche se una revisione più tarda comportò un confronto con la Settanta. Esistono tuttora numerosi manoscritti della Pescitta: il più importante è un codice del VI o VII secolo conservato a Milano nella Biblioteca Ambrosiana. Un manoscritto della Pescitta contenente il Pentateuco (escluso Levitico) porta una data corrispondente al 464 E.V. e quindi è il più antico manoscritto biblico datato in qualsiasi lingua.
Antiche versioni latine
Comparse probabilmente dalla fine del II secolo in poi. L’intera Bibbia in latino sembra fosse in uso a Cartagine (Africa settentrionale) già nel 250 E.V. Le Scritture Ebraiche furono tradotte in latino antico dalla Settanta (non ancora riveduta da Origene), mentre le Scritture Cristiane furono tradotte dal greco. Può darsi che esistessero diverse traduzioni, o per lo meno diversi traduttori lavorarono all’antica versione latina (Vetus Latina). Gli studiosi distinguono tre tipi principali dell’antico testo latino: l’africano, l’europeo e l’italiano. Non esistono manoscritti completi: solo una trentina di frammenti.
La “Vulgata” latina
La Vulgata latina è una versione dell’intera Bibbia ad opera del più importante studioso biblico del tempo, Girolamo figlio di Eusebio. Egli dapprima si accinse a fare una revisione dell’antica versione latina delle Scritture Cristiane, confrontandola col testo greco, iniziando dai Vangeli, pubblicati nel 383 E.V. Fra il 384 e il 390 fece due revisioni dei Salmi della Vetus Latina, confrontandola con la Settanta: il primo detto Salterio romano e il secondo Salterio gallico, perché adottati per la prima volta rispettivamente a Roma e in Gallia. Girolamo tradusse inoltre i Salmi direttamente dall’ebraico e quest’opera fu chiamata il Salterio ebraico. Non si sa con precisione quando portò a termine la revisione delle Scritture Cristiane della Vetus Latina. Cominciò una revisione delle Scritture Ebraiche, ma a quanto pare non la portò a termine, preferendo tradurre direttamente dall’ebraico (pur riferendosi a versioni greche). Girolamo lavorò alla sua traduzione latina dall’ebraico dal 390 al 405 E.V. circa.
Accolta con generale ostilità sul principio, la versione di Girolamo un po’ alla volta ottenne vasto consenso. In seguito, a motivo del consenso generale incontrato nell’Europa occidentale, finì per essere chiamata la Vulgata, cioè una versione comunemente accettata (dal latino vulgatus, che significa “comune, popolare”). La traduzione originale di Girolamo subì diverse revisioni, finché quella del 1592 divenne l’edizione ufficiale della Chiesa Cattolica Romana. Esistono tuttora migliaia di manoscritti della Vulgata.
Altre versioni antiche
La diffusione del cristianesimo rese necessarie altre versioni. Le prime traduzioni delle Scritture Greche Cristiane per i copti nativi dell’Egitto risalgono almeno al III secolo E.V. Diversi dialetti copti erano parlati in diverse zone dell’Egitto, e col tempo furono prodotte varie versioni copte. Le più importanti sono la versione sahidica dell’Alto Egitto (a S) e la versione bohairica del Basso Egitto (a N). Queste versioni, contenenti sia le Scritture Ebraiche che le Scritture Greche Cristiane furono probabilmente prodotte nel III e IV secolo E.V.
La versione gotica, per i goti stanziati in Mesia (Serbia e Bulgaria), risale al IV secolo E.V. Manca dei libri di Samuele e Re, soppressi si dice perché il vescovo Ulfila, a cui si deve la traduzione, riteneva che questi libri, che parlano di guerre e contengono informazioni contro l’idolatria, non dovessero essere letti dai goti.
La versione armena della Bibbia risale al IV e V secolo E.V. e probabilmente era basata su testi greci e siriaci. La versione georgiana, per i georgiani del Caucaso, fu completata verso la fine del VI secolo E.V. e, pur risentendo dell’influenza greca, ha un fondamento armeno e siriaco. La versione etiopica, usata dagli abissini, risale forse al IV o V secolo E.V. Esistono varie antiche versioni arabe delle Scritture. Traduzioni di parti della Bibbia in arabo risalgono almeno al VII secolo E.V., ma la versione datata più antica è quella fatta in Spagna nel 724 E.V. Una versione paleoslava del IX secolo E.V. è stata attribuita a due fratelli, Cirillo e Metodio.
Per ulteriori particolari, vedi MANOSCRITTI DELLA BIBBIA e il libro “Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile”; pp. 295-326.
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Veste ufficialeAusiliario per capire la Bibbia
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Veste ufficiale
Il termine ebraico ʼaddèreth (da una radice che significa ampio, grande, nobile) descrive qualcosa di ‘maestoso’ (Ezec. 17:8; Zacc. 11:3) e, riferito a un capo di vestiario, indica evidentemente un abito lungo o un ampio mantello, forse portato sulle spalle e fatto di pelli o di un tessuto di pelo o di lana.
La descrizione di Esaù, primogenito di Isacco, dimostra che questo termine indica un indumento peloso: alla nascita era “tutto rosso come una veste ufficiale di pelo; e gli misero nome Esaù”. (Gen. 25:25) La somiglianza dipendeva probabilmente non dal fatto che era rosso, ma che era peloso.
La Settanta usa il sostantivo greco melotè (che significa pelle di pecora o qualsiasi ruvida pelle lanosa) per tradurre ʼaddèreth, la veste ufficiale indossata da Elia ed Eliseo. (I Re 19:13) Questo fa pensare che si trattasse di un indumento di pelle col pelo in fuori, simile a quello indossato da certi beduini. Nel descrivere servitori di Dio perseguitati che ‘andavano in giro in pelli di pecora, in pelli di capra’, può darsi che Paolo si riferisse all’abbigliamento di quei profeti di Geova. (Ebr. 11:37) Giovanni il Battezzatore era vestito di pelo di cammello, anche se non è specificato se questa fosse la sua veste ufficiale da profeta. — Mar. 1:6.
Qualunque foggia avessero, sembra che queste vesti ufficiali di pelo identificassero certi profeti. Quando il re Acazia sentì descrivere “un uomo che possedeva una veste di pelo, con una cintura di cuoio cinta intorno ai lombi”, riconobbe immediatamente che si trattava del profeta Elia. (II Re 1:8) Quella veste ufficiale servì come strumento di unzione quando fu gettata su Eliseo, ‘chiamato’ ad abbandonare l’aratro e seguire Elia. (I Re 19:19-21) In seguito, quando Elia salì nel turbine, la veste rimase al suo successore, che la usò subito per dividere le acque del Giordano, come aveva fatto il suo padrone. (II Re 2:3, 8, 13, 14) Sembra che a volte falsi profeti indossassero simili vesti di pelo per indurre la popolazione ad accettarli come rispettabili profeti di Geova, e rendere così più credibili i loro messaggi. — Zacc. 13:4.
Il termine ʼaddèreth era usato anche a proposito di vesti regali, costose, come quella rubata da Acan, “una bella veste ufficiale di Sinar”. (Gios. 7:21, 24) L’antica Babilonia o Sinar era famosa per i suoi begli abiti. Il re di Ninive “si tolse di dosso la veste ufficiale”, senza dubbio un sontuoso abito lungo, e si vestì di sacco in segno di pentimento. — Giona 3:6.
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Veste, vestireAusiliario per capire la Bibbia
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Veste, vestire
Vedi ABBIGLIAMENTO
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VetroAusiliario per capire la Bibbia
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Vetro
Miscela di sabbia (silicea) con tracce di altri elementi come boro, fosforo, piombo, ecc. Questi ingredienti vengono fusi insieme a una temperatura di oltre 1500°C. Appena formato e raffreddato, il vetro è non cristallino, liscio, estremamente duro e assai fragile. Il calore vulcanico ha prodotto una forma di vetro detta “ossidiana”, e i fulmini (o folgori), colpendo la sabbia, a volte la fondono in “folgoriti”, lunghi tubi sottili di vetro.
Non si sa quando questa singolare sostanza sia stata prodotta per la prima volta dall’uomo. In Egitto sono state rinvenute perline di vetro che secondo gli archeologi risalgono a circa 4.000 anni fa, più o meno all’epoca della nascita di Abraamo. Giobbe, vissuto nel XVII secolo a.E.V., equipara il vetro all’oro in quanto a valore dicendo che l’oro e il vetro non possono essere paragonati alla sapienza. — Giob. 28:17.
L’apostolo Giovanni, nel descrivere le sue visioni, menziona “puro vetro” e “vetro trasparente” (Riv. 21:18, 21); e anche “un mare di vetro simile a cristallo”. — Riv. 4:6.
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ViaAusiliario per capire la Bibbia
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Via
Questo vocabolo si può riferire a una strada, pista o sentiero; a un modo di agire o condotta; a un comportamento abituale, al modo o la maniera di giungere a qualcosa. Spesso nelle Scritture è usato a proposito di una linea di condotta e di azione, approvata o disapprovata da Geova Dio. (Giud. 2:22; II Re 21:22; Sal. 27:11; 32:8; 86:11; Isa. 30:21; Ger. 7:23; 10:23; 21:8) Con la venuta di Gesù Cristo, per avere una buona relazione con Dio e accostarsi a lui in preghiera in modo approvato bisognava accettare Gesù Cristo. Il Figlio di Dio disse: “Io sono la via e la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. (Giov. 14:6; Ebr. 10:19-22) Di coloro che diventavano seguaci di Gesù Cristo veniva detto che appartenevano “alla Via”, cioè si attenevano a una via o modo di vivere imperniato sulla fede in Gesù Cristo, di cui seguivano l’esempio. — Atti 9:2; 19:9, 23; 22:4; 24:22.
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Viaggio
Il termine “viaggio è usato spesso nella Bibbia per indicare una determinata distanza percorsa. (Gen. 31:23; Eso. 3:18; Num. 10:33; 33:8) La distanza percorsa in un giorno variava secondo il mezzo di trasporto usato, le circostanze e le asperità del terreno. In media in un giorno di viaggio via terra si potevano percorrere 30 km o più. Ma “un sabato di viaggio” era molto più breve. (Matt. 24:20) Atti 1:12 indica che “un sabato di viaggio” separava Gerusalemme dal Monte degli Ulivi. Probabilmente per aver calcolato la distanza da due diversi punti di partenza, Giuseppe Flavio una volta dice che distava 5 stadi (925 m) e un’altra volta 6 stadi (1.110 m). Fonti rabbiniche, sulla base di Giosuè 3:4, indicano che “un sabato di viaggio” corrisponde a 2.000 cubiti (890 m).
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Vicino, prossimo
Diversi termini ebraici sono resi “vicino” o “prossimo” in determinati contesti di alcune traduzioni. Shakhèn si riferisce alla posizione, di città o persone, e include amici e nemici. (Ger. 49:18; Rut 4:17; Sal. 79:4, 12) Questo vocabolo probabilmente si avvicina di più al senso del nostro “vicino” nell’uso comune. Altri termini ebraici, tradotti “vicino” in alcune versioni, hanno connotazione leggermente diversa e ci danno un’idea più ampia e allo stesso tempo più precisa della relazione espressa nelle Scritture Ebraiche.
RELATIVI TERMINI EBRAICI
Rèa‘ significa “compagno, amico”, e può indicare l’intimità di una relazione amichevole, ma generalmente è riferito al proprio simile o compaesano, sia che si tratti di un amico intimo o di uno che vive più o meno nelle vicinanze. Nelle Scritture è usato quasi sempre a proposito di un altro israelita, o di un residente in Israele. (Eso. 20:16; 22:11; Deut. 4:42; Prov. 11:9) ʽAmìth significa “associazione, compagnia o compagno”, ed è usato spesso nel senso di “compagno” per indicare qualcuno con cui si ha qualche genere di rapporto o associazione. (Lev. 6:2; 19:15, 17; 25:14, 15, NW) Qaròhv, che significa “vicino, a portata di mano, quasi parente”, si riferisce a luoghi, tempo o persone; può indicare un rapporto più intimo di quello che si ha col “prossimo” in generale. — Eso. 32:27; Gios. 9:16; Sal. 15:3; Ezec. 23:5.
TERMINI GRECI
Similmente nelle Scritture Greche ci sono tre vocaboli, resi “vicino” o “prossimo”, che hanno significato leggermente diverso: gèiton, “uno che vive nello stesso paese” (Luca 14:12; Giov. 9:8); perìoikos, aggettivo che significa “abitante intorno”, usato come sostantivo (plurale) in Luca 1:58; plesìon, avverbio che significa “vicino, presso”, usato con l’articolo ho, “il vicino, il proprio vicino”. — Rom. 13:10; Efes. 4:25.
Di questi termini greci W. E. Vine dice: “[Questi vocaboli] hanno significato più ampio del termine . . . vicino. Non c’erano case coloniche sparse nelle zone agricole della Palestina; gli abitanti, raccolti in villaggi, andavano avanti e indietro dal lavoro. Quindi la vita domestica era in ogni momento in contatto con la vasta cerchia del vicinato. I termini per vicino [o prossimo] avevano quindi significato molto più ampio. Lo si può vedere dalle principali caratteristiche dei privilegi e doveri di vicinato esposti nella Scrittura: (a) la sua utilità, e.g., . . . Luca 10:36; (b) la sua intimità, e.g., Luca 15:6, 9 . . . Ebr. 8:11; (c) la sua sincerità e santità, e.g.,
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