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  • Bambini, figli
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • poiché i genitori osservavano il comando di Dio di portare con sé i figli quando andavano alle assemblee tenute per adorare e lodare Geova. (Deut. 31:12, 13; Nee. 12:43) I genitori portarono Gesù a Gerusalemme per la Pasqua. Durante il viaggio di ritorno si accorsero che non era con loro; lo trovarono nel tempio “seduto in mezzo ai maestri e ad ascoltarli e interrogarli”. — Luca 2:41-50.

      Quando accadeva che un figlio era assolutamente ribelle e incorreggibile dopo ripetuti ammonimenti e la disciplina necessaria, si dovevano prendere misure ancora più severe. Il figlio veniva portato davanti agli anziani della città, e dopo che i genitori avevano testimoniato che era un peccatore impenitente, il colpevole era condannato alla pena di morte mediante lapidazione. Tale disposizione si riferiva evidentemente a un figlio non più in età da essere considerato un ragazzino, infatti le Scritture lo descrivono come “ghiotto e ubriacone”. (Deut. 21:18-21) Chi percuoteva il padre o la madre, oppure invocava il male sui genitori, era messo a morte. La ragione di misure così drastiche era che si potesse eliminare tutto il male dalla nazione e così ‘tutto Israele potesse udire e realmente aver timore’. Perciò qualsiasi tendenza alla delinquenza minorile o al disprezzo dell’autorità paterna sarebbe stata vigorosamente scoraggiata nella nazione dalla punizione inflitta ai colpevoli. — Eso. 21:15, 17; Matt. 15:4; Mar. 7:10.

      AUTORITÀ DEI GENITORI

      Nella famiglia l’autorità dei genitori, e particolarmente del padre, era assai ampia. Finché il padre era vivo e in grado di dirigere la famiglia i figli gli erano sottoposti. Tuttavia, se infine un figlio metteva su casa per conto suo, diventava il capo della propria famiglia. Per pagare i debiti contratti il padre poteva vendere i figli in schiavitù temporanea. (Eso. 21:7; II Re 4:1; Matt. 18:25) L’autorità del padre su una figlia era tale che poteva annullare un voto fatto da lei. Ma la sua autorità non poteva interferire nell’adorazione che la figlia rendeva a Geova né farle trasgredire i comandi di Geova, per la ragione che il padre facendo parte della nazione di Israele era dedicato a Dio e interamente soggetto alla sua legge. (Num. 30:3-5, 16) Una vedova o una donna divorziata poteva tornare a casa del padre e diventare di nuovo sua proprietà. (Gen. 38:11) L’autorità dei genitori si manifestava anche nel matrimonio in quanto erano i genitori a scegliere la moglie per i figli o a prendere le disposizioni per il matrimonio. — Gen. 21:21; Eso. 21:8-11; Giud. 14:1-3.

      I diritti di successione passavano attraverso il padre. La moglie senza figli spesso cercava di procurarsi figli dalla sua serva dandola come concubina al proprio marito. Tale figlio era accolto dalla moglie sterile come proprio. (Gen. 30:1-8) Un figlio illegittimo non poteva far parte della congregazione d’Israele. (Deut. 23:2) Quando nascevano gemelli si distingueva con gran cura il bambino venuto al mondo per primo (Gen. 38:28), dato che il primogenito riceveva due parti dell’eredità paterna, mentre l’altro ne riceveva solo una. (Deut. 21:17; Gen. 25:1-6) Di solito il figlio maggiore si assumeva la responsabilità di mantenere le donne di casa dopo la morte del padre. Un figlio nato per levirato era allevato come figlio del defunto e ne ereditava la proprietà. — Deut. 25:6; Rut 4:10, 17.

  • Banca, banchiere
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    • Banca, banchiere

      Nella parabola dei talenti e in quella delle mine Gesù si riferì ai banchieri e a una banca dicendo che davano un interesse sul denaro depositato presso di loro. (Matt. 25:27; Luca 19:23) Come il termine italiano (che deriva da banco), la parola greca tradotta banca (tràpeza) significa letteralmente tavola (Matt. 15:27), oppure, quando era associata al denaro, come nel caso dei cambiamonete, si riferiva a un banco per svolgere operazioni finanziarie. — Matt. 21:12; Mar. 11:15; Giov. 2:15.

      Il riferimento di Gesù ai “banchieri” (gr. trapezìtes) che accettavano depositi e pagavano interessi indica un’operazione più importante di quella compiuta normalmente dai cambiavalute (gr. kermatistès da kermatìzein, cambiare in monetine) o cambiamonete (kollybistès da kòllybos, moneta spicciola o tasso di scambio) le cui principali operazioni erano quelle di cambiare in valuta locale la valuta straniera e provvedere spiccioli in cambio di monete di maggior valore, ricevendone ogni volta un compenso. (Vedi CAMBIAMONETE). Alcuni di costoro potevano compiere anche attività bancarie, accettando depositi e concedendo prestiti, mentre in altri casi queste operazioni finanziarie erano svolte da ricchi mercanti e proprietari terrieri. Pare che simili attività bancarie risalgano al tempo di Abraamo, infatti gli antichi sumeri della pianura di Sinar si dice avessero “un sistema straordinariamente complesso di prestiti, depositi e lettere di credito ...”. — The Encyclopedia Americana, ed. 1956, Vol. 3, p. 152.

  • Barabba
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    • Barabba

      (Baràbba) [figlio del padre, padrone o insegnante].

      Criminale detenuto per rapina, sedizione e assassinio che Pilato mise in libertà al posto di Gesù. Pilato lo fece “desiderando soddisfare la folla” che, istigata dai capi sacerdoti e dagli anziani, chiedeva a gran voce la sua liberazione. Il nome Barabba suggerisce che potesse essere figlio di un rabbino o di un capo ebreo. — Matt. 27:15-26; Mar. 15:6-15; Luca 23:25; Giov. 18:39, 40; Atti 3:14.

      Questa usanza singolare di rimettere ogni anno in libertà un prigioniero la vigilia di Pasqua non ha alcuna base o precedente nelle Scritture Ebraiche, e poco o nessun sostegno nelle consuetudini di Roma o di altre nazioni pagane. Comunque certi scritti rabbinici indicano che tale usanza poteva risalire a una fonte ebraica precedente all’occupazione romana della Palestina. Questo spiegherebbe perché Pilato disse agli ebrei: “Voi avete l’usanza che io vi liberi un uomo alla pasqua”. — Giov. 18:39.

  • Barac
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    • Barac

      (Bàrac) [lampo].

      Figlio di Abinoam di Chedes nel territorio di Neftali. All’inizio del periodo dei giudici gli israeliti si erano allontanati dalla vera adorazione e così per vent’anni Dio permise che fossero oppressi da Iabin re di Canaan. Essi chiesero aiuto a Geova e allora Dio nominò Barac loro condottiero. (Giud. 4:1-3) Mentre gli oppressori cananei erano ben armati, “non si poté vedere scudo, né lancia, tra quarantamila in Israele”. (Giud. 5:8) Ma all’epoca di Barac Geova diede a Israele una vittoria sui suoi avversari, un trionfo memorabile. (Sal. 83:9) I due resoconti di questi avvenimenti (in Giudici capitolo quattro, e nel cantico d’esultanza di Debora e Barac al capitolo cinque) si completano a vicenda e dipingono un vivido quadro dell’accaduto.

      La profetessa Debora, che allora giudicava Israele, sprona Barac a prendere l’iniziativa per liberare il suo popolo. Barac acconsente, ma a condizione che Debora l’accompagni. Lei accetta, informando però Barac che Geova darà Sisera, comandante dell’esercito di Iabin, nelle mani di una donna. — Giud. 4:4-9.

      Barac raduna diecimila uomini di Neftali, Zabulon e altre tribù d’Israele (Giud. 5:9-18) e sale sul monte Tabor. Informato di ciò, Sisera e il suo esercito, forte di novecento carri da guerra muniti di falci di ferro, avanzano verso gli israeliti lungo il letto asciutto del fiume nella valle del torrente Chison (nota generalmente come pianura di Esdrelon, presso Meghiddo). Al comando di Barac l’esercito d’Israele, scarsamente equipaggiato, scende con coraggio dal monte Tabor, pronto a battersi con i cananei armati di tutto punto. Ma il Chison diventa un torrente impetuoso e immobilizza i carri del nemico. Davvero “dal cielo combatterono le stelle, dalle loro orbite combatterono contro Sisera. Il torrente di Chison li spazzò via”. Barac e i suoi uomini incalzano il nemico, e il racconto dice: “Tutto il campo di Sisera cadde per il taglio della spada. Non ne rimase nemmeno uno”. — Giud. 5:20-22; 4:10-16.

      Sisera stesso, abbandonato il suo carro e l’esercito accerchiato, fugge e trova rifugio nella tenda di Iael, moglie di Heber, un chenita che è in pace con Iabin. Iael offre ospitalità a Sisera, ma, mentre dorme, lo uccide trapassandogli le tempie con un piolo della tenda che conficca a terra. Quando sopraggiunge Barac, Iael lo invita a entrare nella tenda, dove egli vede che si è avverata la parola di Geova: Sisera era caduto effettivamente nelle mani di una donna. (Giud. 4:17-22; 5:24-27) Dopo di che la mano degli israeliti vittoriosi “si fece sempre più dura contro Iabin re di Canaan, finché ebbero stroncato Iabin”. Quindi, in quella zona, Israele “non fu più disturbato per quarant’anni”. — Giud. 4:23, 24; 5:31.

      Può darsi che Barac sia il “Bedan” di I Samuele 12:11 (secondo la LXX greca e la Pescitta siriaca). Barac viene anche citato come esempio di fedeltà fra coloro che “mediante la fede sconfissero regni in conflitto, . . . divennero valorosi in guerra, misero in rotta eserciti di stranieri”. — Ebr. 11:32-34.

  • Barachia
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    • Barachia

      (Barachìa) [Iah benedice].

      Padre dello Zaccaria che fu assassinato “fra il santuario e l’altare”. — Matt. 23:35; Luca 11:50, 51.

      Le parole “figlio di Barachia” non compaiono nel racconto di Luca e sono omesse da quello di Matteo nel Codice Sinaitico. Alcuni studiosi ritengono che possano essere un’aggiunta al testo fatta da un “correttore” che abbia confuso questo Zaccaria col profeta Zaccaria “figlio di Berechia”. (Zacc. 1:1) Tuttavia non ci sono prove che quest’ultimo profeta sia stato assassinato. Un’altra ipotesi è che Ieoiada, padre di uno Zaccaria che fu assassinato, potesse avere due nomi, come altri personaggi biblici. (Confronta Matteo 9:9 con Marco 2:14; Matteo 10:2, 3). Il significato di Barachia è molto simile a quello di Ieoiada, che significa “Geova conosce”.

      Generalmente si ritiene che Gesù alludesse qui a Zaccaria “figlio di Ieoiada il sacerdote”. (II Cron. 24:20-22) Questa è la conclusione più logica, dato che il libro di Cronache è elencato per ultimo nel tradizionale canone ebraico, così che Abele sarebbe il primo e Zaccaria l’ultimo uomo giusto di cui le Scritture Ebraiche ricordino l’assassinio. In II Cronache 24:21 si legge che Zaccaria fu assassinato “nel cortile della casa di Geova”. L’altare degli olocausti si trovava nel cortile interno, fuori del santuario, di fronte al suo ingresso. Questo corrisponderebbe al luogo in cui Gesù situò l’incidente, cioè “fra il santuario e l’altare”.

      Sia nel caso di Abele che di Zaccaria fu predetto che si sarebbe chiesto conto del sangue sparso. (Gen. 4:10; II Cron. 24:22) E c’è un notevole parallelo fra le circostanze e gli avvenimenti dell’epoca di Zaccaria figlio di Ieoiada e quelli della generazione vivente quando Gesù pronunciò queste parole. In punto di morte Zaccaria aveva detto: “Geova faccia in modo di richiederlo”. Ben presto le sue parole profetiche cominciarono ad adempiersi. Un piccolo contingente di siri salì contro Giuda e Geova diede nelle loro mani le grandi forze militari di Giuda, con gravissime perdite per i suoi principi. I siri eseguirono atti di giudizio su Ioas e lo lasciarono in preda a molte infermità, dopo di che fu assassinato dai suoi servitori. (II Cron. 24:23-25) Dopo aver menzionato la responsabilità per lo spargimento di sangue che ricadeva sui suoi interlocutori, Gesù disse: “Tutte queste cose verranno su questa generazione”. (Matt. 23:36) La profezia di Gesù si adempì in modo completo su Gerusalemme e la Giudea dal 70 al 73 E.V.

  • Barba
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    • Barba

      Insieme dei peli che crescono sulle guance e sul mento dell’uomo, e a volte anche sul labbro superiore. Nelle Scritture Ebraiche, zaqàn è il termine che corrisponde a “barba”, mentre il termine saphàm, relativo al labbro, è reso dai traduttori “barba”, “baffi” e “labbro superiore”.

      Presso molti popoli antichi dell’Oriente, inclusi gli israeliti la barba era considerata un segno di dignità virile. La legge di Dio proibiva a Israele di tagliarsi le ciocche di capelli “ai lati” fra l’orecchio e l’occhio, e le estremità della barba. (Lev. 19:27; 21:5) Questo senza dubbio perché presso alcuni pagani era un’usanza religiosa.

      In momenti di estremo dolore, vergogna o umiliazione, uno poteva strapparsi peli della barba o lasciare barba e baffi incolti. (Esd. 9:3) Può darsi che la barba incolta di Mefiboset, figlio di Gionatan, abbia rivelato a Davide che Mefiboset diceva il vero affermando che il suo servitore Ziba l’aveva calunniato, e che effettivamente aveva fatto cordoglio mentre Davide fuggiva da Absalom, contrariamente a quanto aveva riferito Ziba. (II Sam. 16:3; 19:24-30) Radersi la barba era considerata una manifestazione di grande lutto a motivo di qualche calamità. — Isa. 7:20; 15:2; Ger. 48:37; Ezec. 5:1

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