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  • Davide
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • Fine del regno

      Negli ultimi anni della sua vita il re settantenne, ormai costretto a letto, continuò a essere colpito da calamità nella sua stessa famiglia. Il quarto figlio, Adonia, all’insaputa del padre o senza il suo consenso e, cosa ancora più grave, senza l’approvazione di Geova, tentò di diventare re. Quando ne ebbe notizia, Davide si affrettò a far ungere il figlio Salomone, scelto da Geova, facendolo salire ufficialmente al trono come re. (I Re 1:5-48; I Cron. 28:5; 29:20-25; II Cron. 1:8) Davide consigliò quindi a Salomone di camminare nelle vie di Geova, osservare i suoi statuti e comandamenti, agire con prudenza in ogni cosa; così avrebbe avuto successo. — I Re 2:1-9.

      Dopo quarant’anni di regno Davide morì e fu sepolto nella città di Davide, meritando l’onore di essere incluso da Paolo nell’elenco dei testimoni che si erano distinti per la loro fede. (I Re 2:10, 11; I Cron. 29:26-30; Atti 13:36; Ebr. 11:32) Gesù citò il Salmo 110 dicendo che Davide l’aveva scritto “per ispirazione”. (Matt. 22:43, 44; Mar. 12:36) Gli apostoli e altri scrittori biblici riconobbero più volte che Davide era un ispirato profeta di Dio. — Confronta Salmo 16:8 con Atti 2:25; Salmo 32:1, 2 con Romani 4:6-8; Salmo 41:9 con Giovanni 13:18; Salmo 69:22, 23 con Romani 11:9, 10; Salmi 69:25 e 109:8 con Atti 1:20.

      NELLA PROFEZIA

      I profeti hanno menzionato spesso Davide e la sua casa reale, a volte in relazione agli ultimi re d’Israele che sedettero sul “trono di Davide” (Ger. 13:13; 22:2, 30; 29:16; 36:30), e a volte in senso profetico. (Ger. 17:25; 22:4; Amos 9:11; Zacc. 12:7-12) In certe profezie messianiche l’attenzione è rivolta al patto del regno che Geova aveva fatto con Davide. Per esempio, Isaia dice che colui che è chiamato “Consigliere meraviglioso, Dio possente, Padre eterno, Principe della pace” sarà fermamente stabilito sul “trono di Davide” a tempo indefinito. (Isa. 9:6, 7; confronta anche 16:5). Geremia paragona il Messia a “un germoglio giusto” che Geova ‘susciterà a Davide’. (Ger. 23:5, 6; 33:15-17) Per mezzo di Ezechiele, Geova parla del Pastore messianico come del “mio servitore Davide”. — Ezec. 34:23, 24; 37:24, 25.

      Nell’annunciare a Maria che avrebbe avuto un figlio chiamato Gesù, l’angelo disse che “Geova Dio gli darà il trono di Davide suo padre”. (Luca 1:32) Secondo gli storici Matteo e Luca, “Gesù Cristo, figlio di Davide”, era l’erede legale e naturale al trono di Davide. (Matt. 1:1, 17; Luca 3:23-31) Paolo disse che Gesù era progenie di Davide secondo la carne. (Rom. 1:3; II Tim. 2:8) Anche il popolo comune identificò Gesù come il “Figlio di Davide”. (Matt. 9:27; 12:23; 15:22; 21:9, 15; Mar. 10:47, 48; Luca 18:38, 39) Era importante stabilirlo, perché, come ammisero i farisei, il Messia doveva essere figlio di Davide. (Matt. 22:42) Dopo essere risorto Gesù stesso attestò: “Io, Gesù, . . . sono la radice e la progenie di Davide”. (Riv. 22:16) Ed è lui “che ha la chiave di Davide”, ed è “la radice di Davide”. — Riv. 3:7; 5:5.

  • Davide, città di
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    • Davide, città di

      Nome dato alla “fortezza di Sion” dopo la cacciata dei gebusei. (II Sam. 5:6-9) È chiaro che si tratta del contrafforte o crinale che si protende verso S dal monte Moria. Quindi si trova a S dell’area del tempio costruito in seguito da Salomone. Oggi questo stretto pianoro meridionale è notevolmente più basso del monte Moria. Giuseppe Flavio afferma che i Maccabei (o Asmonei) nel II secolo a.E.V. spianarono la cresta della collina affinché non sembrasse rivaleggiare in altezza con l’area del tempio. Quindi è possibile che nell’antichità la sua altezza fosse quasi uguale, ma sempre un po’ inferiore, a quella dell’area del tempio.

      Era un luogo molto adatto per una “fortezza” poiché era protetto da tre lati da profonde vallate, a O dalla valle del Tiropeon, e a E dalla valle del Chidron, che si unisce alla valle di Innom all’estremità meridionale del contrafforte. (I Cron. 11:7) Era necessario difendere la città solo da N, dove il crinale si restringeva ancora di più, rendendo estremamente difficile un eventuale attacco. Il limite settentrionale di questa “città di Davide” non è stato ancora stabilito in modo definitivo, anche se alcuni studiosi propendono per la stretta suddetta. Nel corso dei secoli i detriti hanno colmato in gran parte le valli, tanto che la sua importanza strategica e la sua forza sono meno evidenti. Si calcola che la superficie totale dell’antica città di Davide misurasse non più di 3 o 4 ettari. Il nome “città di Davide” derivò dal fatto che Davide ne fece la sua residenza reale, dopo aver regnato per sette anni e mezzo a Ebron.

      [Cartina a pagina 322]

      (Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

      CITTÀ DI DAVIDE

      M. SION

      M. MORIA

      Tempio

      Valle del Tiropeon

      Valle del Chidron

      Valle di Innom

      Gihon

  • Debir
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    • Debir

      (Debìr) [stanza più interna o santuario più interno].

      Città e residenza reale cananea (Gios. 10:38, 39), chiamata anche Chiriat-Sefer e Chiriat-Sanna. (Gios. 15:15, 49; Giud. 1:11) Faceva parte dell’eredità di Giuda ma divenne una città levitica dei cheatiti. (Gios. 21:9, 15; I Cron. 6:54, 58) Gran parte degli studiosi biblici identificano l’antica Debir con Tell Beit Mirsim, circa 21 km a O–SO di Ebron.

      Esistono evidentemente due versioni della prima conquista di Debir da parte di Israele al comando di Giosuè. La prima si riferisce unicamente all’annientamento della popolazione di Debir. (Gios. 10:38, 39) La seconda, Giosuè 11:21-23, è una ricapitolazione della stessa conquista (dato che il versetto 18 menziona che “Giosuè fece guerra a tutti questi re per molti giorni”), con l’inclusione del particolare che “Giosuè andò a stroncare gli Anachim . . . da Debir” e da altre città. Questo materiale supplementare potrebbe esser stato aggiunto per dimostrare che anche i giganteschi anachim, che più di quarant’anni prima avevano riempito di terrore il cuore degli esploratori israeliti (Num. 13:28, 31-33; Deut. 9:2), non erano invulnerabili.

      Comunque sembra che gli anachim, forse provenienti dalla costa palestinese (Gios. 11:22) si fossero ristabiliti a Debir mentre Israele era momentaneamente accampato a Ghilgal o faceva guerra più a N. (Gios. 10:43–11:15) Anche se nelle campagne iniziali Giosuè era riuscito a infrangere la resistenza compatta delle forze nemiche nel paese di Canaan, demolendo rapidamente tutte le principali roccheforti, questo tipo di guerra non aveva consentito di stabilire guarnigioni per presidiare tutte le città distrutte. Perciò una seconda conquista di Debir o un’operazione di “rastrellamento” fu compiuta da Otniel, il quale, essendosi distinto nella conquista della città, ebbe in moglie Acsa, la figlia di quell’esperto guerriero che era Caleb. — Gios. 15:13-19; Giud. 1:11-15.

      Non si può accertare con precisione quando nella storia di Israele ebbe luogo questa seconda conquista. Il libro di Giudici inizia con la frase “dopo la morte di Giosuè” seguita dal resoconto della conquista di Debir da parte di Caleb. (Giud. 1:11-15) Questo, secondo alcuni, indicherebbe che Giuda s’impadronì di Debir dopo la morte di Giosuè e perciò l’analogo resoconto che si trova in Giosuè 15:13-19 sarebbe un’aggiunta posteriore al libro che porta il nome di Giosuè. Secondo altri invece quella di Giudici 1:1 sarebbe solo un’introduzione formale per collegarsi col libro di Giosuè, e sostengono che Caleb non avrebbe certo atteso per anni fino alla morte di Giosuè prima di scacciare gli anachim dal possedimento che gli era stato promesso. Perciò ritengono che la storia di Giudici sia una ripetizione di quella di Giosuè.

  • Debito, debitore
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    • Debito, debitore

      Nell’antico Israele si contraevano debiti più che altro a motivo di rovesci finanziari. Per un israelita era una disgrazia avere un debito, perché in effetti il debitore diventava schiavo di chi gli aveva fatto il prestito. (Prov. 22:7) Il popolo di Dio ricevette perciò il comando di essere generoso e altruista nel concedere prestiti ad altri israeliti bisognosi, senza cercare di trarre profitto dalle loro avversità esigendo gli interessi. (Eso. 22:25; Deut. 15:7, 8; Sal. 37:26; 112:5) Agli stranieri invece si poteva far pagare un interesse. (Deut. 23:20) I commentatori ebrei ritengono che questo provvedimento si applicasse ai prestiti commerciali e non ai casi di necessità. Di solito gli stranieri si trovavano in Israele solo temporaneamente, spesso come mercanti, ed era ragionevole aspettarsi che pagassero un interesse, specie dal momento che loro stessi prestavano dietro interesse ad altri.

      A volte una terza persona assumeva la responsabilità o si rendeva garante per il debitore. Questa consuetudine è ripetutamente sconsigliata nel libro di Proverbi (6:1-3; 11:15; 17:18; 22:26), dal momento che chi si rendeva garante avrebbe subito la perdita nel caso che il debitore fosse stato inadempiente.

      Cosa pensavano dei debiti i cristiani del I secolo è espresso in Romani 13:8: “Non siate deditori di nulla a nessuno, se non d’amarvi gli uni gli altri”.

      LA LEGGE MOSAICA PROTEGGEVA CREDITORI E DEBITORI

      Sotto la legge mosaica anche il ladro doveva ripagare completamente il debito che aveva contratto rubando. Se non era in grado di farlo, doveva essere venduto come schiavo. (Eso. 22:1, 3) Così la vittima era certamente compensata per la perdita subita.

      Gli israeliti fedeli sapevano che Dio esigeva che si estinguessero i debiti. (Sal. 37:21) Perciò il creditore poteva essere certo di venire rimborsato. Un israelita privo di mezzi poteva vendere come schiavo se stesso o i figli fino all’estinzione dei debiti. — Eso. 21:7; Lev. 25:39; confronta II Re 4:1-7.

      D’altra parte, la Legge proteggeva anche il debitore. Il creditore non poteva entrare in casa del debitore e prendere un pegno, ma doveva aspettare fuori finché il debitore glielo portava. (Deut. 24:10, 11) E nemmeno poteva prendere come pegno la veste di una vedova o beni di prima necessità, come una macina a mano o la sua mola superiore. (Deut. 24:6, 17) Poiché di solito i poveri avevano un solo mantello, con cui si coprivano anche per dormire, se il creditore prendeva come pegno questo indumento lo doveva restituire al tramonto. — Eso. 22:26, 27; Deut. 24:12, 13.

      Secondo Deuteronomio 15:1-3, durante l’anno sabatico (ogni settimo anno) un creditore non poteva esigere il pagamento di un debito da un altro israelita. L’israelita che osservava il sabato, in effetti non traeva alcun guadagno dalla sua terra, mentre lo straniero continuava a trarre profitto dal proprio lavoro non agricolo. Era dunque ragionevole esigere da lui il pagamento di un debito anche durante l’anno sabatico. In prossimità dell’anno sabatico, alcuni israeliti, sapendo che non avrebbero potuto insistere sul pagamento, potevano rifiutare di far credito ai loro fratelli nel bisogno. Ma la Legge condannava tale egoismo. — Deut. 15:9.

      Durante l’anno del Giubileo (ogni cinquantesimo anno) gli schiavi ebrei erano rimessi in libertà; ogni possedimento ereditario, a eccezione delle case dei leviti nelle città cinte da mura, era restituito al proprietario originale. Questa disposizione impediva che le famiglie israelite sprofondassero senza speranza nei debiti e nella miseria. Neanche chi amministrava male i suoi beni poteva perdere per sempre l’eredità della famiglia. — Lev. 25:10-41.

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