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Gli effetti di due guerre mondiali sulla mia famigliaSvegliatevi! 1979 | 22 maggio
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alla comunità. Ma in tutto questo tempo Rudy si preoccupava per i suoi fratelli in Germania e si chiedeva se erano vivi.
Quando l’America entrò in guerra, il fratello di mia nonna aveva 17 anni e stava per diplomarsi dalla scuola superiore. Il giorno dopo essersi diplomato fu arruolato nell’esercito e mandato a fare le esercitazioni militari. Avrebbe anch’egli dovuto combattere contro parenti di cui conosceva l’esistenza ma che non aveva mai visti?
Che cosa era accaduto intanto ai fratelli di mio nonno Rudy in Germania? Uno era prigioniero di guerra in Russia. Un altro era in un campo di prigionia americano in Francia. In un campo i detenuti soffrivano a tal punto la fame che un giorno quando un gatto oltrepassò il reticolato di filo spinato, il mio prozio lo prese e lo uccise, lo spellò e lo mangiò crudo! Verso la fine della guerra, il terzo fratello era in viaggio su un treno militare. Era il giorno dell’armistizio. Il suo treno fu bombardato ed egli rimase ucciso.
Nel piccolo villaggio di Einberg, dove i quattro fratelli erano cresciuti, succedevano altri guai. Il mio bisnonno Max, che alcuni anni prima si era risposato, ebbe altri due figli. La Germania stava perdendo la guerra e nelle campagne c’erano dappertutto le forze d’occupazione. Dato che la maggioranza dei padri erano andati in guerra, a casa non c’era nessuno a proteggere le famiglie.
I soldati entravano a forza nelle case. Rubavano, e a volte violentavano le donne. Se gli abitanti dei villaggi erano avvertiti dell’arrivo dei soldati, portavano fuori le figlie e le nascondevano nei mucchi di fieno nei campi per tenerle al sicuro.
La guerra finì, ma le sue conseguenze non finirono con la firma del trattato di pace. I fratelli di mio nonno tornarono a casa a Einberg, in Germania, eccetto quello morto sul treno. La loro vita non è più stata la stessa. Uno continuò ad andare dentro e fuori dell’ospedale per tutta la vita e morì giovanissimo. L’altro fratello, Bernhard, è venuto recentemente dalla Germania a trovarci in California. Suo figlio ha già fatto il militare. Lo stesso hanno fatto i miei zii qui in America. Ha senso tutto questo? Dove andremo a finire?
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Si auspica la pace, ma le nazioni attueranno il disarmo?Svegliatevi! 1979 | 22 maggio
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Si auspica la pace, ma le nazioni attueranno il disarmo?
NULLA rende la pace più gradita che riflettere sugli orrori della guerra. Milioni di persone rimasero uccise od orribilmente ferite nella guerra del Vietnam, ma questa è solo parte della storia. Sei mesi dopo il loro ritorno, il 38 per cento dei reduci americani sposati erano separati o divorziati. Circa 175.000 facevano uso di eroina. E si afferma pure che circa mezzo milione abbiano tentato il suicidio dopo il congedo! — Times di New York, 27 maggio 1975.
Il caso di Claude Eatherly, un pilota che partecipò al lancio della bomba atomica su Hiroshima, in Giappone, illustra vivamente le orribili ripercussioni della guerra. Claude fu congedato dal servizio militare nel 1947 dopo che le perizie psichiatriche avevano indicato una “grave forma di neurosi e complesso di colpa”. In seguito fece la spola da un ospedale psichiatrico all’altro. “Si svegliava tutte le notti”, osservò suo fratello la scorsa estate al funerale di Claude. “Diceva che gli bruciava il cervello. Diceva di poter sentire quelle persone bruciare”.
Per capire più a fondo gli orrori della guerra, riflettete su quella scena di 33 anni fa. Era la mattina del 6 agosto 1945. In alto volava il B-29 Enola Gay; sotto c’era una movimentata città industriale giapponese con circa 400.000 abitanti. Alle 8,15, a 580 metri sopra il centro di Hiroshima esplose una bomba atomica da 13 chiloton, rallentata nella sua caduta da tre paracadute. Circa 140.000 persone saltarono in aria; molte furono arse vive dal calore e dalle radiazioni. Alcuni stanno ancora morendo lentamente per gli effetti delle radiazioni.
Gli orrori provocati da quell’esplosione atomica, e da quella avvenuta tre giorni dopo a Nagasaki, vanno oltre la comprensione umana.
Il bisogno di pace
Il 2 settembre 1945, meno di un mese dopo, ci fu la formale resa del Giappone. “È cominciata una nuova èra”, osservò in quella memorabile occasione il generale Douglas MacArthur. E proseguì dicendo: “Anche la lezione stessa della vittoria comporta viva preoccupazione, sia per la nostra sicurezza futura che per la sopravvivenza della civiltà. . . . L’assoluta distruttività della guerra cancella ora questa alternativa. Abbiamo avuto la nostra ultima opportunità. Se non escogitiamo qualche sistema più grande e più ragionevole Armaghedon sarà alle porte”.
I capi del mondo hanno spesso fatto eco a questi sentimenti. Nell’autunno del 1961, il presidente americano John F. Kennedy propose un “programma per un generale e completo disarmo”. Spiegò che “l’umanità deve porre fine alla guerra, altrimenti la guerra porrà fine all’umanità. . . . I rischi del disarmo sono insignificanti in paragone coi rischi di una sfrenata corsa agli armamenti”.
Da allora hanno fatto le nazioni passi concreti verso il disarmo?
Progressi verso la pace?
Subito dopo avere ribadito la necessità del disarmo, il presidente Kennedy chiese al Congresso americano di aumentare di 6 miliardi di dollari gli stanziamenti militari. È così che vanno le cose. Un momento si parla di pace e si celebra il disarmo e il momento successivo si ordina la costruzione di armi più potenti e micidiali. Quindi nonostante le molte belle proposte — ci sono più di 9.000 voci in un’attuale bibliografia sul controllo delle armi e sul disarmo — non si è fatto nessun passo avanti. The Nation del 27 maggio 1978 osserva:
“Dal 1945, diplomatici americani, sovietici e di altre nazionalità, si sono incontrati almeno 6.000 volte per discutere il ‘disarmo’ e la sua progenie illegittima, ‘il controllo degli armamenti’, ma in trentadue anni non è stata eliminata una sola arma per reciproco accordo. Al contrario, l’escalation della corsa agli armamenti
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